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"Ci manda don Vito Suglia", di Saverio Ciavarella

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Ci manda don Vito Suglia
La grandezza della semplicità nella figura di don Vito Suglia

di Saverio Ciavarella

Don Vito Suglia non è stato soltanto un pioniere dello scoutismo pugliese e italiano.
Egli ha lasciato un segno profondo anche  nel campo sociale.
Alla fine degli anni 40, in un Territorio pesantemente colpito dal funesto evento della II guerra mondiale, don Vito Suglia con passione e tenacia, organizzò grandi masse di braccianti agricoli, stremati dalla fame, abbisognevoli di ogni cura e assistenza, seduti com’erano, sulle macerie e miserie che la guerra, finita nel 1945, aveva lasciato.

C’era da ricostruire tutto il tessuto sociale delle nostre popolazioni e ognuno doveva fare la sua parte.
Il contenitore nel quale confluirono migliaia di lavoratori agricoli, fu “l’Associazione Cattolica Comunità Braccianti ”.
A livello nazionale, l’Associazione, con i suoi milioni di iscritti, aveva un patronato di Assistenza: l’IPLAS (Istituto di Patronato per i Lavoratori Agricoli Subordinati).
A Rutigliano, la Comunità Braccianti, ebbe la sua prima Sede nei locali sotterranei della Chiesa Madre per poi spostarsi nel 1951, in Corso Cairoli, (Palazzo avv. Michele Troiani) e successivamente nella più ampia Sede di via Roma (ex GIL- Palazzo Moccia).
Migliaia erano i lavoratori agricoli iscritti. I principali collaboratori di don Vito in questo faticoso lavoro di ricostruzione del tessuto sociale, civile ed economico, non ché religioso, tra gli altri, furono i volenterosi Michele Dellerba (detto il cerino), i fratelli  Nicola e Francesco Vavalle (detti Magazzeno) Michele Dibattista (detto il panaro), Nicola Valenzano, Leonardo Carbonara e Michele del Pozzo.

Questi, tutti braccianti, furono coordinati e diretti prima dal giovane studente Nicola Ciavarella e successivamente da Vito Vittorio Berardi e ancora dopo da Pierino Valenzano, Pinuccio Renna e Franco Redavid i quali però, si occuparono principalmente delle ACLI.
Immenso fu il lavoro compiuto da questo gruppo di volontari e volenterosi, in quanto si trattò di dare assistenza e previdenza in tanti settori, attraverso gli appositi  fondi provenienti dal  Piano Marshall e della Pontificia Opera Assistenza (POA).

In quegli anni, si organizzarono corsi di alfabetizzazione e molti cantieri di lavoro, uno dei quali fu lo spietramento di vari ettari della lama Cecco Severini al fine di ricavarne fertile terreno da utilizzare per impiantare anche vigneti.
Detti terreni, venivano poi, affittati ad un prezzo simbolico, agli stessi braccianti agricoli che avevano partecipato ai lavori.
La fama della figura di don Vito, sacerdote lavoratore, si diffuse ben presto in tutta Italia.

A tale proposito, racconto brevemente un episodio di vita vissuta:
sono le ore 10.30 del 10 Marzo 1988 siamo al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale in via Mario Pagano,3 – Roma.
Nelle vesti di stretto collaboratore dell’allora Ministro competente, On. Rino Formica. ricevo il dott. Giuseppe Scaringella, Presidente Nazionale della Comunità braccianti e Mons. Riccardo Zingaro Cappellano generale della Comunità e fondatore, insieme al Card. S.E. Corrado Ursi, della comunità braccianti che aveva, come Patronato, il citato IPLAS, (solo nei giorni scorsi ho appreso che Mons. Zingaro appena ordinato Sacerdote, venne mandato a Roma, presso la Fondazione Pro Deo, dall’allora Vescovo di Andria e rutiglianese Mons. Giuseppe Di Donna, a specializzarsi in giornalismo e problematiche sociali. - v. vol. 4 di don Pasquale Pirulli - Epistolario del Venerabile Mons. Di Donna – Le lettere andriesi personali.
Mons. Zingaro e il Card. Ursi amici di Mons. Michele Mincuzzi Vescovo ausiliario, prima a Lecce e poi a Bari, fondarono a fine anni 40 l’Associazione Comunità Braccianti, col pieno sostegno di Mons. Ferdinando Baldelli, Presidente della POA - Pontificia Opera Assistenza -).
Quel giorno, Scaringella e Zingaro, presentandosi sorridendo, mi dissero: “Ci manda il tuo Parroco don Vito Suglia” aggiungendo: “Saverio, questa cosa bisogna farla, perché è giusta e necessaria!”

Si trattava infatti, di una legittima richiesta di rimborso di notevole somma che, per legge, spettava al Patronato IPLAS come ad altri patronati e che per questioni burocratiche, al fine  anche di verificarne la massima trasparenza, erano bloccate presso il Ministero.
L’IPLAS rischiava di fallire per mancanza di liquidità e con il Patronato, la Comunità dei Braccianti.
In quel momento io pensai all’affettuosa “sfuriata” che il mio parroco don Vito mi avrebbe propinato la successiva Domenica mattina a Rutigliano e d’altra parte, solo la lentezza farraginosa della burocrazia teneva bloccate quelle giuste richieste.
Fu così che, alla loro presenza chiamai il Dirigente ministeriale competente al quale sollecitai la liquidazione di quei rimborsi, previa una scrupolosa verifica amministrativa e contabile.

Tanto, avvenne in brevissimo tempo, salvando i Patronati da un sicuro fallimento.
Di ritorno da Roma, dopo qualche giorno, percorrendo a piedi piedi via Turi, il sempre presente don Vito, eterno basco in testa, davanti al sagrato della Chiesa dell’Addolorata, col sorriso e l’affetto di sempre, in dialetto mi disse: “Savé menoml ca la fatt chedda cous.a!”.
Io ebbi un attimo di felicità!
Se don Vito fosse ancora in vita, sarebbe stato particolarmente amato anche dal Papa Francesco in quanto egli è stato “pastore e non funzionario, mediatore e non intermediario, venuto per servire e non per essere servito”

Rutigliano, 6 Febbraio 2014