"Fratelli tutti" IV parte. Un cuore aperto al mondo intero
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- Pubblicato Lunedì, 19 Ottobre 2020 09:51
- Scritto da Sac. Pasquale Pirulli
Sac. Pasquale Pirulli
Dall’affermazione che “come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle”, se la si vuole tradurre in pratica, derivano sfide che ci smuovono, ci impongono nuove prospettive e ci invitano a nuove risposte. (128)
Il limite delle frontiere.
Sulle frontiere c’è il dramma storico dell’emigrazione. L’ideale sarebbe quello di creare nei paesi di partenza le condizioni sufficienti ad una vita dignitosa e ad uno sviluppo integrale, ma. quando questo non avviene, dobbiamo riconoscere il diritto di ogni persona a “trovare un luogo dove soddisfare i propri bisogni primari e quelli della sua famiglia”. Nei confronti degli emigranti la fraternità suggerisce un comportamento che si riassume in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Non tanto affidarsi a programmi assistenziali calati dall’alto ma quanto mettersi al loro fianco, nel rispetto delle identità culturali e religiose di ognuno. (129) Nei confronti di chi fugge da gravi crisi umanitarie il papa suggerisce questi atteggiamenti pratici: incrementare e semplificare la concessione di visti, aprire corridoi umanitari, offrire un alloggio adeguato e decoroso, garantire la sicurezza personale e l’assistenza consolare, la disponibilità dei documenti personali di identità, l’accesso imparziale alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari e disporre di mezzi necessari alla sussistenza, la libertà di movimenti e di lavoro; proteggere i minorenni e assicurare loro l’educazione o eventualmente attivare programmi di custodia e di accoglienza, garantire la libertà religiosa, promuovere l’inserimento sociale, favorire il ricongiungimento familiare e guidare le comunità locali nei processi di integrazione. (130) Un altro passo è quello di concedere la piena cittadinanza a chi risiede da tempo ed è positivamente inserito nel tessuto sociale. Il concetto di «piena cittadinanza» dice eguaglianza di diritti e di doveri e considera discriminatorio il concetto e la qualifica di «minoranze» perché isola e apre la strada alla ostilità vicendevole. (131) La politica dell’emigrazione non è questione di un singolo Stato ma richiede una legislazione (governance) globale per le migrazioni, che superi la fase di emergenza e predisponga contemporaneamente nei Paesi di arrivo l’accoglienza e in quelli di partenza lo sviluppo necessario con politiche di solidarietà. (132)
I doni reciproci
Dalla sfida epocale dell’emigrazione deriva un dono che i migranti portano con le loro storie di incontro tra persone e culture e si realizza una opportunità di arricchimento e di sviluppo integrale. A questo positivo fenomeno di reciprocità sono invitati specialmente i giovani che non devono cadere nella tentazione di considerare i loro coetanei come pericolosi perché hanno “la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano”. (133) Accogliere una persona diversa vuol dire rispettarla nella sua identità e favorire il suo sviluppo. Anche le culture nel mutuo incontro avviano un positivo processo di arricchimento vicendevole e superano il rischio di una sclerosi con un dialogo paziente e fiducioso. (134) Papa Francesco porta gli esempi storici degli Stati Uniti, dell’Argentina segnata dall’emigrazione italiana ed ebrea, quest’ultima presente nella città di Buenos Aires con quasi duecentomila persone. (135) Il recente incontro con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb ad Abu Dhabi ha permesso una riflessione sull’incontro tra Occidente e Oriente e i vantaggi dell’incontro e del dialogo tra le diverse culture, segnate dal cristianesimo e dall’islamismo. “L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale”. Bisogna fare attenzione alle differenze culturali, religiose e storiche che sono importanti per la formazione della personalità, ma anche assicurare a tutti i diritti umani generali e comuni. (136)
Il fecondo interscambio
A questo proposito si ricorda che l’aiuto reciproco tra i diversi Paesi va a beneficio di tutti. Lo sviluppo di un Paese sulla base della propria cultura è una ricchezza per tutta l’umanità. Dobbiamo esser consapevoli che o ci salviamo tutto o nessuno si salva. Ci si preoccupa di alcune specie sulla terra, ma dovremmo molto più preoccuparci di alcune persone e di popoli che non possono svilupparsi per la povertà endemica e altri limiti strutturali. (137) La stessa globalizzazione impone un ordinamento mondiale giuridico che promuova la collaborazione internazionale per uno sviluppo solidale di tutti i popoli. L’aiuto ai Paesi poveri si risolve in una ricchezza per tutti. Anche i poveri devono poter far sentire la propria voce nelle decisioni comuni e devono poter accedere al mercato internazionale. (138)
Gratuità che accoglie
L’accoglienza dell’emigrato deve superare il gretto utilitarismo. Si fa il bene perché è bene, senza un tornaconto immediato. Viene rifiutata la politica di accoglienza di alcuni Paesi che discriminano i poveri a vantaggio degli scienziati e degli investitori. (139) La pratica della fraternità non deve risolversi in un commercio, perché Dio dà gratis, senza discriminare tra fedeli e infedeli («fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» Mt 5, 45) e Gesù nel suo insegnamento insisteva sulla “elemosina fatta nel segreto” (Mt6.3-4) e raccomandava ai discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». (140) Bisogna superare i nazionalismi chiusi che si chiudono nell’incapacità di gratuità per una difesa egoistica del proprio benessere. Con questa egoistica mentalità si considera l’emigrato come usurpatore, perché i poveri sono pericolosi o inutili. Solo i potenti sono considerati benefattori. Il papa ammonisce:<<Solo una cultura sociale e politica che comprenda l’accoglienza gratuita potrà avere futuro>> (141)
Locale e universale
Non c’è dubbio che tra la globalizzazione e la localizzazione ci sia una tensione. Si deve instaurare un dialogo e una cooperazione tra questi due estremi che possono annullarsi vicendevolmente. I rischi sono o un universalismo astratto e globalizzante oppure un museo folkloristico di eremiti localisti, Quindi “bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga. (…) Al tempo stesso bisogna assumere la dimensione locale, perché possiede qualcosa che possa esser lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà”. Su questo schema si capisce che “la fraternità universale e l ‘amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Separarli conduce a una deformazione e a una polarizzazione dannosa”. (142)
Il sapore locale
Nel processo di apertura agli altri non si deve rinunciare al proprio tesoro. Un popolo si riconosce nella sua identità che riassume l’amore alla propria terra, al popolo e ai tratti culturali e storici. Da questo substrato saldo e radicato deriva la possibilità di accogliere l’altro e la sua cultura come un dono e avviare uno scambio paritario che si risolve in una ricchezza vicendevole. Amare l’identità del proprio popolo e della propria terra come si ama la propria casa per il bene del mondo. Qui si richiama il significato positivo del diritto di proprietà: “custodisco e coltivo qualcosa che possiedo, in modo che possa essere un contributo al bene di tutti”. (143) L’apporto del proprio tesoro è la condizione previa per un avviare interscambi sani e arricchenti, che ostacolano lo strapotere di una cultura egemone. L’antica storia biblica della torre di Babele e il suo fallimento sta a dire un progetto umano contro la diversità dei popoli e il tentativo di creare una umanità diversa da quella voluta da Dio (Gen 11, 1-9). (144) L’apertura all’universale non deve cedere alla tentazione della superficialità ma deve procedere senza evasioni e sradicamenti, ma mantenendo le proprie radici in terra fertile (storia e cultura del proprio popolo). Si deve valorizzare«il poliedro, dove, mentre ognuno è rispettato nel suo valore, il tutto è più delle parti, ed anche più della loro semplice somma». (145)
L’orizzonte universale
Il giusto ed equilibrato amore per la propria identità (terra e cultura) deve aiutare a superare il narcisismo localistico che si nutre di spirito chiuso e preferisce creare mura difensive. Si deve essere locali con una apertura all’universale e arricchirsi con il dialogo con le altre culture e esprimendo solidarietà con i drammi degli altri. Il localismo si chiude alla bellezza del mondo e manca di solidarietà. La vita localistica non è recettiva e limita le possibilità di sviluppo e percorre una parabola di morte. Ogni sana cultura deve essere aperta e accogliente perché “una cultura senza valori universali non è una vera cultura”. (146) Una mente aperta all’universale è nelle condizioni migliori per interpretare la sua realtà, la propria identità, la propria storia r quella del suo popolo. Il “contrasto” e la “sintonia” con le esperienze altrui facilitano la realizzazione della propria esperienza. (147) L’apertura culturale non contrasta l’identità, ma l’arricchisce di altri elementi. Bisogna superare l’indigenismo perché il confronto facilita l’approfondimento e l’arricchimento della propria cultura. Lo sviluppo dell’identità ancestrale si realizza attraverso nuove sintesi progressive., che eliminano ogni possibile imposizione culturale. 148) Per la costruzione di una società mondiale è necessari ala comunione dei diversi paesi e la loro reciproca inclusione. Nella comunione universale ogni nazione trova la propria integrazione ed esprime la propria originale bellezza. Così “ogni persona che nasce in un determinato contesto sa di appartenere a una famiglia più grande, senza la quale non è possibile avere una piena comprensione di sé”. (149) Ogni popolo deve convincersi che non può fare nulla da solo e gli altri sono quindi necessari alla costruzione della sua vita piena. La consapevolezza della propria parzialità o dei propri limiti non è una minaccia ma la spinta a sognare un progetto comune, perché «l’uomo è l’essere-limite che non ha limite» secondo la definizione di Georg Simmel (cf. Ponte e porta, in Saggi di estetica, a cura di M. Cacciari, Liviana, Padova 1970, p. 8) (150)
Dalla propria regione
Proprio l’interscambio regionale, attraverso il quale i Paesi più deboli si aprono al mondo, fa sì che l’universalità rispetti le singole particolarità. Si auspica una famiglia di nazioni e l’integrazione culturale, economica e politica si deve accompagnare ad un processo educativo in cui si promuove l’amore per il vicino, che diventa il primo passo verso l’integrazione universale. (151) Bisogna recuperare la pratica paesana del “vicinato” anche tra i popoli. Purtroppo la visione individualistica condiziona negativamente le relazioni tra i Paesi e gli altri sono visti e trattati come potenziali concorrenti e nemici pericolosi. (152) Gli accordi dei Paesi forti e delle grandi imprese preferiscono trattare con una controparte isolata, ma i Paesi piccoli e deboli devono fare blocco per evitare di essere emarginati e sfruttati. Ci si deve convincere che oggi nessuno Stato nazionale isolato può assicurare il bene comune della propria popolazione. (153)
Commento
Il papa con estrema coerenza affronta il problema scottante dell’emigrazione, che si risolve in una sfida per chi vuole tradurre in pratica la fraternità universale. Si parla del “limite delle frontiere” che bisogna superare per poter avviare una soluzione al drammatico problema dell’emigrazione. Non siamo ancora nelle possibilità di impedire le migrazioni nei paesi di partenza e quindi si impone ai paesi di arrivo di elaborare una strategia comune nei confronti dei migranti. Si impone per tutti di mettere in pratica quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Sono diverse le azioni che si devono mettere in atto per realizzare questo essenziale programma che va dalla concessione di visti, all’apertura di canali umanitari, dall’attenzione ai minorenni al rispetto della libertà religiosa e ancora il ricongiungimento familiare e i processi di integrazione. Non si può rimandare la concessione della cittadinanza ai migranti che sono riusciti ad inserirsi nel tessuto sociale e qui rispunta la problematica politica tutta italiana della concessione dello jus soli. E’ una illusione quella che uno Stato da solo possa risolvere positivamente il problema migratorio e si auspica che si attivi una strategia a livello mondiale. Non mancano nella storia esempi di paesi che hanno ricevuto grandi benefici dall’accoglienza verso i migranti: Stati Uniti, Argentina. Si valuta positivamente lo scambio di doni che si potrebbe realizzare anche tra l’Occidente cristiano e l’Oriente islamico. Qui rispunta la questione tutta europea dell’accoglienza dei migranti che non viene vissuto come problema della comunità europea ma scaricato sui paesi in cui approdano i flussi migratori. Ci si augura che attraverso l’accoglienza dei migranti si realizzi un fecondo interscambio culturale e si favorisca l’accesso dei Paesi poveri non solo al mercato internazionale ma anche nelle assemblee politiche con pari dignità Si condannano i nazionalismi chiusi e si auspica una cultura sociale e politica che comprenda l’accoglienza gratuita dei migranti.
Una seconda sfida deriva dal confronto tra locale e universale. Ci si confronta sullo scontro tra localizzazione e globalizzazione. Giustamente non bisogna perdere “il sapore locale” delle proprie radici locali (paese, storia e cultura) ma si deve superare la tentazione della chiusura e quindi nell’apertura e nell’accoglienza degli altri avviare un processo positivo di sviluppo. Si tratta di saper far dialogare identità e apertura universale. Un sano regionalismo, che vada oltre la superficialità, permette di conoscere la realtà,. di arricchirla nel dialogo e collaborazione con il diverso è il primo passo verso l’apertura all’universale. Si fa appello alla comunione universale, che si può costruire partendo dalla positiva esperienza del “vicinato”.
Possiamo dire che questo quarto capitolo si sofferma sulla sfida della migrazione e offre una spinta di carattere culturale, ma anche con pungenti richiami politici a passare dal particolare asfittico localismo ad una visione universale che abbraccia tutta l’umanità che avverte il sogno di una fraternità fra tutti gli uomini.