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Biotestamento, il civile diritto di poter scegliere

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biotestamento-editoriale


di Gianni Nicastrogianni2

La vita è sacra -laicamente parlando- va tutelata, sostenuta, salvaguardata. Ma la vita può inclinare in situazioni e condizioni che ne snaturano il senso, che la svuotano della necessaria vitalità, che la riducono a mera sofferenza. Condizioni causate da incidenti devastanti o da malattie degenerative inguaribili. Ecco, in queste condizioni, di fronte a una medicina e una tecnologia medica che tengono in vita la sofferenza, più che la vita stessa; di fronte a questo, una persona deve poter avere la possibilità di esercitare il diritto di scegliere, non l'obbligo, il diritto di scegliere se continuare a soffrire per poi morire, o se morire e basta.

La nuova legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) offre questa possibilità a persone sottoposte all’alimentazione e idratazione artificiali, due “trattamenti sanitari”, ai quali la legge precisamente si riferisce (art. 1 comma 5), che presuppongono la non autosufficienza a rimanere in vita. Chi vede nelle DAT l’anticamera dell’eutanasia, o l’eutanasia tout court, vede la legge n. 2801/2017 con la lente distorta del pregiudizio ideologico.

Questa legge “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 1 comma 1)”. I trattamenti a cui si riferisce sono ben circoscritti: “Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici (art. 1 comma 5)”.

La persona può disporre anticipatamente, in tutte le forme previste, di avvalersi dei “trattamenti sanitari” o di rinunciarvi; può cambiare idea in qualsiasi momento in un senso o nell’altro.  Può nominare un fiduciario che eserciti la sua (del “disponente”) volontà in materia di “trattamenti sanitari” in assenza di autodeterminazione, allo stesso modo lo può revocare in qualsiasi momento senza dare nessuna spiegazione. E’ una legge contro l’accanimento terapeutico, tanto criticato da tutti, anche dai cattolici. “Nei casi”, infatti, “di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati (art. 2 comma 2)”, questo per il rispetto che si deve avere della vita e anche della morte.

Nel caso di “minori e incapaci” le decisioni sono in capo a chi esercita la “responsabilità genitoriale” o al “tutore”, ma anche qui con importanti garanzie: “Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria (art. 3 comma 5)”. Nulla è lasciato al puro e semplice libero arbitrio.

Sono le “prognosi infauste”, la prospettiva di una morte lenta ma inesorabile, che hanno imposto il diritto alle DAT, per evitare situazioni drammatiche di inutili sofferenze come nei casi Welby, DJ Fabo e altri. Di fronte a simile situazioni “il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali” non solo “possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente”, ma anche (“ovvero”), e io direi soprattutto, possono essere disattese quando “sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”. Questo è un passaggio fondamentale della legge in questione fissato nel comma 5 dell’art. 4, un passaggio fondamentale che garantisce al medico, nel caso si palesi una cura che allevi la sofferenza e dia una prospettiva nuova di vita, di disattendere le DAT, di continuare nella terapia ma con finalità di cura. In una situazione del genere medico e fiduciario possono trovarsi in disaccordo, e anche qui la legge garantisce la terzietà della decisione affidandola a un giudice. Il comma 5 dell’art.4, infatti, conclude così: “Nel  caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi del comma 5 dell'articolo 3”, prima citato.

Ritengo che questa sia una legge buona, una legge che colma in modo civile l'intollerabile lacuna prima presente nel nostro ordinamento giuridico; fa fare un importante salto di qualità ai diritti delle persone che si trovino in condizioni difficilmente definibili vita. Certo, è una scelta difficile per tutti, ma  è “una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare. «Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire»” *.

Biotestamento, il testo della legge


*Papa Francesco, messaggio al “Meeting Regionale Europeo della ‘World Medical Association’ sulle questioni del ‘fine-vita’ (Vaticano, 16-17 novembre 2017)”.

 

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