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Roma-UE, un dialogo difficile ma necessario

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italia ue


Sac. Pasquale Pirulli
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Una volta Roma era qualificata come “caput mundi” e nel medioevo i popoli di fede cristiana sapevano che “Tutte le strade portano a Roma” considerando anche che la lingua del potere (diritto-legge) era il latino e quella della cultura e della diplomazia era il greco.

Attualmente il governo di Roma (Repubblica d’Italia) deve confrontarsi con i paesi della UE (Unione d’Europa) alla ricerca di soluzioni per i problemi economici, politici e culturali. Una strada lunga e difficile che vuol dire dialogo e collaborazione. Purtroppo su certi problemi di scottante attualità sembra che sia un “dialogo tra sordi” e si arriva a concludere amaramente che “non c’è più sordo di chi non vuol sentire”. E’ quanto mai attuale il dialogo non solo per l’analisi dei problemi nazionali ma più di tutto perché tutti i problemi si impongono nella loro dimensione comunitaria. Qualcuno potrebbe ipotizzare che in Italia “non si muove foglia che UE non voglia”.  

Il dialogo ha come interlocutori Roma e UE (Bruxelles-Strasburgo). L’Italia si deve confrontare con il grave e drammatico problema dell’emigtrazione dalle coste africane (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco) che si concretizza nell’arrivo nei nostri porti si oltre 6.000 migranti. Nel Mediterraneo sono all’opera 14 navi ONG e 6 hanno portato in salvo i disperati raccolti dai gommoni degli scafisti nei porti  siciliani e calabresi...

La nave dei “Medici senza frontiere” ha scaricato a Palermo 816 migranti. Sì il nostro premier On. Paolo Gentiloni alza la voce per far riconoscere una dimensione europea al problema emigrazione ma oltre alle parole della Merkel e di Macron nessuno toglie all’Italia la patata bollente. Questo è un motivo serio di continua lamentela di Roma verso Bruxelles.

E’ vero che da parte della Ue, e in questo caso da parte della Commissione Europea per i diritti umani che ha sede a Strasburgo, c’è stato il rinnovato richiamo all’Italia perché inserisca nel codice penale la condanna del reato di tortura. Questo in attuazione di una convezione ONU firmata il 26 giugno 1987, recepita dall’Italia nel 1989,  ma rimasta lettera morta, perché il codice penale italiano non prevede il reato di tortura e aggravata dal giudizio sui fatti drammatici della caserma Diaz durante il G8 di Genova (20-21 luglio 2001).

Sì, è vero che il Presidente della Repubblica On. Sergio Mattarella nella giornata internazionale contro la tortura ha ribadito l’impegno a recuperare il tempo perduto, sollecitando la discussione del provvedimento sul reato di tortura in Senato e ha espresso una decisa condanna di ogni tortura: “Vanno intensificati gli sforzi per dare voce e offrire tutela a tutte le vittime di ogni forma di tortura per sradicare questa pratica. Il ruolo della società civile nella promozione dei diritti umani e nell’assistenza a quanti lottano a loro difesa è fondamentale. Le organizzazioni che si dedicano, spesso in situazioni di rischio, a questo compito, meritano ogni forma di considerazione e sostegno”.

Papa Francesco nella stessa ricorrenza della Giornata internazionale contro la tortura su Twitter/Pontifex ha scritto: “Ribadisco la ferma condanna di ogni forma di tortura e invito tutti ad impegnarsi per la sua abolizione e per sostenere vittime e familiari”.

Proprio a facilitare il dialogo tra Roma e UE ci auguriamo che l’Italia con sollecitudine approvi la legge che istituisce il reato di tortura e che la UE si faccia carica dell’accoglienza dei tanti migranti che arrivano in Italia ormai considerata quale “porta dell’Europa”.  
                

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