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Tutto il sole che c’è, un invito a credere nel futuro

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di Rosalba Lasorella

Tutto il sole che c’è. Si avverte subito, dalle prime parole in volo verso l’orgogliosa Torre Normanna di Rutigliano, che non si tratta semplicemente del titolo del nuovo romanzo di Antonella Boralevi, ma anche e soprattutto di un invito ad apprezzare ciò che di bello e vero la vita continua ad offrire. Nonostante tutto.  

Un invito certamente raccolto dal pubblico che lo scorso 20 luglio ha seguito, con attenzione e curiosità, il primo incontro della seconda edizione di “Un borgo di libri e canzoni”, la rassegna letteraria e musicale organizzata dalla Libreria Barcadoro insieme al Comune di Rutigliano con la collaborazione di Pasta Divella e Spazio Abitabile.

«innanzitutto vi voglio ringraziare -e per questo mi alzo- perché con la situazione che c’è delle restrizioni anti-Covid, venire, prenotarsi, restare con la mascherina non è facile. Mi avete fatto veramente un regalo!» esordisce l’autrice fiorentina dopo l’introduzione alla serata curata dall’Assessora alla Cultura Viriana Redavid. Una premessa sentita che predispone il pubblico ad un viaggio avvincente che attraversa le dolci colline toscane e catapulta il lettore negli anni ’40, «fondamentali per la storia italiana», scossi dalla guerra ma altresì abbagliati da ricevimenti, sfilate, danze e automobili eleganti.tutto-il-sole-che-c e-1

Antonella Boralevi, nota giornalista e conduttrice televisiva, sfrutta le sollecitazioni di Gabriele Zanini e Monica Bruno per accennare alle vicende che coinvolgono le donne e gli uomini («persone, non personaggi») del romanzo pubblicato dalla casa editrice La Nave di Teseo. Tutto ha inizio con una partita di tennis giocata a San Miniato, nel giardino di Palazzo Valiani, il 10 giugno 1940, esattamente il giorno in cui Benito Mussolini si affaccia sul balcone di Palazzo Venezia a Roma per annunciare al popolo l’entrata in guerra dell’Italia. Il lettore assiste alla sfida (e alle sfide d’amore, invidia, guerra e passione che ne conseguiranno) attraverso gli occhi di una bambina, Verdiana, alla quale l’autrice affida il compito di narrare il tempo di ieri nella dimensione serrata di oggi, costretta a casa dalla pandemia da Covid-19 che favorisce l’intreccio fra il tempo della memoria, quello della narrazione e quello dell’attualità.

Ricordi che per Verdiana si trasformano in una preziosa occasione: quella di fare i conti con il proprio passato, di capire cose di sé a lungo sopite, di perdonare se stessa per gli errori commessi. Il lettore segue il doppio binario del tempo dell’anima e del tutto-il-sole-che-c e-2tempo che passa, guadagnando la consapevolezza di quanto importante sia accorgersi di ciò che accade per non subire mestamente gli eventi.

È tempo che passa anche il periodo di 3 anni che la scrittrice ha dedicato allo studio degli anni ’40. Un’indagine accurata alla quale non ha potuto sottrarsi dopo l’incontro surreale, avvenuto sotto la grande quercia del suo giardino in un momento di riposo forzato, con le anime dei protagonisti che, bussando alle sue spalle, hanno reclamato d’essere ascoltate. Ed è tempo fintamente cristallizzato il “per sempre” che suggella un’intensa promessa d’amore descritta nel romanzo, un impegno per l’eternità che è più facile considerare come un utensile, uno strumento per vivere più intensamente senza troppe aspettative. «Il “per sempre” in una relazione d’amore è necessario, ma è necessario come un respiro condiviso. Io dico sempre che amarsi spesso vuol dire respirarsi l’uno con l’altro, ma la vita è cambiamento. […] Penso che sia bello, intenso, dire “per sempre” ma poi…poi si vedrà».

Sì, si vedrà, perché gli scenari cambiano e a cosa si va incontro? Un futuro tutto da costruire, nello spirito del dopoguerra in cui il dolore sembra davvero scivolare via e lasciare posto alla speranza di poter ricominciare, tutti insieme, a vivere. Inevitabile il riferimento al nostro presente tediato dal coronavirus, nel quale un ruolo importante (eppure sottovalutato) rimane quello degli insegnanti e in cui sembra difficile ritrovare quello stesso desiderio di rivalsa. «Credo che se ci riusciamo, siamo veramente quasi persino più bravi che nel ’46 […]: ciascuno di noi può fare la differenza, io ci spero, ma credo che per aiutarci bisognerebbe avere il coraggio di dire la verità».

E un frammento di verità Antonella Boralevi lo ha cercato negli occhi del suo pubblico, soffermandosi a guardarlo negli occhi prima di firmare ogni copia del suo libro con una dedica personalizzata che si sforza di trovare, in ciascuno, tutto il sole che c’è.

 

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