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Romanzo filosofico, ultimo di tanti lavori letterari di un autore locale

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romanzo-michele-albanese


di Teresa Gallone

Che la produzione artistico letteraria locale sia immeritatamente poco considerata è fenomeno noto. Altrettanto nota è la conclusione a cui si giunge: nel sottobosco culturale locale si celano prodotti preziosi. Affermazione che si direbbe scontata ma che tuttavia necessita di dimostrazioni concrete.
Oggi vi voglio parlare dell’attività letteraria di un concittadino, Michele Albanese. Mi riferisco più concretamente alla sua ultima fatica, Il treno della speranza, Il Convivio Editore.

Michele Albanese nasce a Melfi nel 1932, trascorre parte della sua vita a Potenza, si laurea in Lingue e Letterature Straniere e insegna alla Scuola Media Inferiore “A. Manzoni” di Rutigliano. Consegue anche la laurea in Lettere e Filosofia. Ciò che colpisce è la sua consistente produzione letteraria che spazia dalla prosa alla poesia sino al teatro. Cito alcuni titoli: Paranoidea, Cocktail, Arcobaleno e le recenti raccolte Alloro Attossicato, Parnasia Sinfonia, Meteoriti a proposito di poesia, Il signore delle tenebre, Il pianeta Albatros e altri ancora per la produzione narrativa, I precari e Le disavventure del gatto Macao a proposito delle fatiche teatrali.

Quello che apprendo oltre alla lunga dedizione all’esercizio letterario è il motore della passione. Michele Albanese, di personalità schiva a detta del figlio Giovanni, scrive per mantenere inalterate le sue capacità critiche e dialettiche, per perpetuare la memoria del suo pensiero. La letteratura fruita e prodotta è per Albanese il medium per oltrepassare i limiti della finitezza, per vivere oltre il limite imposto dalla natura umana caduca.
La concezione che muove la scrittura di Albanese si basa essenzialmente sull’assenza di limiti intellettuali e sulla palingenesi umana attraverso il pensiero e la ragione. Ciò traspare evidentemente dall’opera di cui sto per parlarvi.

romanzo-michele-albanese-1Il Treno della speranza si apre inaspettatamente con lo scambio di battute fra due personaggi inizialmente senza nome, l’Onorevole e l’Archivista. I due uomini si collocano sulla scena narrativa come se fossero soli a conversare su un palcoscenico sgombro. Lo si nota anche dalla messa in pagina, volutamente simile a quella di un copione teatrale. Si apprenderà in seguito la loro vera collocazione fisica e il loro ruolo all’interno del romanzo. Dalla conversazione frammentaria il lettore apprende un fatto: si parla della distruzione di una città, Edena.

Chiuso lo scambio di battute fra i due enigmatici personaggi, il lettore si trova catapultato in medias res nel corpo narrativo vero e proprio. L’immagine di incipit è quella che dà il titolo al romanzo: il treno, immagine letterariamente carica di significato, metafora del continuo movimento della vita e contenitore di anime in frammenti alla ricerca di unità. Così i personaggi di Michele Albanese appaiono al lettore, terrorizzati dal fluire delle cose, disperati alla ricerca di uno stabile legame con la vita: Alberto è la concretezza, Miriam è la debolezza di una psiche che si affida all’ultramondano perché non regge la realtà, Cecilia è la bellezza e la ribellione vuota al sistema.

Unico contraltare e mezzo di svolta, anche di genere letterario, è Girolamo, il “filosofo pazzo”. La sua follia è etichetta data dalla comunità in cui si espone ma per il lettore egli è foriero di verità, una verità relativa e basata sul dubbio ma comunque lontana da quella degli altri personaggi. Risulta dunque strano che l’autenticità di pensiero del protagonista sia accostata alla pazzia. Un’analogia questa tutt’altro che bizzarra: Girolamo è folle perché ab-soluto, sciolto da quelli che sono i capisaldi del vivere comune e concreto e che ha l’ardire di contestare. Egli è volutamente presente nel romanzo come una sorta di presenza diafana, non sviluppata nel corso della trama narrativa come gli altri personaggi.

A metà romanzo, nel punto della svolta, diventa figura assoluta, un’epifania inaspettata che segna l’irrompere della verità che coincide con la degenerazione degli sviluppi della narrazione. I personaggi comprimari infatti sembrano aver perduto ogni controllo dei loro appigli al mondano, non hanno più senso di esistere. Costoro sono strumento logico nelle mani del narratore che dimostra attraverso il loro sviluppo la vuotezza della vita priva di dubbio. Il monologare di Girolamo (parlo di monologare poiché anche gli interlocutori del filosofo non contribuiscono allo sviluppo del discorso logico che egli conduce praticamente da sé) cancella letteralmente la trama narrativa e sposta il focus del lettore verso il cuore dell’opera, la riflessione dubbiosa e priva di risposte sul mondo e sull’ultra mondo.

Parallelamente si articola anche il dialogo fra Archivista e Onorevole, una sorta di compendio meta testuale della dialettica in corso nell’intero romanzo. Archivista e Onorevole interagiscono senza riferimenti certi al contesto esterno e rappresentano simbolicamente l’intera popolazione della vicenda. Il politico è l’emblema della comunità di Edena, dei comprimari, degli interlocutori di Girolamo, l’Archivista è voce attraverso la quale il pensiero del filosofo è ordinato e reso comprensibile. I loro scambi di battute fungono da incipit ed explicit del romanzo ma si ritrovano disseminati soprattutto nella seconda parte quasi sotto forma di didascalia esplicativa del pensiero di Girolamo.

La conclusione sigilla la tesi di fondo dell’opera: lo squarcio provocato dal dubbio nel velo delle parvenze mondane provoca la distruzione completa della realtà ritenuta ineluttabile. Non può esserci finale definitivo poiché precarie sono anche le risposte che l’uomo, nella sua finitezza, può fornire. C’è solo spazio per un nuovo incerto inizio. La rigenerazione, o la speranza di questa, può costituire l’unico punto di arrivo saldo della vicenda.

Michele Albanese ha chiaro controllo dello sviluppo del suo romanzo, dà inizio e ferma la vita dei suoi personaggi in momenti chiave perché strumentali al suo discorso filosofico.  È narratore onnisciente ma si immerge nelle vicende al fianco dei personaggi di cui chiarifica il pensiero e accanto al lettore con cui è in continuo dialogo. Alterna il discorso della voce narrante, limpido, al diretto e all’indiretto libero dei personaggi, frammentario e caratterizzato da un registro che fonde dialetto italianizzato, ipercorrettismo, anglicismi, voci gergali. Interessante anche la trattazione della materia filosofica per bocca di Girolamo: i concetti vengono privati di ogni complessità sillogistica, sono abbassati per la comprensione totale. Non ne risente il percorso del pensiero che conserva immutate le sue tappe e il valore degli elementi chiave.

L’abbassamento dello stile e del registro è ulteriore veicolo di messaggio per Albanese: Girolamo non può essere elevato sul piedistallo del filosofeggiare alto, non avrebbe ragione di esistere, l’intero romanzo non ne avrebbe. Quella di Girolamo non è follia o filosofia incomprensibile ma stoico tentativo di incrinare la fissità del pensiero, sradicare le fondamenta e sperare, dopo il crollo, nella rigenerazione.

Nella convinzione di non aver esaurito nel mio discorso tutti i motivi e gli spunti dell’opera di Michele Albanese, invito i lettori ad accostarvisi, a continuare o a smentire il pensiero di Girolamo, a dare nuovo volto a Edena o distruggerla definitivamente perché la vita dell’opera letteraria sta nel continuo dialogo con i destinatari. Il treno della speranza ha per me e per le ragioni che ho ampiamente spiegato precedentemente, grande speranza di vita.


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