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La lettera da Betlemme

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Sac. Pasquale Pirulli
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Chi non ricorda di aver scritto la letterina di Natale? Magari la si scriveva sforzandosi di non commettere errori perché allora si scriveva con la penna e si bagnava il pennino nell’inchiostro nero del calamaio a rischio di qualche macchia che mandava in fumo il lungo lavoro già fatto. Quindi il giorno di Natale la si poneva sotto il piatto del papà e poi a dare solennità alla lettura ci si metteva in piedi sulla sedia di paglia che traballava.

Questa è la nota introduttiva alla riflessione natalizia dal titolo “La lettera da Betlemme”. In un primo momento è difficile catalogare questa missiva perché essa decisamente non rispetta i canoni della corrispondenza spedita per posta e neanche quelli della messaggistica telematica il cui linguaggio è di difficile lettura per chi è già avanti negli anni “anta”.

E’ importante prima di tutto individuare il mittente della preziosa “Lettera da Betlemme”. Dopo accurate indagini veniamo a sapere che il mittente unico è il buon Dio. Sì, quello che noi a volte releghiamo nell’alto dei cieli, quasi a voler sottolineare la sua trascendenza e la sua estraneità alle nostre vicende di poveri abitanti della terra. Riflettendo mi soccorre il ricordo di un originale suo tentativo di contatto quando nella creazione aveva lasciato un messaggio di potenza creatrice e di amore paterno.

Aveva ragione il buon matematico-astronomo Galileo Galilei quando aveva precisato che oltre il testo della Bibbia, affidato ai profeti e agli uomini, Dio aveva scritto il suo messaggio negli spazi siderali utilizzando il linguaggio esatto della matematica. Beh dobbiamo dire anche un grazie ai profeti i quali per trasmettere le parole di Dio al popolo di Israele si erano trovati nella drammatica situazione di essere tra l’incudine e il martello: Dio che parlava e il popolo testardo che non voleva ascoltare e mandava a morte gli importuni messaggeri. Alla fine mi convinco che sia proprio il buon Dio a mandare questa unica e irripetibile “Lettera da Betlemme”.

Magari dovremmo chiederci su quale materiale l’abbia scritta e qui scatta la sorpresa e lo sgomento. Egli non ha usato i tradizionali archeologici materiali grafici quali le tavolette d’argilla con lo stilo, i ruvidi rotoli di papiro o gli spessi fogli di pergamena. La lettera del buon Dio, indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, è scritta su un materiale unico e di infinito valore: la carne di un bambino! Sì proprio quella del figlio di Maria, sposa del falegname Giuseppe di Nazareth e adagiata sul fieno della grotta di Betlemme.

A somiglianza di un foglio di carta ha la fragilità dell’umanità che nasce cresce e poi affronta il buio della morte. Con il tempo porterà le tracce della fatica di vivere: il lavoro di falegname, la fatica del viandante, la stanchezza del pellegrino; e poi i sogni, i progetti, il dolore, le lacrime e il sangue. Un foglio di carta inchiodato sulla croce che riceverà lo splendore originario della sua identità proprio nella sconvolgente luce della risurrezione.

E’ vero che alcuni pastori, posti sull’avviso da un angelo, si sono recati a dare uno sguardo interrogativo, misto di sorpresa e di gioia, a quel bambino e saranno latori di un messaggio di speranza e di pace: hanno trovato un bambino avvolto in fasce, posto in una mangiatoia, vegliato da una giovane donna e da un uomo che non nasconde la sua preoccupazione di padre novello.

Gli hanno dato uno sguardo di stupore e di meraviglia i due anziani devoti del tempio di Gerusalemme quando hanno assistito al rito della presentazione del piccolo. Più tardi dopo la rapida e inaspettata visita dei magi venuti dall’oriente il tiranno Erode ha tentato di lacerare questa lettera, sopprimendo il bambino,  e il padre Giuseppe, messo sull’avviso da un angelo, è fuggito in Egitto. Più tardi l’enigmatico apostolo Giuda Iscariota penserà di ricavare trenta denari dalla vendita di quella Lettera singolare e la consegnerà ai nemici che ne faranno scempio nella morte più umiliante.

Forse a decifrare il misterioso messaggio della Lettera da Betlemme ci potrebbe aiutare proprio quello Spirito che prima aveva parlato per mezzo dei profeti, ma ora scrive il messaggio eterno di Dio nella carne del bambino Gesù e lo racchiude in una sola parola: AMORE! Così a Betlemme Dio, nel Figlio che nasce, si avvicina a noi uomini con amore; parla a noi nella carne del Bambino di amore.

Come non riconoscere nella famiglia, pur tanto contestata, di cui quella della grotta di Betlemme è modello primigenio, una realtà originaria di amore, di comunione e di vita? A Natale Dio inventa un suo modo unico e originale di comunicare con gli uomini distratti: scrive la parola AMORE sulla carne di un bambino, parla nei vagiti di un neonato. Egli si mette nelle nostre mani perché lo sentiamo vicino, ne ascoltiamo il messaggio e crediamo al suo amore. E’ un padre, un fratello, un amico che percorre la nostra stessa faticosa strada e ci dice parole di PACE.

L’invito per queste feste di Natale è quello di sostare dinanzi alla grotta del presepio e rileggere questa Lettera da Betlemme, fatta di carne, sulla quale Dio ha inscritto un messaggio di Amore e di Pace per la gioia di tutti gli uomini che in quel bambino si riconoscono fratelli!      


         

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