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Notti contro le mafie, combattere l’illegalità con la testimonianza

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di Michele Pesce

 «Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene. Se la gioventù le negherà il consenso, anche la misteriosa e onnipotente mafia svanirà come un incubo».

(Paolo Borsellino)

A distanza di 23 anni dalla strage di via D'Amelio a Palermo, in cui l'esplosione di una Fiat 126 imbottita di tritolo causò la morte del giudice Paolo Borsellino e di 5 agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, crediamo non si debba mai smettere di ricordare, che la memoria vada rinvigorita giorno dopo giorno, proprio per non perdere il filo rosso che ci unisce tutti e che deve farci indignare di fronte alla mafia, in qualunque forma essa si manifesti, sempre.

E, proprio in virtù di questa importante missione, “Notti contro le mafie” si è fatta sentire più forte che mai anche quest’anno, grazie al lavoro dell’associazione antimafie Rita Atria, in collaborazione con Movimento Agende Rosse Provincia di Bari – Gruppo Giuseppe Di Matteo, Giovani Democratici Bari, Convochiamociperbari, Comitato Piazza Umberto, Comitato Genitori Scuola Marconi, Associazione Residenti San Cataldo, FU.NI.MA International ed Ortocircuiti.
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A rappresentare le istituzioni Pietro Petruzzelli, Assessore allo Sport e all’Ambiente presso il Comune di Bari, Vincenzo Brandi, vice Sindaco ed Assessore al Patrimonio, Edilizia residenziale pubblica, Gestione beni confiscati alla mafia ed Emergenza abitativa e Massimiliano Spizzico, Presidente del Terzo Municipio di Bari. Una giornata all’insegna della memoria, della condivisione e della musica quella tenutasi domenica 19 luglio nella pineta di San Francesco a Bari, che ha visto protagonisti tanti cittadini, piccoli e grandi, desiderosi di conoscere la storia del giudice Borsellino o di ricordare l’importante eredità lasciata da uomini che hanno fatto della lotta alla criminalità la propria ragione d’essere.

Dello stesso parere l’Assessore Petruzzelli ed il vice Sindaco Brandi, per i quali momenti come questo sono essenziali alla costruzione di una coscienza critica e civica, basilare ed imprescindibile nella lotta alle mafie: «Uomini liberi – ha dichiarato Brandi - si diventa giorno per giorno con azioni concrete. Insegnare ad un bambino il principio della legalità, anche attraverso la cultura, lo sport e la musica, è come seminare un bulbo. nella speranza che si trasformi in una piantina e, poi, in un albero».

Toccante il ricordo del Presidente Spizzico a proposito della scorta di Borsellino e di come ogni ognuno di loro abbia scelto con orgoglio ed affetto di rimanere accanto al Giudice: «Tutti i membri della scorta dissero di non voler abbandonare Borsellino, erano una famiglia. Emanuela Loi, giovanissima, fu una delle prime ad essere fatta a brandelli». Numerose le attività tenutesi nel corso dell’evento, come ad esempio la piantumazione di alcuni alberelli ad opera dei bambini presenti, proprio attorno all'albero della legalità piantato l'anno scorso, il concerto de “I Rimmel”, gli interventi telefonici del direttore di Antimafia Duemila, Giorgio Bongiovanni, e di Salvatore Borsellino.
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Estremamente commovente e sentito, inoltre, il momento in cui diversi partecipanti si sono offerti di leggere passi di alcuni libri a tema, condividendo con il pubblico considerazioni e ricordi. La giornata di domenica, però, impone gioco forza alcune riflessioni. Spiace, ad esempio, registrare la totale assenza delle istituzioni rutiglianesi all’evento - nonostante fossero state invitate a tempo debito -, cui si è aggiunta anche quella dei semplici cittadini di una comunità troppo spesso sorda di fronte ad iniziative che non riguardino lo shopping o il cabaret.

La stessa Rutigliano ha nella sua toponomastica due vie intitolate a Falcone e Borsellino, ma in nessuna occasione, né il 23 maggio, né il 19 luglio, si è pensato di commemorare i martiri di quelle stragi organizzando, per esempio, una piccola cerimonia proprio in prossimità di quelle due strade. Verrebbe da chiedersi se abbiamo davvero voglia di ricordare, di combattere, di cambiare. O se invece lo stato delle cose ci va bene così, se crediamo non ne valga la pena, se preferiamo vivere nella convinzione che tanto la mafia non ci riguardi perché non ci ha mai toccato e tanto non ci toccherà mai.

Già, che stupida convinzione, quella di credere che la vita degli altri non valga quanto la nostra. Verrebbe da domandarsi, ancora una volta, se il sacrificio di quegli uomini sia davvero valso a qualcosa. Probabilmente no, anche perché si può dire che tanto lo Stato, con il silenzio assordante delle Istituzioni e con una finta legislazione antimafia (per dirla alla Lucia Borsellino, “l’antimafia di facciata”, quella che serve a fare carriera), quanto la stessa cittadinanza “attiva”, dal ‘92 ad oggi materialmente hanno poco o nulla contribuito a lavorare per cambiare questo stato di cose e per continuare l’opera cominciata da quegli eroi.
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Non siamo neanche stati capaci di cavalcare l’onda delle stragi, quando avremmo potuto e dovuto reagire. Quel sacrificio, è vero, non è servito. Non ancora, almeno. Perché non si può pensare che il genere umano continui a lavorare per la propria autodistruzione. Un harakiri che comincia dalla memoria, dalla dignità, quando si cede centimetro dopo centimetro la propria sovranità, i propri diritti, quando si vende (anzi, si svende) e si svilisce la propria coscienza per pochi euro o per un contratto a tempo determinato.

L’indignazione presto si diffonderà, le coscienze si risveglieranno. Già quest’anno, complici probabilmente le indiscrezioni giornalistiche sul caso del Presidente della Regione Sicilia Crocetta, la giornata del 19 luglio, a differenza degli ultimi anni, è stata vissuta con maggiore partecipazione, soprattutto dai ragazzi, dalle associazioni e dai vari movimenti per la legalità. Il paese del “tutti sanno come vanno queste cose ma nessuno lo dice, nessuno fa niente” necessariamente riciclerà sé stesso e ripartirà. I momenti di sconforto e scoramento ci saranno, nessuno pensi che il percorso sia facile; però va intrapreso, e prima o poi porterà i suoi frutti.

Di seguito, un piccolo passo letto dalla nostra redazione al pubblico presente all’evento, con l'auspicio che in futuro, parlando di antimafia, non vi siano altri eroi da commemorare ma solo vittorie da condividere:
“Paolo Borsellino non disse tutto ciò che passava nella sua mente. Non disse di quell’ombra che intuiva accanto a Cosa Nostra. Non disse che accanto a quella volontà terroristica vedeva qualcosa di più della bestialità dei Corleonesi. Cosa Nostra aveva chiuso i conti con il Giudice Falcone, ma anche qualcun altro aveva giocato la partita. Paolo Borsellino quella sera non svelò ai suoi giovani colleghi il suo presentimento: avrebbero ucciso pure lui. Per cinquantasette giorni e per cinquantasette notti, Paolo Borsellino visse con la morte sulla spalla. Aveva un’unica via di scampo: il tempo, batterli sul tempo, prendere per la gola i Corleonesi prima che Totò Riina lo uccidesse. Per cinquantasette giorni e per cinquantasette notti, Paolo Borsellino non visse. Morì lentamente, settimana dopo settimana, ora dopo ora. Davanti a tutta Palermo. Che sapeva, presagiva…” (tratto dal romanzo “Il capo dei capi. Vita e carriera criminale di Totò Riina”, di Attilio Bolzoni e Giuseppe Davanzo. BUR Rizzoli, 2007 - pagg. 199-200).


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