NUCLEARE, UNA MINACCIA ALL’AMBIENTE E ALLA DEMOCRAZIA
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- Pubblicato Martedì, 15 Marzo 2011 21:08
- Scritto da La redazione
Le esplosioni delle centrali nucleari in Giappone hanno riportato alla cronaca il tema dell'energia atomica e della sua sicurezza. A giugno prossimo saremo chiamati da un referendum ad esprimereci a favore o contro questo tipo di energia. Ci è sembrata di grande attualità una intervista al prof. Giorgio Nebbia -che qui sotto pubblichiamo- fatta da Gianni Nicastro e pubblicata sul quotidiano "il Resto" del 3 agosto 2009.
Si ritorna a parlare di nucleare, una questione prepotentemente inserita nell’agenda politica italiana dall’intesa tra Berlusconi e Sarkozy di qualche mese fa sulla costruzione, entro il 2020, di quattro centrali nucleari nel nostro paese. Il governo, dunque, guarda all’energia nucleare seriamente intenzionato a praticarla proprio nel momento in cui questa fonte energertica è al suo minimo storico come indice di gradimento nel mondo. Gli USA, infatti, definanziano la costruzione di centrali nucleari e aumentano i fondi (60 miliardi di dollari) per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili. Mentre la Germania di centrali nucleari non ne costruisce più da un pezzo e, una alla volta, chiuderà -alla fine del loro ciclo- quelle che ha in funzione senza costruirne altre.
Sulla questione nucleare abbiamo sentito l’opinione del prof. Giorgio Nebbia, persona di cui nota è la sensibilità ambientale e l’interesse per l’ecologia; importante è stato anche -e continua ad essere- il suo contributo alla formazione ecologica di intere generazioni di giovani. «Il governo può fare tutti i decreti che vuole, può coprire col segreto le decisioni relative alla costruzione delle centrali nucleari, ma non c’è nessun posto in Italia in cui localizzarle», esordisce così il prof. Nebbia in un suo intervento sulla stampa pubblicato a maggio scorso dall’inequivocabile titolo “Nucleare impossibile”.
Ma prima di passare all’intervista sono doverosi due, brevi, cenni biografici.
Giorgio Nebbia nasce a Bologna nel 1926, si laurea in Chimica all’Università di Bari, è professore ordinario di Merceologia in quella stessa università dal 1959 al 1995. Laurea honoris causa in Discipline economiche e sociali (Università del Molise, 1997) e in Economia e commercio (Università di Bari, 1998, e Università di Foggia, 2007). Dal 1983 al 1992 è stato deputato della sinistra indipendente eletto nel collegio di Bari e senatore nel collegio di Brindisi.
Professor Nebbia, con l’approvazione al Senato del Disegno di Legge “Sviluppo ed energia” il governo passa alle via di fatto in tema di centrali nucleari e loro allocazione sul territorio. Se lo aspettava un ritorno così alla grande dell’energia nucleare in Italia dopo il disastro di Chernobyl e il referendum dell’87?
«I programmi governativi di costruzione di centrali nucleari sono inopportuni non soltanto in relazione alla catastrofe di Chernobyl, non soltanto perché dimostrano disprezzo per la volontà espressa dagli italiani nel referendum del 1987, ma perché l’energia nucleare non è sicura, non è economica e non è pulita, come dimostra il fatto che la costruzione di centrali nucleari nella maggior parte dei paesi, compresi quelli già nucleari, è praticamente cessata».
Quella legge considera una centrale nucleare area “di interesse strategico nazionale” soggetta “a speciali forme di vigilanza e di protezione”. Si può costruire un centrale nucleare imponendola manu militari alle regioni e ai cittadini?
«Le norme che pongono il segreto di stato sulle opere come le centrali nucleari (il decreto 8 aprile 2008 e la legge 18 giugno 2009) tolgono ogni autorità agli enti locali sull’uso del proprio territorio, addirittura prevedendo interventi militari per mettere a tacere le eventuali opposizioni. Si tratta di violazioni dei diritti dei cittadini a conoscere quello che succede nel proprio territorio, norme destinate a generare nuovi conflitti nel momento in cui il governo dovrà decidere dove insediare le centrali o i siti di deposito delle scorie nucleari. Verrà un giorno in cui in una zona d’Italia arriveranno le ruspe e le sonde e cominceranno gli espropri dei suoli; se poi il governo dovesse scegliere di insediare tali attività su proprietà demaniali o soggette a vincoli militari dovrà fare i conti con le condizioni geologiche, con la disponibilità di acqua di raffreddamento, con il passaggio delle strutture e dei materiali: un milione di tonnellate di ferro e acciaio e cemento eccetera per ogni centrale da 1600 megawatt (e il governo vorrebbe farne costruite quattro)».
Il governo e all’Enel sostengono che la scelta nucleare si impone per diversi motivi: l’eliminazione della dipendenza dal petrolio, l’autonomia energetica nazionale, l’abbattimento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e la riduzione del costo dell’energia. Davvero il nucleare soddisfa questi quattro importanti obiettivi?
«No. Se è vero che il funzionamento di una centrale nucleare non è accompagnato da emissioni di anidride carbonica responsabile dell’effetto serra, la costruzione, il funzionamento e lo smantellamento di una centrale nucleare comportano la produzione di elementi radioattivi in quantità tali da determinare un effetto ambientale negativo attuale e nel lontano futuro. Anche se venissero fabbricate le quattro centrali nucleari previste dal piano governativo non potrebbero entrare in funzione altro che fra oltre dieci anni, durante i quali la dipendenza da fonti energetiche fossili continua. Inoltre una centrale nucleare produce soltanto elettricità mentre il petrolio e il gas naturale sono richiesti per i trasporti, per il riscaldamento domestico, per le industrie. Se il piano governativo venisse realizzato, le quattro centrali nucleari da 1600 megawatt ciascuna produrrebbero, a partire eventualmente dal 2020, 40 miliardi di chilowattore di energia elettrica all’anno, quando la richiesta italiana è già oggi di oltre 300 miliardi di chiloweattore all’anno. Niente autonomia energetica, quindi. Quanto poi alla convenienza dei “costi” dell’elettricità nucleare essi dipendono da costi volatili come quello dell’uranio, dei processi di arricchimento dell’uranio, delle opere di costruzione, della sistemazione delle scorie, eccetera: i migliori calcoli, anche tenendo conto che parte di tali costi dovrebbe essere pagato, oltre che nelle bollette elettriche, anche con le tasse degli italiani, mostrano, come dicevo prima, che l’energia nucleare non è “economica”».
Si parla di reattori nucleari di III e IV generazione di cui si dice siano più sicuri e più efficienti. E’ davvero così, oppure il rischio di incidenti rimane più o meno lo stesso.
«I reattori nucleari cosiddetti di III generazione sono ancora basati, come quelli attualmente in funzione, sullo stesso ciclo uranio-plutonio; hanno (avrebbero), rispetto ai reattori attuali, il vantaggio di corazze e strutture molto più resistenti ad eventuali incidenti, e sistemi per cui gli eventuali prodotti radioattivi formati durante un incidente verrebbero trattenuti all’interno del contenitore del reattore. Un po’ più sicuri dei reattori attuali, quindi, ma non esenti da cause di incidenti. I reattori poi di IV generazione sono ancora un sogno».
Mettiamo, professore, che possa essere possibile tra qualche anno una sicurezza al 100%, rimane comunque grande la questione delle scorie e dei rifiuti nucleari. C’è soluzione a questo problema?
«Ha ragione, quello è il problema che non ha ancora nessuna soluzione. A parte la commedia della scelta di un giacimento di sale per il deposito a Scanzano Ionico delle scorie nucleari italiane, una commedia finita in una bolla di sapone grazie alla documentata mobilitazione delle popolazioni locali e dell’opinione pubblica, il deposito nucleare permanente che avrebbe dovuto essere più sicuro al mondo, quello di Yucca Mountain nelle montagne dello stato del Nevada negli Stati Uniti, chilometri di gallerie ultrasicure in antiche rocce laviche, è stato riconosciuto dal governo americano inadatto come deposito di scorie nucleari che continuano a emettere radioattività e calore per centinaia di secoli. L’unica soluzione è fermare subito le attività nucleari commerciali e militari, e almeno evitare di produrre altre scorie con altri reattori».
Cosa significherebbe per la Puglia, e in modo particolare per il territorio individuato come sito, ospitare una centrale nucleare. Si sono sentiti i nomi di Mola di Bari, Ostuni, Manduria e Nardò: uno di questi comuni potrebbe essere sacrificato sull’altare del nucleare. Cosa ne pensa.
«Ricordo bene le lotte popolari per sventare i progetti di costruzione delle centrali nucleari a Carovigno, ad Avetrana, a San Pietro Vernotico. Una ricostruzione di quelle lotte è contenuta nel libro curato da Virginio Bettini e da me, “Il nucleare impossibile”, pubblicato da UTET nei mesi scorsi. In un capitolo ho ricostruito le ragioni per cui la Puglia non è adatta ad ospitare nessuna centrale nucleare o nessun impianto associato all’energia nucleare. So bene che alcuni, attratti dai molti soldi che il governo promette (decreto 18 dicembre 2009) per chi accetta di ospitare una centrale nucleare, si candidano come sede di un sito nucleare, ma questi sventati tentativi vanno denunciati subito. No; nessun sito in Puglia, ma neanche in Italia, può ospitare una centrale nucleare. Bisogna però vigilare, essere in grado di contestare, sulla base delle norme di sicurezza internazionali, sulla base delle conoscenze geologiche, dei terremoti, della disponibilità di acqua, le proposte che certamente verranno fatte».
Gianni Nicastro