Rutigliano e i rutiglianesi: sul filo della memoria
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- Pubblicato Sabato, 02 Gennaio 2021 14:15
- Scritto da Vito Castiglione Minischetti
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di Vito Castiglione Minischetti
«Se descrivi bene il tuo villaggio parlerai al mondo intero.»
Lev Tolstòj
CORREVA L’ANNO 1951. Il 29 gennaio si teneva la prima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo, trasmesso in radio, e il 18 aprile l’Italia firmava, insieme a Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, il Trattato di Parigi che fondava la futura Unione Europea. Il Presidente della giovanissima Repubblica Italiana era Luigi Einaudi e il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, i quali chiedevano agli Italiani di perseverare nella ricostruzione del Paese devastato dalla guerra e dal ventennio di dittatura fascista. Il Papa era Pio XII (Pacelli). Il primo sindaco di Rutigliano dell’era repubblicana era stato Sebastiano Pesce, il quale si era impegnato con dedizione nell’opera di ricostruzione umana, sociale ed economica del nostro paesello che allora superava di poco i dieci mila abitanti. Dal febbraio 1950 a settembre 1951, fu sindaco Nicola De Bellis e successivamente il barese Francesco Di Cagno. Mentre, a guidare la Chiesa rutiglianese, c’era l’arciprete mons. Pasquale Antonelli. Ma, soprattutto, a Rutigliano nascevano quelli della “classe del 1951”!
Quest’anno, infatti, i nati dell’anno 1951 raggiungono il nobile traguardo dei 70 anni.
Per celebrare in maniera significativa l’anniversario di tutti i Rutiglianesi nati in quell’anno − avendo un pensiero particolare per coloro che ci hanno lasciato −, ho immaginato, non già per evitare di constatare l’incedere del tempo, di ritrovarsi in una sorta di raduno virtuale dei maturi e incanutiti coetanei per tentare di rimembrare visi, episodi, eventi, ricordi, che appartengono a un’unica memoria, quella di un’epoca e di una cittadina come Rutigliano:
«fra le più belle ... per antica gentilezza dei suoi abitanti ...
è innanzi ad ogni altra per aere pieno di vita e di salute ... »1 .
I nati dell’anno 1951, ormai carichi di ricordi e di storie di vita vissuta che affiorano nella loro memoria − «la storia siamo noi, siamo noi padri e figli...»2 −, e attendono di essere risvegliati per la curiosità di qualcuno che allora non era presente, rammentano che la comunità rutiglianese aveva costume d’incontrarsi nelle processioni religiose con le Confraternite e la banda. I giovani erano indirizzati verso le associazioni parrocchiali e gli oratori, verso le associazioni sportive dove nello spirito di squadra, di appartenenza, nascevano le prime amicizie per la vita. La domenica: la Messa al mattino, il pomeriggio, la partita di calcio al campo sportivo, oppure si andava al cinema “Vittoria” (‘u cìneme vècchije3) o al cinema “L’Acquario” (‘u cìneme nuàeve), quando andare al cinema era una festa. Si svernava così nell’attesa dell’estate.
Gli anziani, venuta la sera, avevano le loro taverne (‘a candèine), i loro caffè, le sedi di partiti politici e sindacali, le associazioni cittadine, le numerose sale da barba... e poi c’era ‘A chiàzze (Piazza Umberto I), luogo “sacro” di vicende storiche, politiche e religiose, illuminata e “scaldata” dalle vetrine dello scomparso Caffè Roma, dove ci s’intratteneva a discutere fino all’ora del frugale desco e da dove un brusìo di voci si elevava e percorreva come una corrente elettrica quella calca, un vociare continuo che ritorna ancora alla memoria delle mie orecchie!
Ogni stagione aveva i suoi appuntamenti e le sue caratteristiche tradizioni. Il primo appuntamento dell’anno, dai colori tipicamente rutiglianesi, era la festa di Sant’Antonio abate e del fischietto a gennaio (Sant’Antuène fríscec é suène), poi il Carnevale, i falò di San Giuseppe a marzo, la Settimana Santa e la festa del “passa pass” il lunedi di Pasqua all’Annunziata. Seguivano la festa di San Pasquale presso l’ex monastero Madonna del Palazzo a maggio, la festa del Carmine con processione, le prime luminarie e la prima Cassarmonica dell’anno a luglio; il 10 di agosto la Fiera di San Lorenzo, seguita dall’allestimento degli Altarini di Ferragosto, dalla festa di Cristo e dalla Sagra dell’uva a settembre.
Per chiudere l’anno, prima delle feste di fine anno, oltre a quella dedicata a San Nicola, il 13 dicembre in onore di Santa Lucia si accendevano la sera e per tutta la notte i falò (i fanòove de sànta Lucìe), per festeggiare il passaggio dal buio alla luce... gustando pettole e vino tannico! Si respirava una religiosità tradizionale, semplice e profonda.
L’ospedale, situato nel convento dei cappuccini di Rutigliano, era il riparo sicuro in cui si rifugiavano nei freddi mesi invernali i malati cronici. Un ricovero quieto e rassicurante per la nostra comunità, il luogo dove i nostri vecchi non si potevano sentire meglio curati.
E poi la Chiesa Madre, luogo di attrazione per eccellenza, sottoposta negli anni ’60 a un processo di parziale debarocchizzazione per il recupero della veste romanica voluto dall’austero arciprete mons. Pasquale Boccuzzi; e, finalmente, l’erezione delle nuove parrocchie di San Domenico e dell’Addolorata rispettivamente animate, con una ventata di modernità per noi giovani, da don Franco Renna e da don Vito Suglia.
Ricordo, per inciso, che Rutigliano poteva vantare il titolo di “Città dei preti”! (oltre ai numerosi monaci). Moltissime erano infatti le “vocazioni” al sacerdozio che sin dai secoli remoti nascevano nel nostro Borgo, al punto che nel 1671 il Sindaco di Rutigliano dovette intervenire inviando un’istanza alla “Sacra congregazione dei cardinali”, poi accolta, «con la quale chiede non promuoversi maggior numero d’individui allo stato sacerdotale perché per l’abbondanza di costoro l’università è ridotta alle miserie per la mancanza delle tasse dalle quali i preti sono esclusi4» .
Gli anni ’50 e ’60 del Novecento sono stati senza dubbio gli anni della speranza di un mondo migliore, anni in cui la spensieratezza e la voglia di fare avevano il sopravvento. Siamo stati la prima generazione favorita dalla sorte a non aver conosciuto la carestia, le pandemie, la guerra... Si guardava positivamente al futuro. Come dimenticare il passaggio dai contenitori per i servizi igienici personali al bagno in casa? Il passaggio dal braciere ai termosifoni? La prima televisione in bianco e nero in casa? II successo straordinario della Vespa e della Lambretta, della Seicento e della Cinquecento, simboli del boom economico anche a Rutigliano? II passaggio dai jukebox ai mangiadischi? Le geniali radioline a transistor per le partite di calcio? I balli dal rock and roll e cha cha cha all’indimenticabile twist e allo scatenato shake? Senza dimenticare il boom della chitarra elettrica degli anni ’60. Bastavano 50/100 lire per ascoltare la nostra canzone preferita al famoso jukebox del Caffè Roma. La main street di quegli anni, la via Roma, era il polmone della città che rendeva vive e animate tutte le vie adiacenti, era il luogo di mercato quotidiano, costellata di botteghe di ogni genere e dal viavai continuo della gente.
Si andava all’asilo con il pranzo nel cestino; a scuola, secondo i metodi pedagogici più rigorosi, si prodigavano anche le bacchettate sulle mani(ne); si facevano i corsi di dattilografia e stenografia organizzati spesso dalle nostre parrocchie; le escursioni e le vacanze erano per lo più fuori porta: sotto la Pineta, ai Cappuccini, alle chiese rupestri, nelle macchie rutiglianesi o sino alle spiaggie limitrofe...
«Che tempi quelli
Na na, na na, na na»... (canta Mia Martini)5 .
Ecco, il tempo è filato via velocemente! Per quanto riguarda il rimembrar delle passate cose... credo, ormai, sia giunta l’ora della serena accettazione di quanto operato. E di acqua sotto il ponte ne è passata tanta. Nel corso dell’anno 2021 − che ci auguriamo di buon auspicio − quando sarà giunto il momento, ognuno potrà serenamente festeggiare il dì natalizio, e con la convinzione che il cuore e la curiosità non invecchiano affrontare senza risentimenti né eccessivi rimpianti il domani, «come quando il giorno concede al tramonto la sua luce più intensa e più vera».
Intanto, mi piace qui ricordare, come un diaporama, alcuni personaggi di quegli anni (facendo appello alla vostra indulgenza per le lacune inevitabili) che hanno “scritto” pagine di vita quotidiana della nostra Rutigliano6. Personaggi che hanno caratterizzato la nostra infanzia e giovinezza, con i quali a tratti abbiamo vissuto momenti in comune, come una famiglia al di là di ogni appartenenza esplicita, e che oggi ognuno di noi racconta ai figli e nipoti. Personaggi che non sono stati eroi o celebrità, ma persone umili e consapevoli, lontane dalle dissipazioni, calati nella vita di tutti i giorni in un piccolo universo com’era Rutigliano intorno agli anni ’50 e ’60. Personaggi con una esistenza dignitosa che non si lasciavano abbattere dalle difficoltà della vita, intessuta di minime cose che bastavano a riempirla e darle un senso, con una forte dose di speranze ma di felicità schietta derivante dalla vita semplice e pulita. Sono i miei personaggi, i Nostri personaggi, nei piacevoli ricordi di Persone Contente:
― Erano felici e contenti i Bambini degli incantevoli fiocchi della storica nevicata del 1956 e del fresco povero dolce preparato dalle madri con la neve e il vincotto.
― Erano contente le Donne dopo una giornata di lavoro in casa di poter recarsi in chiesa, col vestito buono, e partecipare alle funzioni religiose.
― Erano contenti i Preti perché la gente andava in chiesa la domenica e alle altre feste comandate, osservando i precetti religiosi.
― Erano contente le Mamme e le Nonne di stare in mezzo ai fornelli a preparare piatti tipici della nostra cucina, o i numerosi dolci del periodo di Natale e Pasqua.
― Erano contenti i Vecchi di starsene seduti su una sedia impagliata o su una panchina al sole primaverile e autunnale o all’ombra dei lecci della Villa comunale a leggere il giornale, a rimembrare i giorni belli della giovinezza o ad inseguire con lo sguardo il volo festoso delle rondini intorno al Monumento ai Caduti.
― Contente erano le Donne di scambiarsi la ricetta della torta alla crema, o di fare quattro chiacchiere con le vicine di casa, magari accompagnate da qualche gustoso pettegolezzo di paese che, come affermava Umberto Eco, svolgeva anch’esso «un’utile funzione di coesione sociale»... sul fondo di canzoni alla radio che innondavano e animavano le stradine del centro storico.
― Furono contenti anche i Bambini di Rutigliano di ricevere (virtualmente) la carezza di Papa Giovanni XXIII nel suo celebre "discorso della luna".
― Erano allegri e contenti i Ragazzi, dopo avere fatto i compiti assegnati dai maestri, di ritrovarsi alle Quattro Fontane ed improvvisare giochi con l’acqua, di beneficiare degli spazi del centro storico, in tutta sicurezza, per giocare con il pàttino, allo scivolo, alla corsa col cerchio di bicicletta, a Tuppe tuppe!, a ce-ijè (gioco-dialogo scherzoso), a far girare ‘u verrùezzele (la trottola), ma soprattutto erano contenti al passaggio del carretto del gelato de Ceccì(e)lle ‘u gelatëre.
― Erano pure contenti i vari maestri di esortare i loro scolari a tralasciare le espressioni dialettali e di incitarli ad esprimersi in lingua italiana.
― Erano contenti i Signori di trovare operai per i lavori più pesanti che comportavano sudore e fatica ai limiti della sopportazione umana.
― Erano contenti i Braccianti, la sera, mì(e)nze ’a chiàzze, di trovare il lavoro (de permètte) per l’indomani.
― Erano contenti i Lavoratori poveretti, il «popolo di formiche», condannati dalla sorte a lavorare da mane a sera col groppone piegato, di guadagnare un tozzo di pane per i loro figli.
― Contenti e fiduciosi erano gli Emigrati di partire verso terre lontane alla ricerca di un possibile riscatto dalle misere condizioni economiche in cui versava una larga parte dei Rutiglianesi. I lavoratori italiani disoccupati dovettero, come incoraggiava De Gasperi, imparare le lingue...
― Erano contenti gli Uomini di trattenersi nel borgo, di andare a fare una partita a carte nei vari luoghi di "conversazione" o anche un quartino alla candèine de Perràune (Cantina-osteria Troiani).
― Erano contenti i Rutiglianesi, di ritorno dal pellegrinaggio annuale al Santuario di San Michele sul Gargano, di sfilare sulle biciclette addobbate di piume ed effigi del Santo, scampanellando per le vie del paese.
― Contenti e felici erano gli Innamorati di incontrare ‘a Uagnéedde al viale della stazione, e poi magari di appartarsi, al riparo della curiosità della gente.
― Contenti erano i vigili: Farella, Poli e Valenzano ed anche De Gregorio, Laforgia, Tangorra... perché il loro compito era quello di fornire assistenza e di vigilare che tutto fosse in ordine nel Paese, che i ragazzacci non rompessero i lampioni sospesi fra le viuzze; erano contenti perché non avevano ancora da badare al caos insensato di automobili; erano contenti di fare spazio, ogni tanto, a qualche traìjene o sciarrètte; o al prete che, accompagnato da due chierichetti, passava per le strade per portare il Viatico ai moribondi o quando c’erano le processioni.
― Era forse contento il vigile urbano soprannominato Cinghecì(e)nde, quando non era intento a fare multe, per l’appunto da cinquecento lire, di riuscire a confiscare il pallone con il quale ci permettevamo di giocare nelle strade e nelle piazze.
― Era contento don Francesco Giampaolo, il nostro «burbero benefico», di aver vinto la Sua Bella “Giulietta” (Alfa Romeo, s’intende!) grazie al Caffè Roma, di aver creato la FUCI e di essere giunto, in fine, ad edificare la “Sua” Parrocchia (Cuore Immacolato di Maria).
― Era contento don Giuseppe Meliota, prete «reclutatore vocazionale», quando riusciva ad attirare i ragazzi (dei quali alcuni erano reclutati per il Seminario) presso l’oratorio di via San Giuseppe intorno al calcio balilla, al biliardino con funghetti, al tavolo di ping pong... o al piccolo campo sportivo del rione di Sott’à Fragàsse.
― Era contento don Antonio Lombardo, anima candida, di consolare con voce dolce e suasiva, le povere mamme ridotte allo stremo delle forze per i numerosi figli – “eroine” di quei tempi – proferendo loro: «È la Divina provvidenza!».
― Contento era don (mons.) Agostino Pedone, sacerdote mite, di grande spessore umano e culturale, di rivolgersi a noi ragazzi, tra i diversi insegnamenti, invitandoci a non dimenticare il nostro dialetto, di parlarlo di tanto in tanto, aggiungendo: «capirete più tardi!».
― Era contento don Franco Renna, fra le tante iniziative intraprese tra cui la creazione dell’Azione Cattolica e della GIAC, di aver organizzato in particolare, per la comunità di San Domenico e per la vita rutiglianese, il Carnevale piccolino con la sfilata di carri allegorici e le maschere portate da Parigi! ed anche il Baby festival della canzone...
― Era contento don Lorenzo Renna di partire per il Brasile come missionario, nelle favelas della popolosissima città di San Paolo.
― Era contento don (mons.) Vito Suglia, prete anticonformista, di “stare in mezzo”, come lui diceva, di alternare la talare, la tuta dell’operaio e l’uniforme scout.
― Era contento fra Gennaro da Cutrofiano, frate laico questuante del Convento dei Cappuccini, di percorrere le vie del paese riuscendo a riempire le bisacce di cibo per i frati, e per i poveri.
― Era contento il Caffè Roma, luogo di ritrovo per eccellenza, di accogliere indiscriminatamente nelle sale biliardi giovani universitari, disoccupati e professionisti, operai e impiegati, contadini e commercianti; ma, Giuannèine Cardàscje era ancora più contento di creare con passione i famosi gattò (torte nuziali) e spumoni al caffè bianco, paste, dolci e gelati di ogni genere: vere opere d’arte!
― Era contento il Bar-Pasticceria Verna (Antonio e Giustina Verna), allora in Piazza Cesare Battisti, di presentare dietro il bancone e la vetrina dolci e gelati artigianali di grande qualità, di preparare spumoni e cassatine per le feste cittadine e una varietà di dolci, paste fresche e pasticcini: una gioia per i nostri occhi... golosi!
― Contenti erano la vispa Teresina e il bravo Ninuccio (Clemente) di aver creato per i giovani, in piazza XX settembre, un ambiente unico, “esotico”, nel perfetto stile dei “Saloon Bar” del vecchio West con le porte tipiche in legno ad ante che si aprivano in entrambi i sensi, nel quale non mancava nulla − mancava solo, forse, qualche spettacolo di ballerine di can-can o scene di bagarre generali! −, dalla gelateria artigianale alla tea-room, le sale biliardi, le cabine telefoniche e, soprattutto, la indimenticabile grande terrazza che dominava la piazza.
― Era contento Velardèine Muss’chenìgghie (Berardino Avella) di fare bizzarre apparizioni nel carnevale rutiglianese sul suo scerabbàlle o ‘u traìjeine, e di dedicare irriverenti motti di spirito e pungenti stornelli e serenate ai notabili e non del paese, accompagnandosi col suo organetto.
― Era contento Mimì Saffi, detto Cecch’andré, l’inossidabile consigliere comunale, una specie di Peppone alla Guareschi, di salire sul palco durante le “festose” campagne elettorali per ammonire, consigliare, esortare i sindaci democristiani di turno.
― Erano anche loro contenti, il severo Ceccì(e)lle Dibattista e il garbato Mèst Vetùcce Romagno, le maschere del Cinema L’Acquario, di accogliere e accompagnare il pubblico con una piccola luce che ti guidava in una nebbia di fumo al posto libero.
― Erano contenti I Principi, storico gruppo musicale rutiglianese, con la voce strepitosa di Mimì Lepore, di preparare le future pubbliche esibizioni nel sottano di via Pantoscia, permettendoci di assistere alle loro prove.
― Erano contenti i figuli Lamparelli e Samarelli di sfornare a iosa tièdde e peggnjëte, antichi accessori della cucina rutiglianese, ancora in uso, per le lunghe cotture; il tutto rigorosamente in terracotta locale.
― Era contento il falegname Mimì Martella, nel basso di via Porticella, di avvicendare la «sega del legnaiuol» e le serenate con il mandolino per gli amici che volevano ascoltarlo.
― Erano contenti i numerosi Verevèjre (barbieri), molti dei quali situati nel borgo antico (Avella, Cardascia, Colamussi, Divittorio, Dioguardi, Gialò, Guarnieri, Pavone, Sànapo, Spagnuolo, Troiani etc.), di ricevere visite assidue dei loro clienti e di fare, taluni, quali veri Figari, dopo una barba e capelli un po’ di musica.
― Era contento il campione italiano ed europeo Michele Barone, «la montagna che cammina», o meglio, «il Gigante buono» (credo che evitasse di percorrere la via Passatutti!), quando tornava nella sua Rutigliano, di esibirsi in raffazzonati incontri di lotta libera e di boxe.
― Era contento Narduccio Merco, dallo sguardo nobile e pacato nella sua corrozzella, di vendere caramelle e cioccolatini vicino al Cinema L’Acquario.
― Era contento il maestro Minguccio Giummarella, dotato di grande sensibilità e gusto, seduto sullo sgabello davanti alla sua bottega di via Michele Troiano, d’imbastire abiti tagliati e cuciti su misura che rendevano eleganti gli uomini del paese.
― Era contento Vito Romanazzi, giardiniere, fiero e scrupoloso nella cura della nostra Villa comunale, di accogliere i novelli sposi per le foto di rito, in particolare, intorno alla nuova e bella Fontana.
― Era contento Tanino (Poli) giornalaio del borgo antico, di riuscire a creare una specie di mini “circolo di conversazione”, nel suo storico e angusto locale, di fronte alla Chiesa Madre e a fianco dell’ex Caffè Roma.
― Era contenta Bicétte (Teofilo) di avere nella sua merceria della chiazzòdde d’u péscje (Piazza Colamussi) tutto quello che poteva servire alle nostre mamme e sorelle.
― Era contenta la popolarissima Luisétte (Ottomano) di avere sempre gente nella sua “Rivendita Sale e Tabacchi”, situata nell’antico e grazioso palazzetto in pietra semibugnata di via Porta Nuova, angolo Corso Mazzini, di fronte al Cinema “L’Acquario”.
― Erano contenti i Mìgno-Màgne (Alfredo Magno & figli) di riuscire a soddisfare tutte le esigenze della clientela grazie alla loro fornitissima merceria sempre affollata in via San Giuseppe.
― Era contento Mengh’rocch (Domenico Rocco Lucente) in piazza Cesare Battisti, storico generi alimentari, vero emporio dagli odori pungenti, di presentare un’ampia offerta di prodotti conservati nei barattoli e nei cassetti in legno verniciato con le targhe metalliche.
― Era contento Stòppe e’ crèine (Francesco Amodio) di vendere ogni tipo di frutta secca tra cui le famose castàgne d’u prèvete con la sua bancarella “imbandita” e postata all’inizio del viale della Stazione.
― Era contento Nanùcce ‘u cònza-sìeggie (Gaetano Poli) di aver appreso l’arte del “seggiaro” da suo padre e di continuare ad impagliare sedie intrecciando fili di paglia con le proprie mani.
― Forse, erano pure contenti i Morti perché sapevano, prima di trapassare, che per il loro estremo saluto sarebbero stati accompagnati ’a ‘u campësande da parenti e amici, dal prete, eventualmente dalla Confraternita e, se bastavano i soldi, anche dalla banda del paese.
Questi ritratti di personaggi rutiglianesi insieme a tanti altri, che per ovvie ragioni sarebbe troppo lungo ricordare, hanno fatto la storia di un paese, di una comunità, in un’epoca tramontata, caratterizzata dalla semplicità e dalla solidarietà di persone operose.
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1 Giovanni Chiaia (1799-1888), giurista e poeta rutiglianese.
2 Buon compleanno anche a Francesco De Gregori! e a Massimo Ranieri, Claudio Baglioni e Ivano Fossati.
3 N. B. Per un’agevole lettura delle parole dialettali presenti in questo articolo, è necessario tenere presente che il fonema “e”, non accentato, va letto come la “e” muta francese, inoltre, il fonema “e” che suona nel nostro dialetto come il francese “eu”, viene indicato in grafia con la lettera vocalica “ ë ”.
4 Archivio Basilica San Nicola.
5 “La nevicata del ’56”, [1975], 1990.
6 Per aiutarmi a ricordare quegli anni, mi sono stati utili: i libri di Tino Sorino, Un antico Caffé di provincia, il «Caffé Roma», Rutigliano in foto e in cartolina... e Rutigliano in foto. Altre storie, altri mestieri e professioni; la pagina Facebook “Vecchie foto di Rutigliano”; il sito web dell’A.B.M.C; A. Semeraro, «Pane, Amore e Fantasia...», in Rosso Giallo e Verde, Anno VI, 1988. Ringrazio poi, particolarmente, Saverio Ciavarella, Paolo Giummarella e Pierino Poli per avermi aiutato a focalizzare alcuni ricordi.