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Biotestamento. DAT finalmente arriva in porto…con mareggiata!

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di Sac. Pasquale Pirulli
don pasquale foto
Gli antichi romani a segnare un giorno fortunato commentavano “Dies albo signanda lapillo!” (Un giorno da contrassegnare con la pietruzza bianca!). Da parte mia a segnalare il giorno in cui il Senato ha dato la sua approvazione alla legge sul Biotestamento mi verrebbe da scrivere: “Dies nigro signanda lapillo!” e questo a dire la perplessità dinanzi ad una legge che più che risolvere i problemi del fine-vita li riduce ad un puzzle di asettica ingegneria politica sanitaria che gioca sui ruoli dell’ammalato e del medico, e  trascura la morale e i valori autentici della persona e della vita  nella dimensione personale, familiare e sociale. E’ vero che i risultati della votazione finale sono netti: 180 favorevoli, 71 negativi, 6 astenuti e sono stati salutati dall’applauso di una inedita maggioranza PD M5S e Sinistra. Il premier Paolo Gentiloni  ha commentato l’esito della votazione finale: “Dal Senato via libera a una scelta di civiltà.

Un passo avanti per la dignità della persona!!”.  La Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini ha manifestato il suo entusiasmo: “L’approvazione definitiva della legge Sul biotestamento è un importante e positivo atto di responsabilità del Parlamento. D’ora in poi i malati, le loro famiglie, gli operatori sanitari saranno meno soli in situazioni drammatiche”. I Parlamentari M5S hanno dichiarato in un loro comunicato: ”Oggi è il giorno della responsabilità. Un giorno in cui il Parlamento di questa aberrante legislatura potrà riprendersi il merito e l’orgoglio di aver consegnato una pagina di civiltà al proprio Paese”. Lo stratega di questa difficile navigazione Matteo Renzi, segretario PD, forse ricordando i suoi trascorsi di servizio negli scouts, ha detto: “Si tratta di un passo avanti nella direzione della libertà e della consapevolezza dei diritti del malato.

L’impegno adesso è accompagnare con cura e amore, e sempre con maggiori risorse, chi vive la malattia. Accogliere, prendersi cura, accudire. E rispettare la liberta. Sempre!”. Chiudo questa carrellata di pareri citando quello dell’amico Prof. Dott. Onofrio Resta dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro: “Una legge per la dignità della persona, per la sua libertà anche quando può solo raccomandarsi al Signore, una legge che libera famigliari che si trovano nell’atroce scelta di un momento che nessuno vorrebbe vivere, una legge che libera anche noi medici che ogni giorno ci scontriamo con la nostra impotenza di fronte a chi ha già deciso per noi e molto sopra di noi".
Il testo legislativo approvato nei suoi punti essenziali dispone quanto segue.
Il titolare della DAT deve essere un maggiorenne  capace di intendere e di volere e deve indicare nell’atto un suo fiduciario per l’esecuzione. Per il minore intervengono i genitori o chi esercita la patria potestà.
La forma è l’atto pubblico o scrittura privata o anche con videoregistrazione davanti a notaio, pubblico ufficiale p medico del SNA o convenzionato. L’atto  delle DAT si può sempre revocare oralmente davanti a due testimoni.

La materia delle DAT sono i trattamenti sanitari, le scelte diagnostiche, terapeutiche comprese le pratiche di nutrizione o idratazione artificiali.
Quanto al rapporto con il medico si dispone non solo la pianificazione delle cure condivisa che il medico esegue, ma lo stesso sanitario ha la facoltà di esprimere “obiezione di coscienza” circa l’atto ultimo di “staccare la spina”, e allora deve essere sostituito da un altro presente nella struttura sanitaria anche se privata o cattolica.
L’attento esame del testo legislativo in cui si evidenzia il sospetto di una eutanasia omissiva (il medico non somministra le terapie utili alla vita) e commissiva (l’atto di staccare la Peg della alimentazione e idratazione artificiali), la generica indicazione delle circostanze e delle motivazioni, il potere decisionale dei genitori  e dei rappresentanti legali sulla vita dei minori e degli incapaci, l’assenza del medico al momento della redazione delle DAT e l’esclusione che il paziente incosciente nel momento ultimo possa aver cambiato idea circa la volontà suicida, e ancora l’accusa al medico di essere autorizzato ad eseguire un omicidio, suggerisce a Roberto Cascioli di “La Nuova Bussola Quotidiana questi decisivi rilievi negativi: “Primo si introduce un vero e proprio diritto a morire, declinato come diritto di togliersi la vita lasciandosi morire e diritto di farsi uccidere. Secondo: si introduce un diritto ad uccidere sia in capo ai genitori e altri rappresentanti legali sia in capo al medico, dato che tale potere di uccidere viene legittimato da una norma giuridica. Terzo: si introduce il dovere di uccidere in capo al medico dietro richiesta del diretto interessato anche quando non è più vigile, ma che ha redatto le DAT al fine di voler morire, e dei genitori, tutori etc.”.

Su questa materia delicata non ha fatto mancare la sua parola papa Francesco che ha rivolto il suo messaggio di saluto ai Partecipanti al Meeting Regionale Europeo della “World Medical Association” che discuteva sulle questioni relative alla fine della vita umana. In un primo momento egli riconosce  che “la medicina ha infatti sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica “ e consiglia “un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona. Ripercorrendo le orme del papa Pio XII egli dichiara “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito “proporzionalità delle cure”. Si tratta in definitiva della rinuncia all’accanimento terapeutico.

Ci si confronta con la concreta situazione umana mortale e perciò: ”Non si vuole così procurare la morte; si accetta di non poterla impedire” (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278) Bisogna sempre distinguere la rinuncia all’accanimento terapeutico dall’eutanasia, “la quale rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”.  Circa gli interventi medici clinicamente  proporzionati non si può dare una regola generale. Per il papa “Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano”. 

Non bisogna trascurare la importanza della persona malata e quindi non sottovalutare il fatto che “Le decisioni devono essere prese da paziente, se ne ha la competenza e le capacità E’ anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancate”.  Il papa denunzia l’ineguaglianza terapeutica determinata dalla disponibilità economica delle persone sia nei diversi continenti sia anche nei paesi ricchi. A tutti questi problemi medici e sociali la Chiesa nel suo atteggiamento si ispira la pagina evangelica del Samaritano (Lc 10, 25-37)  e raccomanda di “non abbandonare mai il malato” proprio in un momento in cui la paura della morte induce “alla tentazione di sottrarsi alla relazione”. E’ un impegno cristiano quello della solidarietà verso l’ammalato terminale. “Ciascuno dia amore nel modo che gli è proprio, come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia! E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte”. Una preziosa indicazione papa Francesco offriva ai legislatori: “In seno alle società democratiche, argomenti come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri… Anche la legislazione in campo medico e sanitario richiede questa ampia visione e uno sguardo complessivo su cosa maggiormente promuova il bene comune nelle situazioni concrete”.

La rivista “Aggiornamenti Sociali” con il Gruppo di studio sulla bioetica nel numero agosto-settembre aveva espresso un parere positivo sul testo legislativo sulle DAT con lo slogan: “Custodire le relazioni: la posta in gioco delle DAT”.
A parere di Alberto Gambino, prorettore dell’Università Europea di Roma, assistiamo “ad una vera e propria eclissi della ragione” ed egli ricorda che: “la stragrande maggioranza di medici, specialisti, oncologi, bioeticisti, giuristi associazioni di cittadini auditi dal Senato (ben 37su 42) hanno argomentato che il disegno di legge andava modificato” ed ora, a votazioni conclusa “saremo sommersi da slogan che inneggeranno alla vittoria dei diritti civili, quando invece saranno tutti gli italiani a subire il drammatico peggioramento  delle prassi sanitarie italiane provocate dall’approvazione di questa legge”.

La Presidenza dell’Azione Cattolica Italiana  ha espresso questo sintetico giudizio sulla legge approvata: “Si tratta di un testo che introduce un’accezione estensiva del concetto di terapia e non concorre, invece, a rafforzare la centralità della relazione tra medico, paziente e alti soggetti coinvolti, rischiando di rendere le cose più complesse, invece che più chiare. C’è bisogno di far crescere un dialogo serio tra le diverse culture e le differenti tradizioni politiche che abitano la nostra società sul modo con cui concepiamo la vita e la morte, la malattia e la cura, la libertà e la responsabilità di ciascuno. E questo ci chiede anche di domandarci se in questi anni abbiamo saputo, da credenti impegnati nel mondo, trovare parole, gesti e occasioni per argomentare la convinzione profonda che la vita non è (solo)nostra, non è un bene disponibile, non appartiene (solo) a noi stessi, ma quanto meno, per chi non crede, a tutta la trama di relazioni personali e sociali che le danno forma” Ci si augura che “se e come sapremo fare del passaggio rappresentato da questa legge non una ragione di scontro ideologico ma l’opportunità di cercare di nutrire il nostro tempo con i dubbi, le speranze e le convinzioni che nascono da una concezione di bene radicata nella ragione e illuminata dalla fede”.


                              

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