Lettera a Sant’Antonio Abate eremita
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- Pubblicato Domenica, 17 Gennaio 2021 13:23
- Scritto da Sac. Pasquale Pirulli
Sac. Pasquale Pirulli
Vivendo tu nel brullo deserto egiziano, venerato padre Antonio, mi sarà difficile farti recapitare questa lettera scritta nella ricorrenza della memoria liturgica che la Chiesa fa di te festeggiando il tuo dies natalis, cioè la data della tua morte considerata come nascita alla vera vita del cielo.
Del resto quello che colpisce in un primo momento è la tua veneranda età di ultracentenario perché, stando alle informazioni del tuo primo biografo S. Atanasio di Alessandria (295-373) sei nato a Coma nel 250 e concludi la tua lunga esistenza nel deserto della Tebaide nell’anno 356.
Non posso dimenticare che l’intento del grande teologo nel redigere la tua biografia era quanto mai pastorale, cioè presentarti come padre dell’eremitismo, che era la prima forma di vita religiosa cristiana.
Mi risulta che Atanasio abbia scritto durante il suo terzo esilio dalla sede episcopale cui fu condannato dal sinodo di Milano nell’anno 356 e che egli trascorre per la durata di sei anni proprio presso i monaci del deserto egiziano che ti avevano conosciuto. Non ti nascondo che considero questa vita come il primo esempio di una agiografia che nella storia ha avuto il successo di un vero best seller. Non mi meraviglio perciò che già nell’anno 375 sia stata tradotta in latino da Evagrio di Antiochia e poi pubblicata anche da S. Girolamo (340-420). Del resto lo stesso S. Agostino di Ippona (354-430) ne parla nel suo libro delle Confessioni perché ne sente parlare dal vecchio prete Ponticiano: “… allora cominciò a raccontare la storia di Antonio, il monaco egiziano che godeva di grande fama presso i tuoi fedeli ma noi fino a quel momento non conoscevamo ancora… (A Milano due funzionari) Lì trovarono un libro che raccontava la vita di Antonio; uno di loro cominciò a leggerlo e subito fu preso da ammirazione ed entusiasmo, tanto che andando avanti nella lettura, già meditava di abbracciare quella vita e di abbandonare la milizia del mondo per servire te” (cf Conf VIII, 6, 14 sg).
Il primo momento è quello della tua conversione all’età di 18-20 anni, quando dopo la morte dei tuoi genitori, che appartenevano ad una classe sociale agiata, tu, ripensando alla pratica dei primi tempi della Chiesa di vendere i propri beni e di consegnarli agli Apostoli (At 4, 35-37), ascolti l’invito del Signore al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri, e poi vieni e seguirmi, e avrai un tesoro nei cieli” (Mt 19, 21). Con generosità, racconta Atanasio, “uscì di chiesa e donò i suoi possedimenti ai concittadini perché non molestassero più né lui né la sorella… Vendette quindi tutti gli altri beni mobili che possedeva e, ricavatone molto denaro, lo distribuì ai poveri” (Atanasio, Vita Antoni, 2, 1).
Entrato una seconda volta in chiesa ascolti un'altra decisiva parola del Vangelo: “Non preoccupatevi del domani” (Mt 6, 14) e dopo aver provveduto alla sistemazione della tua sorella, dai inizio alla tua vita ascetica lontano dalla tua casa e segui l’esempio di un vecchio solitario. E’ una lotta quotidiana perché si tratta di controllare i tuoi pensieri perché non si sviino e tu non torni a rimpiangere le ricchezze dei genitori. Lavori con le tue mani ricordando l’avviso di Paolo "Chi non lavora neppure mangi” (2 Tess 3, 10) e proprio con il tuo lavoro ti procuri il pane quotidiano e il resto lo dai ai poveri. Preghi continuamente e coltivi la meditazione sulla parola di Dio, leggendo la S. Scrittura e S. Atanasio annota che “La memoria per lui teneva il posto dei libri”.
Dopo le prime lotte contro il demonio ti rinchiudi in un sepolcro abbandonato e ne fai la tua cella. Qui avverti le tentazioni più forti sotto forma di animali feroci che ti potrebbero indurre a interrompere la tua vita di dura ascesi e di fervente preghiera.
Una parola circa le tue tentazioni che sono diventate un classico tema per tanti artisti. Dopo aver vinto una delle più forti tentazioni ti sei rivolto al Signore: “Dove eri tu, buon Gesù? Dove eri tu? Perché da principio non fosti presente per aiutarmi?” e Gesù risponde: “Io ero qui, ma aspettavo di vedere la tua battaglia; ora però, poiché tu hai combattuto francamente, per tutto il mondo ti farò ricordare”.
Cerchi il conforto di un altro eremita ma questi non accoglie la proposta di vita comune e allora tu, che hai raggiunto l’età di trentacinque anni, parti solo per il deserto. Scegli la località di Pispir e ti rifugi in un fortino abbandonato.
Dopo venti anni di vita solitaria ricevi la visita di alcuni amici che si mettono alla tua scuola.. Sei informato della violenta persecuzione scatenata dall’imperatore Massimino Daia e sogni il martirio. Torni nel deserto e ti dirigi verso il Mar Rosso e ti fermi ai piedi della montagna nella località Dêr Mar Antonios dalla quale puoi contemplare il monte Sinai.
Non puoi abbandonare la tua chiesa di Alessandria e intervieni contro gli eretici ariani con il tuo discorso dottrinale. Nel deserto tu “vivi ogni giorno il martirio del cuore e combatti le battaglie della fede”. Non rifiuti di incontrare filosofi pagani, imperatori, ammalati e tutti ti chiedono un consiglio e un aiuto.
Avverti che la morte è vicina e allora chiami i due discepoli che hanno condiviso la tua vita per quindici anni e ti congedi da loro da vero patriarca non solo per l’età, centosei anni, ma per la sapienza: “Io, come sta scritto, me ne vado per la via dei padri. Vedo che il Signore mi chiama. Voi siate giudiziosi e non perdete il frutto della vostra lunga ascesi secondo la volontà del Signore, ma, come se cominciaste adesso, cercate di custodire con ogni cura il vostro zelo. Conoscete i demoni insidiosi. Avete visto come sono feroci e insieme deboli. Non temeteli dunque, ma respirate sempre Cristo, e credete in lui, e vivete come se doveste morire ogni giorno, osservando voi stessi, e ricordatevi le cose che vi ho consigliato. Non abbiate rapporti con gli scismatici. Sapete quanto anch’io li evitassi, giacché essi, insegnando altre cose, combattono Cristo invece di sostenerlo….E se v’importa di me, non permettete a nessuno di portare il mio corpo in Egitto, affinché non venga messo in una casa. Per questo appunto son salito sul monte, perché sedendo vicino al fiume e rendendo lo spirito presso gli eremiti, io non soffra questo destino… Seppellite dunque il mio corpo e nascondetelo sotto terra; e custodite in voi la mia parola, perché nessuno tranne voi sappia dove è il mio corpo, e in che luogo è stato messo”. Poi con delicatezza consegni i tuoi pegni di stima ai tuoi amici: “Dividetevi le mie vesti, e al vescovo Atanasio date una pelle di pecora e la coperta su cui dormivo, che egli mi diede nuova, e che io ho consumato. L’altra pelle, datela al vescovo Serapione. Voi tenetevi la tunica di cilicio; e per il resto, vi dico addio, o figli. Antonio lascia questo mondo, e non sarà più con voi” (cf Atanasio, Vita di Antoni, 91, 1)
Una ultima riflessione sulla tua popolarità la trascrivo dal fine scrittore toscano Piero Bargellini: “Infatti, pochi Santi ebbero la popolarità di Sant’Antonio Abate, invocato per la salute del corpo, e specialmente contro quella afflizione ancora nota come «fuoco di Sant’Antonio». Nelle campagne poi gli venne affidata da protezione del bestiame, e fu allora che apparve ai suoi piedi il roseo porcellino, come simbolo di salute e di floridità, e che la sua immagine si moltiplicò in tutte le stalle, in atto di benedire gli animali domestici” (cf. Piero Bargellini, Mille Santi al giorno, Ediz. Vallecchi, Firenze 1977, p. 35)
Lo sai che Rutigliano da tanti secoli ti esprime la sua devozione nella chiesetta rurale a te dedicata sulla via di Noicattaro e poi nella chiesa parrocchiale di S. Domenico. Dalla prima è scomparsa la tela che ti celebrava ricordando alcuni episodi della tua vita e nella seconda è conservata una bella statua settecentesca di artistica fattura.
Ti farà certamente piacere ascoltare dal cielo nel giorno della tua festa il trillare dei fischietti di terracotta, tradizionali manufatti della cultura agricola-pastorale ad esprimere gioia, amicizia e festa.
Dispiace che la pandemia causata dal Covid 19 non ci permetterà di festeggiarti a livello popolare con la benedizione degli animali, e con le frotte dei turisti e dei bambini armati di fischietti.
Ti chiediamo perché la tua potente protezione che gli antichi hanno sperimentato contro il fuoco di Sant’Antonio, anche con la carità dei tuoi religiosi che apprestavano il medicamento ricavato dal grasso dei suini, valga oggi a proteggere tutti coloro che sono costretti a vivere nella solitudine e affrontano la battaglia di una malattia sconosciuta e a volte mortale.