Inchiesta 2, piscina senza autorizzazione sanitaria
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- Pubblicato Domenica, 29 Settembre 2013 00:57
- Scritto da La redazione
Una piscina comunale aperta al pubblico senza le più elementari autorizzazioni e certificazioni. Siamo alla seconda inchiesta sull'impianto natatorio comunale, inchiesta pubblicata il 12 maggio del 2009 su "Il Resto", quotidiano a tiratura provinciale (Bari-Matera). Tutto quello che qui si denuncia era conosciuto dalle autorità sia sanitarie che amministrative. Solo dopo la pubblicazione di questa inchiesta quelle stesse autorità presero provvedimenti, a cominciare del sequestro dell'impianto. Sotto il video, inedito, girato sempre a maggio del 2009, video da cui ha preso le mosse l'inchiesta giornalistica. L'audio è pessimo a causa del forte vento che spirava quel giorno.
da "il Resto" del 12 maggio 2009
PISCINA SENZA GARANZIE IGIENICO-SANITARIE
Attiva dal gennaio ’04 la struttura non ha mai avuto l’autorizzazione sanitaria
RUTIGLIANO – Come nasce la piscina comunale, chi l’ha costruita, chi e come ha gestito un muto di 2milioni di euro per realizzarla, lo scriveremo nella seconda parte di questa inchiesta. Qui, per adesso, ci basta sapere che i protagonisti iniziali di questa vicenda sono una società sportiva dal nome “Linea Blu” e il suo amministratore unico Enrico Balducci, all’epoca dei fatti (‘01) consigliere regionale di AN.
Dal ‘06 la piscina è nelle proprietà del comune il quale, attraverso una gara d’appalto, ne ha dato la gestione a un’altra società, la “Flipper Nuoto” di Mola di Bari.
C’è da premettere, innanzi tutto, che l’area su cui è sorta quella struttura sportiva è ancora oggi non pienamente urbanizzata, manca cioè di fogna e di acquedotto.
Se l’acquedotto non c’è viene da chiedersi da dove il comune e il gestore prendono l’acqua per la vasca e l’intero fabbisogno idrico. «La piscina preleva l’acqua di riempimento della vasca e di alimentazione dei servizi igienici dal pozzo artesiano ubicato nell’area di pertinenza dell’impianto» ci dice il direttore dell’ufficio tecnico comunale ing. Erminio D’Aries, il quale aggiunge che «non risultano a questo ufficio atti relativi alla dichiarazione del pozzo».
Un pozzo non dichiarato significa che Linea Blu prima, il comune dopo, non sono stati autorizzati all’emungimento dell’acqua. Allo stato, dunque, non sappiamo che tipo di acqua viene tirata su da quel pozzo, trivellato per 220 m. Eppure nella “relazione illustrativa” del progetto Balducci dichiara che “l’approvvigionamento sarà garantito dall’allacciamento alla rete idrica dell’AQP”, una rete idrica che, come abbiamo detto, ancora oggi non esiste.
Il pozzo non è dichiarato, ma almeno la bontà dell’acqua è stata certificata?
L’ACQUA
Per legge le piscine devono utilizzare, per tutti il loro fabbisogni, l’acqua dell’acquedotto e, in mancanza, un’acqua che abbia comunque le caratteristiche della potabilità, si deve -in sostanza- poter bere. Dal momento che lì l’acquedotto non c’è chi ha costruito quella piscina avrebbe dovuto farsi certificare la potabilità dell’acqua. L’istituto preposto a rilasciare una simile certificazione è il SIAN (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione), ente regionale gestito della ASL. Il direttore del SIAN, dott.ssa Lorenza Diomeda, ci scrive che «la società Linea Blu S.r.l. e il comune di Rutigliano gestori della piscina pubblica (...) non hanno mai inoltrato a codesto Servizio alcuna richiesta di attestazione di potabilità».
La cosa è abbastanza inquietante se si considera che tutto intorno a quella struttura ci sono tendoni di uva da tavola che utilizzano fitofarmaci, pesticidi e fertilizzati dei quali è risaputa la facilità con cui i loro principi attivi si infilano nelle falde acquifere.
A complicare la situazione c’è il fatto che a una quarantina di metri da un pozzo ben mimetizzato e nascosto sotto un cumulo di terra, si trova la fossa “Imhoff” le cui “acque già chiarificate”, è scritto nel progetto, sono “disperse” attraverso un sistema di sub-irrigazione posto a 40 centimetri sotto il parcheggio antistante la struttura, acque che avrebbero dovuto essere assorbite principalmente da una serie di aiuole previste nel progetto ma mai piantumate. Non solo.
LO SCARICO A CIELO APERTO
L’attuale gestore, cosi come faceva quello precedente, scarica l’acqua clorata per terra, appena fuori la piscina a ridosso del muretto di cinta, con un grosso tubo di plastica nera in parte interrato, in parte fuoriuscito a gomito proprio sotto quel muretto. Che l’acqua venga scaricata abitualmente in quel modo lo dimostra il fatto che lì ha creato una depressione del suolo, una conca, e ha corroso il cemento armato del muro.
Siamo di fronte, dunque, all’emungimento di un pozzo che si trova a una decina di metri da dove viene scaricata l’acqua clorata e a una quarantina di metri dallo scarico delle acque di fogna; una situazione potenzialmente a rischio di contaminazione.
Quella dello scarico dell’acqua clorata è un’altra irregolarità nella gestione della struttura in questione. «L’acqua di piscina al momento del ricambio totale o parziale viene normalmente scaricata in fogna», ci dice l’ing. Maria Cristina De Mattia della Direzione Scientifica dell’ARPA Puglia. Nel caso il recapito dell’acqua sia la fogna «ci vuole l’autorizzazione dell’AqP». Ci potrebbe però essere «un recapito diverso -prosegue ancora la dott.ssa De Mattia- quale il suolo o altro impianto specifico per prevedere il riuso delle acque a scopo irriguo, che però deve essere realizzato opportunamente onde assicurare i requisiti previsti dalle norme vigenti». Lo scarico sul suolo deve, dunque, essere compatibile con l’ambiente, per questo ci vuole l’autorizzazione della Provincia. L’ing. D’Aries ci dice che «non risulta agli atti di questo ufficio l’autorizzazione allo smaltimento rilasciata dalla provincia di Bari». Ci informa, anche, che «lo smaltimento delle acque di lavaggio della piscina dovrebbe avvenire attraverso l’impianto di sub-irrigazione», impianto previsto dal progetto ma mai realizzato, per questo l’acqua clorata viene scaricata a cielo aperto. Tra l’altro quest’acqua di norma va depurata prima di essere scaricata in fogna o sul suolo. E in effetti la struttura è dotata di un impiantino per la declorazione, il problema è che ancora oggi questo impianto non è allacciato al circuito dell’acqua, quindi, non è mai stato utilizzato.
SENZA AUTORIZZAZIONE SANITARIA
E’ chiaro che una piscina in quelle condizioni, con un’acqua “clandestina” sia in entrata che in uscita, non avrebbe mai potuto avere l’autorizzazione sanitaria. Infatti il certificato che garantisce gli utenti rispetto alle normali condizioni igienico-sanitarie, non esiste. «Non risulta agli atti di questo ufficio -dice ancora l’ing. D’Aries- alcuna autorizzazione sanitaria all’utilizzo della struttura e relativi impianti, nonché all’esercizio dell’attività». «Tuttavia -aggiunge il tecnico comunale- è probabile che tale autorizzazione sia stata rilasciata direttamente dall’ASL all’attuale concessionario». Non è così, e ce lo dice a chiare lettere il Dirigente Medico del locale Dipartimento di Prevenzione ex Ba/4 dott. Francesco Palazzo. «Si attesta -dice il dott. Palazzo- che dagli atti esistenti presso questo Ufficio SISP di Rutigliano, non risulta essere stato rilasciato alcun parere a poter svolgere tale attività (della piscina, n.d.r.) sia dal punto di vista strutturale che igienico sanitario».
Non solo, dunque, la struttura e gli impianti non sono passati al vaglio sanitario della ASL, gli stessi gestori che si sono nel tempo succeduti -compreso il comune- non sono stati dalla ASL autorizzati ad esercitare l’attività di piscina.
Ci chiediamo come può una struttura pubblica, che esercita una attività così delicata qual è il nuoto, essere priva delle più elementari certificazioni igienico-sanitarie. Ci chiediamo anche come il comune abbia potuto mettere a gara d’appalto nel ’07 la gestione di una piscina pubblica in condizioni di palese illegalità in merito a quelle certificazioni.
L’AGIBILITA’
La cosa che sconcerta è come abbia fatto l’amministratore unico della “A.S. Linea Blu S.r.l.” ad avere l’agibilità dal comune. E qui si apre un altro capitolo.
Il 4 marzo ’04 Balducci presenta la richiesta di agibilità. L’allora direttore dell’ufficio tecnico ing. Andrea Lorusso tredici giorni dopo gli risponde con la sospensione di quella richiesta perché carente di quasi tutti i documenti necessari per averla l’agibilità. Da allora passano circa nove mesi prima che l’amministratore unico integri quella richiesta e, infatti, il 9 dicembre ’04 la ripresenta in forma integrativa e quello stesso giorno (che efficienza!) ottiene dall’ing. Lorusso il certificato di agibilità.
C’è da dire che il comune inaugura in pompa magna la struttura il 18 gennaio ’04 e il 3 maggio di quello stesso anno invita, dal suo sito web, i cittadini ad iscriversi ai corsi di nuoto pubblicizzando il calendario e i prezzi di quei corsi. In sostanza la piscina comincia la sua attività, sponsorizzata dal comune, perlomeno sette mesi prima che il gestore ottenga l’attestazione di agibilità.
Ma la cosa che suscita le perplessità maggiori è il fatto che l’agibilità l’ing. Lorusso la rilascia senza tutta quella serie di certificazioni igienico-sanitarie e lo fa richiamando, nel suo certificato, il D.P.R. 380/2001. A proposito questa legge è molto chiara. “Ai fini del rilascio del certificato di agibilità”, dice l’art. 5, l’ufficio tecnico “acquisisce direttamente, ove questi non siano già stati allegati dal richiedente: a) il parere della ASL … ”. L’art. 24, denominato proprio “Certificato di agibilità”, dice ancora che “il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità …”.
Dal momento che, come abbiamo visto, la ASL non ha dato nessun parere -per legge obbligatorio- quindi non ha attestato alcunché, c’è da ritenere che il certificato di agibilità rilasciato dal comune nel ’04 non sia valido.
Gianni Nicastro