Riforma del Terzo settore, conclusioni incontro-dibattito
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- Pubblicato Giovedì, 17 Settembre 2015 08:14
- Scritto da CSV San Nicola
Comunicato stampa
Conclusioni Incontro-dibattito
LA NOSTRA STORIA: UN’ESPERIENZA AL SERVIZIO DEI TERRITORI
I Centri di servizio al volontariato della Puglia e le Organizzazioni di volontariato si confrontano con le Istituzioni sulla Riforma del Terzo settore
Sussidiarietà, democrazia e volontariato. Sono questi i concetti chiave attorno ai quali si è sviluppato l’incontro regionale “La nostra storia: esperienze al servizio dei territori. I CSV della Puglia e le Organizzazioni di volontariato si confrontano con le Istituzioni sulla Riforma del Terzo Settore”, organizzato dal Coordinamento dei Centri di servizio pugliesi (Csvnet Puglia), con il patrocinio dell’Università degli Studi di Bari, venerdì 11 settembre a Bari presso la Sala conferenze del Centro polifunzionale dell’Uniba.
Il convegno, a cui hanno partecipato oltre 200 persone, si è inserito in un momento cruciale del dibattito sulla Riforma del Terzo settore, ferma in Senato in attesa che siano esaminati gli oltre 700 emendamenti presentati. Un momento fondamentale per gli enti di Terzo settore e per il volontariato per fare sentire la propria voce di dissenso rispetto alla formulazione della stessa. Un nodo centrale è quello relativo ai 74 Centri di servizio al volontariato (Csv) presenti sul territorio nazionale che offrono gratuitamente servizi a circa 50mila associazioni di volontariato e che sono finanziate con le risorse delle fondazioni di origine bancaria a loro destinate per effetto della legge 266/91, che li ha istituiti.
La Legge, inoltre, stabilisce che la governance dei Csv sia formata da associazioni di volontariato che operano in ambiti provinciali o regionali, sottolineando l’importanza della territorialità per meglio rispondere ai bisogni delle associazioni. “La legge presentata è di carattere omissivo: dice quello che i Centri di servizio non devono fare” afferma Stefano Tabò, presidente nazionale di Csvnet, il quale continua “Se sparisce quel passaggio piccolo ma fondamentale che la 266 porta con sé che dice che le organizzazioni di volontariato gestiscono i Csv, vuol dire che i Csv potranno essere gestiti non dico a prescindere dalle organizzazioni di volontariato, ma che esse potrebbero perdere quella centralità, quella capacità di determinare e di autodeterminarsi, come previsto con lungimiranza dalla Legge 266.
Siamo debitori del parlamento che all’unanimità allora, con la 266, aveva espresso questa possibilità concreta di mettere risorse private, quelle delle fondazioni di origine bancaria vincolate ad un beneficio pubblico, insieme ad un movimento sociale che è quello del volontariato in ottemperanza del principio fondamentale della sussidiarietà. Poche volte la normativa si è espressa in maniera così chiara a decidere che per la tua promozione servi tu stesso volontariato con la tua visione culturale, giuridica, che è una visione politica nel senso ampio, utilizzando come strumento i Csv territorialmente radicati, come è stato in questi anni, per definire un programma tale per cui il volontariato e la cultura della solidarietà stesse di quel territorio possano crescere”.
“In Puglia – afferma il presidente del Coordinamento dei Csv pugliesi, Rino Spedicato - operano sei Centri di Servizio che, solo nel 2014, hanno offerto servizi gratuiti a 2349 organizzazioni di volontariato per un totale di oltre 90mila volontari. Tra questi la promozione del volontariato in 68 scuole, coinvolgendo 4135 alunni; 4454 consulenze, 43 corsi di formazione e 24 seminari. Sono alcuni dei segni evidenti realizzati grazie alla legge 266/91 che ha permesso la istituzione dei Centri, accanto ad altri segni evidenti che ci parlano di una mentalità associativa e di una cultura della partecipazione e della responsabilità sociale che hanno fatto crescere il volontariato e la sua coscienza critica, il territorio ed una classe dirigente al servizio del Paese e del bene comune. Per questo, a mio parere, sarebbe stato più utile al volontariato e al paese rivedere ed aggiornare la legge 266/91, estendendola alla associazioni di promozione sociale e riorganizzando il sistema dei Csv, alla luce dell’esperienza quasi ventennale, lavorando, infine, su un nuovo e strutturato patto parasociale”.
Significativa la presenza al dibattito del senatore Mario Mauro, componente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, di Francesco Paolo Sisto, componente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, e di Benedetto Francesco Fucci, componente Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, i quali hanno sottolineato le criticità della Legge.
Il senatore Mario Mauro, infatti, ha affermato: “Bisogna fare attenzione nell’attività riformatrice. La riforma del Terso Settore ci deve garantire più spazi di democrazia e più spazi di libertà perché chi nella società rende più plausibili e esperibili i beni relazionali continui a fare ciò che ama fare. Se lo stato o il mercato si appropriasse della dinamica che presiede alla costituzione e alla difesa dei beni relazionali, creeremmo un buco nella democrazia, la nostra società sarebbe meno civile perché nell’esperienza dei governi quando da garante le autorità si fanno padrone cessa l’esperienza del governo e comincia quella dei regimi. Altrettanto riguarda il mercato che cercherebbe di quantificare un bene, quello relazionale, che non è quantificabile”. E conclude ponendo delle domande “In questo momento la Riforma del terzo settore, che è un bene per il paese perché più società fa bene allo stato, è esageratamente ripiegata sul tema dei Csv. Sarà perché attingono alle risorse delle fondazioni bancarie e qualcun altro vuole attingervi? Sarà perché quelle risorse non sono soggetto di riforme?”
Il deputato Francesco Paolo Sisto pone l’accento sulle insidie della Legge delega “In parlamento è in corso un meccanismo di regolamentazione del Terzo settore che ha in sé alcune patologie. La prima è l’esproprio della democrazia parlamentare. Lo strumento della legge delega è assai pericoloso perché significa che il governo, in un confine tracciato dal parlamento, può inserirci delle proposte coerenti con il tema, ma se il tema è ampio e non è chiaramente definito, vi è una libertà di azione assoluta e quindi c’è il rischio che il governo anziché attenersi alle disposizioni del parlamento, utilizzi la delega ampia con un inizio e una fine virtuale per poter regolamentare da parer suo. Ma la nostra non è una repubblica a democrazia governativa ma parlamentare. Perciò la legge delega è uno strumento assai insidioso. Se il senato non sarà capace di intervenire pesantemente affinché si delineano nettamente i confini si rischia che il volontariato sia più che di sostanza di forma, cioè che si organizzi il volontariato con un centralismo di controllo che ne svilisca sostanzialmente la ragione e il perché. Dobbiamo lasciare che la spontaneità, il senso del dovere autonomo l’autonomia di chi fa le cose perché le vuole fare e non perché le deve fare, non sia snaturato da un sistema che, rimanendo sulla carta no profit corra il rischio di diventare profit”.
Ufficio Stampa
Marilena De Nigris