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“INFILTRAZIONI MAFIOSE”, UN GRANCHIO COLOSSALE

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L’altro ieri l’interrogazione parlamentare dall’On. Pierfelice Zazzera ha fatto capolino in consiglio comunale con tutto lo strascico di polemiche che ha suscitato. Una interrogazione sulle “irregolarità negli atti posti in essere dalla giunta e da alcuni funzionari responsabili degli uffici tributi e ragioneria, rispetto al censimento generale ICI”, sulla ditta del fratello del vicesindaco Pasquale Redavid, che svolgerebbe da anni un servizio riaffidato senza gara d’appalto o una qualsiasi altra forma di selezione, e su “gravi violazioni in materia urbanistica poste in essere dal consiglio” in riferimento all’approvazione di una variante a un Piano particolareggiato.

Questioni che sono oggetto di due esposti-denuncia, di cui Zazzera riferisce nella sua interrogazione, uno depositato alla Procura della Repubblica del Tribunale di Bari, l’altro alla Guardia di Finanza della Tenenza di Mola di Bari il 21 novembre del 2010 e firmati -tutti e due- dai consiglieri di minoranza Vittorio Berardi, Pinuccio Valenzano, ,
Giuseppe Valenzano, Giancarlo Defilippis, Pasquale Coletta, Mimmo Gigante e Mimmo Antonelli.

A sollevare la questione, lunedì scorso in consiglio comunale, è stato il consigliere FLI Oronzo Valentini, che ha parlato per primo. A ruota lo hanno seguito tutti, più o meno sullo stesso tenore argomentativo: presidente del consiglio, sindaco e opposizione (il consigliere Berardi era assente).

INFILTRAZIONI MAFIOSE

Sono volate parole pesanti. Valentini: «Alla luce di come è finita la vicenda del ricorso elettorale oggi speravo di fare un intervento di speranza, di auspicio che finisse la stagione dei veleni. Invece è capitata fra capo e collo questa iniziativa dell’On. Zazzera con cui denuncia il fatto che nel nostro
consiglio comunale ci sono infiltrazioni mafiose e, quindi, chiede al ministro Maroni di avviare una procedura ai sensi dell’art. 141 del Testo Unico sugli enti locali per avviare addirittura lo scioglimento del consiglio».

«Sono convinto che non ci sono in questo consiglio comunale e nella giunta persone che traggano beneficio per i propri interessi dal mandato elettivo». Ancora Valentini: «Noi proporremo una mozione per respingere questo tipo di iniziativa che non vede soltanto compromesso il prestigio del consiglio comunale, ma della città intera perché poi se c’è un consiglio comunale di mafiosi evidentemente c’è una città che ha un tessuto sociale che è permeato da questo tipo di attività illecite».

Anche il sindaco se l’è presa allo stesso modo. «Con rammarico -ha detto- e anche con una nota di sdegno prendo atto che la stagione dei veleni per qualcuno non è ancora finita. Un onorevole, del quale non faccio il nome perché penso che non meriti neanche che io lo citi, un onorevole che non ha mai avuto a che fare con la comunità rutiglianese, all’improvviso si sveglia e manifesta interesse nei confronti della nostra comunità».

Rispetto all’attività amministrativa il sindaco ha detto che «tutti eravamo d’accordo sulla necessità di fare una azione seria, forte, diretta a promuovere il nostro territorio, la nostra comunità, le nostre ricchezze… E invece c’è chi si preoccupa di distruggere tutto quello che stiamo costruendo. Io questo non lo accetto, non lo permetterò. Difenderò la comunità rutiglianese fino all’esasperazione».

«Non è concepibile e ammissibile -ha continuato serio in volto il sindaco- che vengano sistematicamente sferrati attacchi nei confronti delle persone, provando a far del male alle persone, alle famiglie, a coloro che per la politica, per la comunità dedicano una parte del loro tempo». «Cosi come non è normale che si provi a far del male a chi svolge le proprie funzioni all’int
erno di questo ente, perché sono tutte brave persone».

Ancora Roberto Romagno: «Innanzi tutto vorrei manifestare la mia totale e completa solidarietà a tutti i funzionari dipendenti comunali che ahimè per queste logiche purtroppo molte volte si vedono coinvolti». Da notare, qui, che il sindaco non ha espresso la stessa solidarietà al suo vice, pesantemente chiamato in causa da Zazzera.

L’opposizione si è ad
eguata al clima di sdegno, prendendo nettamente le distanze dall’onorevole senza proferire parola alcuna circa i motivi, i contenuti della sua interrogazione, motivi che fanno esplicitamente riferimento agli esposti-denuncia da loro stessi presentati.

Ora, qui si tratta di capire che cosa sia successo in realtà, se la reazione, l’enfasi da eventi drammatici, sia proporzionale al fatto in sé accaduto; se non si sia esagerato, non si sia forzato sulle conclusioni della interrogazione per scatenare nei consiglieri comunali un sentimento da “Forte Apache” assediato dall’indiano Zazzera. Se, insomma, è mancato del tutto il senso delle proporzioni e anche un minimo di verifica delle cose scritte in quel documento parlamentare, soprattutto della legge citata.

IL GRANCHIO

L’interrogazione dell’onorevole dipietrino si può tranquillamente e legittimamente non condividere, ma dei sei paragrafi di cui è fatta, maggioranza, minoranza e amministrazione in consiglio hanno discusso solo dell’ultimo, della conclusione. Qui Zazzera chiede “se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti descritti in premessa, e se alla luce di quanto riportato, ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza, per avviare, anche attraverso gli uffici territoriali di Governo, le procedure di cui all'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000” cioè lo scioglimento del consiglio comunale.

Intanto non ha chiesto lo scioglimento tout court del consiglio comunale, ha chiesto al ministro se ritiene “opportuno assumere” una iniziativa che va in quel senso. Alla fine, nel caso, sarà stato il ministro Maroni ha decidere l’stremo provvedimento, non Zazzera. E, comunque, il grande granchio preso da tutti lunedì scorso è che nei casi di scioglimento previsti dal 141 non figurano le infiltrazioni mafiose.

Quella legge parla precipuamente di infiltrazioni mafiose all’art. 143, che Zazzera non cita, denominato “Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti” che dice così: “1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, (…), emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso…”. 

Quello di cui si è così enfaticamente discusso nell’assise consiliare lunedì, dunque, non c’entra con l’art. 141.  I casi di scioglimento previsti dall’articolo citato da Zazzera sono, in sintesi: atti contrari alla Costituzione, gravi e persistenti violazioni di legge, impedimento, decadenza, decesso del sindaco, sue dimissioni, mancata approvazione del bilancio… E’ probabile che Zazzera si riferisse alla lettera “a” del comma 1: gravi e persistenti violazioni di legge in riferimento a due specifici casi.

L'INCOMPATIBILITA' DI REDAVID
Se non si è enfatizzato a quella maniera per ignoranza della legge, allora l’operazione fatta in consiglio comunale da maggioranza e sindaco, alla quale -neanche tanto ingenuamente- ha abboccato la minoranza, è stata quella di distogliere l’attenzione dal problema vero che quella interrogazione, tra l’altro, non evidenzia: la probabile incompatibilità del vicesindaco Pasquale Redavid.

Qualcuno in consiglio comunale avrebbe dovuto chiedere se siamo di fronte allo stesso conflitto di interessi che il consigliere comunale Nunzio Gagliardi denunciò al Tribunale di Bari nel 2003 e per il quale chiedeva l’ineleggibilità (poi trasformata a sola incompatibilità da una modifica di legge) del sindaco Lanfranco Di Gioia il cui figlio era azionista minoritario della solita EuroGest di Vito Redavid che gestiva allora, come gestisce oggi con la Censum S.r.l., l’accertamento ICI al comune di Rutigliano.

Fu fissata la data dell’udienza e, prima che si tenesse, le azioni del figlio furono vendute a uno degli altri tre azionisti di quella società. Se Di Gioia junior non avesse venduto, Di Gioia senior avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni da sindaco.

Nell’EuroGest figura come azionista la moglie del vicesindaco, ma lo stesso Pasquale Redavid è stato uno dei tre costituenti di questa società nel lontano 1994 con il 33% delle azioni su un capitale di 20milioni di lire. Gli altri due azionisti erano Vito Redavid e Lanfranco Di Gioia. A un certo punto Lanfranco e Pasquale uscirono dalla società ed entrarono il figlio del primo e la moglie del secondo con quote azionarie drasticamente ridimensionate (ma questa è un’altra storia che racconteremo a parte).

L’art. 63 della legge 267/2000 (la stessa che cita Zazzera) denominato “Incompatibilità” dice che “Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale: (…) 2) colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della provincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo…”

Ci chiediamo, quello che vale per il sindaco e per il consigliere comunale, vale anche per l’assessore? Noi riteniamo di sì. Magari a sincerarsi fino in fondo dell’incompatibilità di Pasquale Redavid con la carica di assessore potrebbero pensarci bene il consiglio comunale, il sindaco, il presidente del consiglio e il segretario comunale.

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