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La riforma di Papa Francesco è uno tsunami per la Curia!

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di Sac. Pasquale Pirulli

don pasquale foto
Papa Francesco sulle orme dello spirito di San Francesco d’Assisi intende nella sua azione riproporre una immagine più autentica della Chiesa di Cristo. Con spirito profetico, sintesi di intelligenza e di coraggio, ha delineato nella sua pastorale una chiesa “in uscita” che si pone a fianco dell’umanità sofferente quale “ospedale da campo”. In linea con la parresia del Concilio Vaticano II rivolge la sua paterna attenzione ai poveri, ai migranti e nel sogno ecumenico promuove azioni di dialogo e di collaborazione con le diverse confessioni cristiane e con i fedeli delle religiosi mondiali. Non ci dobbiamo meravigliare se nell’annuale cerimonia degli auguri natalizi egli richiama i suoi più diretti collaboratori, radunati nella istituzione della Curia, a condividere la sua azione di riforma che si propone quasi come una decisa “rivoluzione”. 

Nel passato aveva dettato le linee della rivoluzione della Curia ad intra, proseguendo sulle orme di papa Paolo VI e di Giovanni Paolo II e dello stesso immediato predecessore Benedetto XVI. Quest’anno nella luce del Natale ha invitato i suoi collaboratori “Ad aprire gli occhi per abbandonare il superfluo, il falso, il malizioso e il finto, e per vedere l’essenziale, il vero, il buono e l’autentico”. Con decisione egli detta le linee della riforma che riguarda l’azione della Curia ad extra e in modo particolare “il rapporto della stessa con le nazioni, le chiese particolari, con le chiese orientali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’islam e le altre religioni”. Una visione dagli orizzonti universali partendo dalla realtà della stessa Curia sintetizzando la sua storia, i principi e gli orientamenti canonici della sua azione. Con spirito umoristico ricorda la provocazione di Mons. Frédéric-François de Mérode “Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”.

Agli interlocutori che gli hanno fatto gli auguri egli ricorda l’identità della Curia: “E’ una istituzione antica, complessa, venerabile, composta da uomini provenienti da diverse culture, lingue e costruzioni mentali e che, strutturalmente e da sempre, è legata alla funzione primaziale del Vescovo di Roma nella Chiesa, ossia all’ufficio “sacro” voluto dallo stesso Cristo Signore per il bene dell’intero corpo della Chiesa: ad bonum totius corporis!”.  Papa Francesco sottolinea il carattere universale del servizio della Curia e lo fa derivare dalla cattolicità del ministero di Pietro che si esprime a servizio della Parola di Dio e all’annuncio della Buona Novella.  Il primato petrino si riveste delle vesti diaconali perché,  richiamando la definizione di papa Gregorio Magno il papa è “Servus servorum Dei”, perché Cristo è prima di tutto il Servo. Sulle labbra di papa Gregorio questa “non era una pia formula, ma la vera manifestazione del suo modo di vivere e di agire.Egli era intimamente colpito dall’umiltà di Dio, che in Cristo si è fatto nostro servo, ci ha lavato e ci lava i piedi sporchi”.

Sono in relazione lo stile del primato petrino e quello dell’essere e dell’agire della Curia che prima di tutto devono essere diaconali, cioè di servizio come Cristo interpreta la sua missione proprio con questa categoria.  Il papa si rifà a due testi antichi per definire il servizio dei diaconi: “essere l’orecchio e la bocca del vescovo: essere l’orecchio e la bocca e anche gli occhi del vescovo” nella finalità di servire all’unità e alla comunione di tutta la realtà ecclesiale. In questa prospettiva si recupera “il senso dell’estroversione, dell’attenzione a quello che c’è fuori”. Siamo nella linea della pastorale di una Chiesa in uscita e il ruolo dei sensi è importante, secondo lo stesso S. Ignazio di Loyola, “nella contemplazione dei misteri di Cristo e della verità”. 

Da queste premesse teologiche ed ecclesiologiche papa Francesco fa derivare la sua denunzia dei mali della Curia. Questo è il primo: “Questo è molto importante per superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano -nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni- un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismo ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano. Quanto questo avviene, però, si perde la gioia del Vangelo, la gioia di comunicare il Cristo e di essere in comunione con Lui; si perde la generosità della nostra consacrazione (cf At 20, 35 e 2 Cor 9,7)".

Papa Francesco denunzia un altro grave pericolo con parole chiare e decise: “Permettetemi qui di spendere due parole su un altro pericolo, ossia quello dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma –non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità– si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del “Papa non informato”, della “vecchia guardia”… invece di recitare il “mea culpa”. 

Ancora  una denunzia per quelle persone “che ancora operano nella Curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovano nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene”.  Papa Francesco richiama la finalità propria dei diversi dicasteri della Curia: nel nome e con l’autorità del Sommo Pontefice e sempre per il bene e al servizio delle Chiese. Ecco un’altra immagine incisiva quella dell’antenna che deve essere nello stesso tempo emittente e ricevete e così i diversi dicasteri collaborano al processo di ascolto e di sinodalità, voluto dallo stesso papa Francesco.
Nella seconda parte del discorso il papa parla “genericamente della Curia ad extra, cioè di alcuni aspetti fondamentali, selezionati”.

Il primo è il rapporto della Curia con le Nazioni con il ruolo importante della Diplomazia Vaticana, che deve operare in accordo con la Sezione per gli Affari Generali e con la Sezione per i Rapporti con gli Stati. Egli segue con particolare attenzione il servizio del personale diplomatico della Santa Sede i cui membri “rimangono sempre pastori e diplomatici, al servizio delle Chiese particolari e delle Nazioni”.

Delicato è il rapporto della Curia con le Diocesi e le Eparchie che costituiscono le chiese particolari che proprio dalla Chiesa di Roma e dal servizio petrino attraverso la curia, ricevono “il sostegno e il supporto necessario. “E’ un rapporto che si basa sulla collaborazione, sulla fiducia e mai sulla superiorità o sull’avversità” Il lavoro della Curia è un lavoro “a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori”. Secondo papa Francesco ”nella Curia romana si apprende, si respira in modo speciale questa duplice dimensione della Chiesa, questa compenetrazione tra l’universale e il particolare” Rifacendosi alla esperienza di papa Paolo VI viene richiamato il valore della “coscienza romana” che respira l’universalità della Chiesa di Cristo “onde anche Cristo è romano, perché è universale!”

Rimane da coordinare il rapporto tra la Curia e le Chiese Orientali, le quali devono essere rispettate nella loro identità diversa ma devono essere aiutate a viver lo spirito di responsabilità evangelica e l’unità con la Chiesa cattolica. Non bisogna trascurare e apprezzare le inestimabili ricchezze spirituali e liturgiche delle Chiese orientali.
Nell’anno in cui si è celebrato il 500 della riforma di Lutero non poteva mancare una parola sul dialogo ecumenico. A giudizio di papa Francesco bisogna continuare il cammino che “è un cammino irreversibile e non in retromarcia. “L’unità si fa camminando, per ricordare che quando camminiamo insieme, cioè c‘incontriamo come fratelli, preghiamo insieme, collaboriamo insieme nell’annuncio del Vangelo e nel servizio agli ultimi siamo già uniti”. Al di là delle diversità e forse anche del sospetto e della paura la Curia opera per favorire gli incontri ecumenici.

L’ultimo campo di azione è quello dell’incontro e del dialogo con le altre religioni in modo particolare con l’Ebraismo e l’Islam: Papa Francesco richiama la positività del dialogo “perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”. Egli insiste sui tre fondamentali orientamenti del dialogo: “il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni”.

In fin dei conti la riforma della Curia e cioè il suo servizio salvando il “primato diaconale”, il senso autentico della istituzione stessa, e il ruolo di essere antenne emittenti e riceventi  sono le onde di un benefico tsunami che papa Francesco ha scatenato sull’antico monolito della storica istituzione per renderla atta a essere strumento di una Chiesa “in uscita” e che si pone nel dialogo con le povertà del mondo come “ospedale da campo”.

La rilettura del discorso di papa Francesco va oltre il sensazionalismo di alcune espressioni, rilevate nei commenti a caldo di molti corrispondenti, e ci permettono di riflettere sulla natura del servizio che il papa rende alla Chiesa, impegnata nella salvezza delle anime, la natura diaconale del primato petrino, i sensi originari della Curia in quanto istituzione di servizio umile e collaborativo e la discrezionalità di essere antenne emittenti e riceventi nella fedeltà al servizio di Pietro “custode della verità, ancora di speranza e fuoco di carità”.

 




                           

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