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Alla “Settanni-Manzoni” la testimonianza dei genitori di Michele Fazio

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 di Gianni Nicastro

«La storia di Pinuccio e Lella ha un merito importante: non è più una storia loro, è diventata patrimonio collettivo. A Bari e in tutta la terra di Bari e anche fuori, Michele Fazio è un nome collegato sostanzialmente alla loro voce, alla loro testimonianza; questo significa che se ogni vittima di mafia diventasse un dolore di tutti, e non solo della famiglia, noi avremmo fatto veramente un cammino enorme». E’ quanto ha detto, nel suo intervento, il prof. Francesco Minervini, ospite dell’incontro che si è tenuto -in videoconferenza- giovedì scorso 8 aprile, organizzato dall’I.C. “Settanni-Manzoni” di Rutigliano sul tema “Le voci della memoria. Giornata in ricordo di Michele Fazio”.

Pinuccio e Lella sono il papà e la mamma di Michele, che aveva 15 anni quando a luglio del 2001 è stato ucciso da un commando di giovani criminali che non ce l’avevano con lui, ma con un presunto boss della fazione opposta reo di essere stato il mandante dell’uccisione di un affiliato al loro clan. I colpi di pistola risparmiarono il bersaglio destinato, colpirono, invece, un ragazzo che si trovava per caso a passare di lì.

Michele stava tornando a casa dopo una serata passata con gli amici, spensierato e con un sogno, quello di fare il carabiniere da grande. Dunque, la cultura della legalità, il rispetto della legge e della convivenza civile era la strada che Michele stava tracciando, o che immaginava, per sé, per il suo futuro, una strada propriamente opposta a quella intrapresa dai suoi giovani assassini.

Gli alunni della “Settanni-Manzoni” hanno partecipato all’incontro con diversi lavori, video e musicali, fatti da loro, sulla vita di Michele Fazio, un percorso raccontato in prima persona come fosse lo stesso Michele a parlare.tesitmonianza-genitori-michele-fazio-0

Nonostante la pandemia, le interruzioni della didattica in presenza, i problemi della didattica a distanza e integrata digitale «quello che state facendo voi ora, fermarsi a ragionare su quello che è successo, è un messaggio di grandissima civiltà» ha detto il prof. Minervini.
La resistenza alla mafia è anche quella di persone che sul nostro territorio «hanno fatto le battaglie, hanno detto cosa si può ottenere, hanno insegnato le modalità della resistenza» o, come si usa dire oggi, «della resilienza», ha aggiunto il professore. Pinuccio e Lella avrebbero potuto continuare a piangere il loro figlio chiudendosi nel dolore, che è innanzi tutto il loro dolore, quello della loro famiglia. Hanno, invece, «continuato a combattere -ha detto ancora il prof. Minervini- anche quando ci si poteva ritirare perché, in fondo, Pinuccio e Lella sapevano benissimo dal primo momento che il figlio non lo avrebbero riavuto più. Invece loro hanno detto no, nostro figlio lo abbiamo perso, ma non abbiamo perso i figli degli altri».

A moderare l’incontro la dirigente scolastica prof.ssa Mariella Melpignano che ha dato, subito dopo l’intervento del professore, la parola a Pinuccio Fazio. Il papà di Michele è stato grande, impavido nella sfida ai mafiosi e alla loro cultura.

Il papà
Dopo l’uccisione del figlio, loro, quelli della criminalità organizzata «pensavano che noi dovevamo lasciare il quartiere, scappare, andare via. No, questo noi non lo abbiamo fatto. Noi abitiamo ancora a Bari Vecchia e non abbiamo nessuna voglia di andare via» ha detto il papà di Michele, col tono e la forza di chi sa di aver fatto la cosa giusta, quella di resistere allo sconforto e alla paura nonostante il dramma, il dolore immenso della perdita di un figlio, lanciando, anzi, una sorta di sfida ai criminali che abitavano nel loro stesso quartiere.

«I balconi di casa, dal giorno 12 luglio 2001 erano chiusi, si soffriva di caldo, ma non importava. Abbiamo cominciato ad aprire i balconi di casa quando hanno arrestato gli assassini di nostro figlio Michele», ha raccontato Pinuccio Fazio. Quel giorno sono tornati a casa, lui e Lella; lei ha aperto «tutti e tre i balconi è ha lanciato un urlo. Perché questo urlo? Perché i balconi di casa erano chiusi, mentre quelli della mafia erano aperti». Lella, dunque, ha aperto i balconi e ha gridato: «Adesso è primavera, comincia una nuova battaglia!». «E questa è la battaglia che noi stiamo facendo. Collaboriamo con le Forze dell’ordine e la magistratura e noi adesso ci affacciamo al balcone, respiriamo il profumo della libertà. Adesso siamo liberi e Bari Vecchia è libera di parlare e di sorridere, è un quartiere libero dalle mafie» ha aggiunto Pinuccio scandendotesitmonianza-genitori-michele-fazio-1 bene l’ultima frase.

Una reazione di grande coraggio, e anche liberatoria, contro il buio e l’atmosfera cupa dentro cui la presenza della criminalità teneva sprofondata Bari Vecchia in quegli anni. Pinuccio e Lella si sono ribellati, hanno fondato un’associazione dedicata a Michele, e non solo per mantenerne vivo il ricordo, «ma per riprenderci il nostro quartiere; io e Lella ci siamo ripresi il quartiere di Bari Vecchia, non lo abbiamo lasciato nelle mani della criminalità organizzata», sono stati loro, i mafiosi, ad andare via da quel quartiere.

La mamma
«Io continuo ancora a lottare, potevo anche fermarmi, invece no». Comincia così Lella, la mamma di Michele, a raccontare la sua storia.
Un intervento che ha toccato corde profonde, emotive, perché il dolore di una mamma per la perdita del proprio figlio è grande, indescrivibile; così come straordinaria è stata la capacità che Lella ha avuto di reagire, parlare della propria storia, perché il riscatto non passa solo attraverso l’arresto e la condanna degli autori di quell’omicidio, il riscatto è anche combattere la mafia nel suo ambiente, nella sua cultura, nella società in cui si muove, intimidisce, impone le sue regole, recluta giovani e giovanissimi come allora lo erano quelli che hanno ucciso Michele.
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Combattere la cultura criminale semplicemente con la testimonianza, parlando con i giovani nelle scuole, partecipando alle iniziative di “Libera”, l’associazione di Don Luigi Ciotti impegnata, come è noto, nella lotta alle mafie. «Io non avevo paura per me», ha detto Lella, «io avevo paura per i miei bambini perché la criminalità non guarda in faccia nessuno, per il potere fanno quello e altro». Non bisogna, quindi, voltare la testa dall’altra parte, come in qualche modo ha fatto lei prima della tragedia, pensando che a lei non potesse succedere. «Dicevo, non toccherà a me… Invece è toccato a Lella. Dopo tanti anni di omertà, è toccato a Lella».

Cose del genere non devono accadere, a nessuno, perché di fronte a simili tragedie «non è facile ragazzi», ha detto ancora Lella. Nonostante il dolore «si va avanti perché è la vita che va avanti», ma il cuore di Lella è andato in frantumi, un cuore «in mille pezzi» e lei non poteva -e non può- «crollare», perché c’erano e ci sono altri figli che ora «sono sposati e hanno bambini». Lella ha dato forza a sé stessa per dare forza a loro perché, se l’avessero vista crollare, sarebbero crollati anche loro. «Mi sono rimboccata le maniche e sono andata avanti, per il bene dei miei figli» e non solo. La battaglia che questi due genitori portano avanti da anni fa, in qualche modo, il bene di tutti perché la loro testimonianza interroga, apre, scuote le coscienze.

Cosa avremmo fatto noi al loro posto, cosa facciamo perché non accadano simili tragedie. Insomma, quell’incontro, anche in modalità a distanza, è stato davvero importante, di grande interesse per tutti. Invitare questi due genitori nella propria scuola, così come qualsiasi altra mamma, papà, figlio, sorella di chi è stato vittima innocente di mafia, è un atto educativo straordinario, di grande civiltà, un confronto su una realtà che spesso si pensa lontana, ma non è così; questa realtà è a due passi dalla nostra vita.

Infine, sono intervenuti Mario Dabbicco, presidente di “Libera” Puglia e Sara Bevilacqua, attrice che ha interpretato Lella in una performance di straordinaria efficacia interpretativa e comunicativa, della quale, in videoconferenza, quella mattina, è stato proiettato il trailer.

 

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