La Giornata della Memoria, 27 gennaio
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- Pubblicato Sabato, 27 Gennaio 2024 00:55
- Scritto da Sac. Pasquale Pirulli
Sac. Pasquale Pirulli
Nella mattinata del 27 gennaio 1945 i soldati della 60° Armata del I Fronte ucraino e particolarmente quelli della 100° Divisione Fanteria di Leopoli, comandata dal Gen. Fédor Krasavin, arrivano al Lager di AUSCHWITZ-BIRKENAU e, dopo aver vinto l’ultima resistenza dei reparti tedeschi in ritirata, alle ore 15,OO liberano il Campo nazista della morte.
Primo Levi nel suo volume di ricordi “La Tregua” racconta quella giornata: «La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fosse comune il corpo di Sòmogyi, il primo dei morti dei nostri compagni di camera. Rovesciammo la carella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti.Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e s noi pochi vivi.
A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido e minaccioso di disgelo.
Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato il suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare ad un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che si stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.
Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva; e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatto». (cf Primo levi, Opere, vol. I,, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, Milano 2009, pp. 205.206)
A memoria degli orrori, compiuti in questo luogo famigerato e in altri simili, che rimangono come vergogna di tutta l’umanità, i popoli si impegnano a ricordare per non dimenticare e perché non più avvenga l’evento infausto della SHOAH che ha segnato la tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
Fare memoria delle vittime di una tale barbarie significa ancora una volta esprimere un giudizio di condanna degli uomini e della ideologia che hanno perpetrato simili misfatti venuti alla luce con una documentazione sconvolgente (filmati, foto, diari, ecc.)
Più di una volta con commozione ho ascoltato le testimonianze di alcuni sopravvissuti mentre parlavano agli alunni delle scuole in cui ho insegnato e mostravano sul loro braccio il numero indelebile che aveva cercato di annullare la loro identità di persone umane.
Ho avuto anche la possibilità di visitare il Lager di Auschwitz nell’agosto 2001 e ancora oggi, a distanza di ventitre anni, rileggo questa breve nota diaristica: “La sconvolgente visita al lager di Auschwitz: in silenzio abbiamo percorso i viali del campo con le tracce delle baracche, del blocco 10, del muro della morte, dei forni crematori. L’orrore della Shoah l’abbiamo rivissuto rileggendo i nomi delle vittime sulle valige e sulle foto segnaletiche e soffermando sulle bacheche che conservano le scarpette dei piccoli e le protesi e gli occhiali degli adulti e i sacchi dei capelli delle donne. Una sosta di preghiera l’abbiamo fatta dinanzi alla cella della morte in cui consumò il suo martirio di carità S. Massimiliano Maria Kolbe, illuminata dal cero votivo offerto dal papa San Giovanni Paolo II”.
Dalla piccola brochure <<Museo Statale di Oświęcim AUSCHWITZ BIRKENAU>> ricavo alcuni dati essenziali:
1. «Per cinque anni il campo di concentramento di Auschwitz suscitò una sensazione di terrore tra le popolazioni dei paesi occupati dai nazisti durante la II guerra mondiale. Il campo fu fondato nel 1940 per i prigionieri politici polacchi. Inizialmente doveva servire da strumento di terrore e di sterminio dei polacchi. Successivamente i nazisti iniziarono a deportarvi gente di tutta Europa, principalmente ebrei provenienti da stati diversi, ma anche prigionieri bellici sovietici e zingari. Tra i detenuti vi erano anche cechi, jugoslavi, francesi, austriaci, tedeschi italiani ecc. Durante tutto il periodo di esistenza del campo vi continuarono ad arrivare trasporti di prigionieri politici polacchi»
2. «I campi di Oświęcim (KL Auschwitz I) e di Brzezinka (KL Auschwitz II – Birkenau) sono attualmente conservati quali musei e accessibili al pubblico. Al loro interno le cose più interessanti sono: a Brzezinka i resti dei quattro crematori, delle camere a gas e dei roghi, lo scalo ferroviario dove venivano selezionati i deportati al campo, lo stagno con le ceneri umane; a Oświęcim. Il “Blocco della Morte”. Inoltre in entrambi i campi sono conservati i blocchi e parte delle baracche carcerarie, i cancelli d’entrata ai campi, le garitte e le torrette delle SS e il recinto di filo spinato. Alcune cose distrutte dalle SS sono state ricostruite con gli elementi originali: ad es, i forni del crematorio 1».3. «BLOCCO 11 – “IL BLOCCO DELLA MORTE”
Il cortile tra i blocchi 10 e 11 è recintato da ambo i lati da un alto muro. Le persiane in legno fissate alle finestre del blocco 10 dovcevanorendr3e impossibile l’osservazione delle esecuzioni. Al “Muro della Morte” le SS fucilarono migliaia di prigionieri (soprattutto polacchi). Nel cortile del blocco 11 erano eseguite pure le fustigazioni o la pena del paletto, che consisteva nell’appendere i detenuti per le mani legate dietro alla schiena. Il blocco 11 era isolato dal resto del campo. nei suoi sotterranei si trovava la prigione del campo. Anch’essa, come il sotterraneo del blocco 11, è oggi conservata come museo».
4. «Le autorità del campo svolgevano selezioni periodiche nelle celle, definite “cernite” o “pulizia del bunker”. I detenuti scelti venivano fucilati o mandati in una compagnia punitiva. La maggior parte sono celle comuni dove erano rinchiusi i prigionieri durante l’istruttoria. La cella 18 è una di quelle dove erano sbattuti i prigionieri condannati alla morte per fame. Nel 1941 le autorità del campo rinchiusero qui, tra gli altri, il sacerdote polacco P. Massimiliano Maria Kolbe, che sacrificò la sua vita per salvare quella di un altro internato (Francesco Gajowniczek)».
Certamente in questa nota dobbiamo ricordare le vittime del genocidio realizzato dai tedeschi al Lager Auschwitz-Birkenau e sarebbe lungo scorrere i nomi insieme a quelli delle persone eliminate negli altri campi (Dachau, Mauthausen, ecc.) Come non ricordare S. Massimiliano Maria Kolbe, Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), S. Tito Brandsma. Beato Barnhard Lichtenberg, Beato Richard Henkes, beato Rupert Mayer, Karl Leisner, il pastore protestante Dietrich Bonheffer?
A chiudere questa riflessione sulla Giornata della Memoria vorrei ricordare la difesa che il colonnello Adolf Eichmann, lo stratega della soluzione finale, faceva del suo operato. Hannah Arendt lo stigmatizza come “l’incarnazione dell’assoluta banalità del male”. Egli viene catturato dal Mossad l’11 maggio 1960 a Buenos Aires in Argentina e giudicato nel processo che si apre l’11 maggio 1961 a Gerusalemme. Eichmann dinanzi alla mole della documentazione portata dall’accusa con diversi testimoni pronuncia questa sua autodifesa: «Ho avuto la sfortuna di essere coinvolto in quegli orrori, sebbene non dipendessero dalla mia volontà. Non ho mai avuto l’intenzione di uccidere uomini. Soltanto i dirigenti politici sono responsabili di quell’assassinio collettivo. […] La mia colpa consiste nell’obbedienza, nel rispetto della disciplina, dei doveri militari in tempo di guerra, e del giuramento di fedeltà che avevo prestato in quanto soldato e funzionario. […] L’obbedienza non era facile. Chiunque si è trovato nella situazione di comandare e di obbedire sa che cosa si può esigere da un essere umano. Non ho perseguitato gli ebrei per passione e per piacere, come era il caso del governo. Solo il governo può essere responsabile di tale persecuzione. Io, come individuo, ne ero incapace. Accuso i governanti tedeschi di aver abusato della mia obbedienza. […] E per questo chiedo che si tenga conto del fatto che ho obbedito, e non del fatto che ho obbedito a certe persone.». Il 15 dicembre 1961 c’è il primo verdetto di condanna a morte: “Il tribunale condanna Adolf Eichmann, giudicato colpevole per i crimini commessi contro il popolo ebreo, per i crimini commessi contro l’umanità e per i crimini di guerra, alla pena di morte”. La condanna viene confermata in appello e Adolf Eichmann viene impiccato il 31 maggio 1962 nella prigione di Ramla. Il suo cadavere venne cremato e le sue ceneri sparse nel mare Mediterraneo al di fuori delle acque territoriali d’Israele.
Una ultima notizia è quella relativa alle “pietre d’inciampo”, proposte dall’artista tedesco Gunter Demnig che a giudizio del vicesindaco di Firenze Cristina Giachi possono aiutare a non perdere la memoria dei crimini nazisti e delle loro vittime: “Le pietre d’inciampo sono l’ulteriore dimostrazione di quanto Firenze tenga a coltivare la memoria. Sono i segni del passato che ricordano ferite aperte nelle comunità ebraica e cittadina e aiutano a stimolare in chi ci s’imbatte il ricordo della Shoah e di tutte le vittime della deportazione nei campi di sterminio nazisti”.
A Rutigliano certamente una “pietra d’inciampo” è la piazza dedicata alla memoria di Alfredo Violante. Egli nasce a Rutigliano il 25 ottobre 1888. Brillante giornalista antifascista nel 1926 si trasferisce a Milano dove esercita anche la professione di avvocato. Il 27 aprile 1944 è arrestato dalle SS, e, dopo la detenzione nel carcere di San Vittore, è trasferito al campo di concentramento di Fossoli. Insieme ad altri detenuti politici il 21 giugno 1944 raggiunge il campo di sterminio di Mauthausen dove finisce il 24 aprile 1945 nel forno crematorio.