Via Folinara e la coltura della «bambagia» a Rutigliano
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- Pubblicato Mercoledì, 15 Aprile 2020 11:04
- Scritto da Vito Castiglione Minischetti
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di Vito Castiglione Minischetti
A Umberto Loiotile,
custode delle “cose” di Rutigliano
L’inedita situazione da Covid-19 mi aveva spinto a chiedere a rutiglianoonline.it di voler pubblicare il risultato delle mie ricerche sulle vie del centro storico di Rutigliano, seppur non portate del tutto a termine. Questa situazione non mi ha impedito di continuare a ricercare il significato dell’odonimo via Folinara che più di ogni altro aveva attirato la mia attenzione.
La leggiadria della parola e la sua rarità linguistica avevano anche rafforzato in me la convinzione che la sua scelta, da parte dei nostri antichi amministratori, derivasse da quella cultura classica e umanista che aveva caratterizzato diverse generazioni di rutiglianesi dell’Ottocento.
La via, come già detto nel precedente intervento, era già attestata ai primi del XIX secolo sotto la denominazione di «strada della Folinara» ed essa poté trovare uno sbocco, al di là delle antiche mura, verso l’estramurale (attuale corso Cairoli), solo dopo il 18671.
Nell’articolo sull’odonomastica del centro storico di Rutigliano, avevo prioritariamente considerato che il nome «folinara» potesse derivare da un antico mestiere o attività. Infatti, lo avevo intenzionalmente classificato nella tipologia dei vecchi mestieri e attività scomparsi, se appunto si tiene conto che il suffisso «-ara», ormai in disuso, forma i sostantivi denominali che designano luoghi di lavorazione di materiali. Ebbene, se consideriamo quelle che erano le attività economiche e agricole praticate nei secoli passati, apprendiamo per esempio che il cotone ovvero bambagia era uno dei più importanti prodotti agrari coltivati a Rutigliano2. Tale coltivazione è attestata a Rutigliano già dalla metà del XVI secolo3, nella Descrittione di tutta Italia di F. Leandro Alberti del 1550: «Quivi si cava assai frumento, Cimino, Anesi, Cotone, & altri buoni frutti.» (p. 218) e nel Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli [...] di Francesco Sacco del 1796: «I prodotti del suo territorio sono grani, legumi, frutti, vini, olj, mandorle, e bambagia» (Tomo III, p. 227). Un’identica descrizione la si trova nel Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniani del 1804 e nella Historica descrizione del Regno di Napoli ultimamente diviso in quindici provincie [...] di Giuseppe Maria Alfano del 1823. Lo stesso canonico Lorenzo Cardassi ci informa, nel 1877: «E poi chi non conosce che da noi nei secoli passati, come pure oggidì, la piantagione del cotone fu sempre una delle principali industrie agrarie?»4. Possiamo quindi dedurre che tale coltivazione, a Rutigliano, sia durata a dir poco oltre tre secoli.
La produzione del cotone, i cui semi furono come è noto introdotti dagli arabi nelle nostre provincie, permise la creazione di «manifatture di cotone della Provincia di Bari, [...], fra le quali si distinguono per tale coltivazione quelle di Canosa, Rutigliano, Corato, Noja, Barletta, e Bari»5. Essa era in parte destinata all’esportazione e in parte al trattamento, in loco, di candeggio, tintoria, stampa e finitura6. Il florido stato della coltivazione e la cospicua vendita dei nostri cotoni avevano generato anche a Rutigliano attività collaterali come appunto la nascita di opifici domestici per la lavorazione e la tintoria del cotone7.
Che la parola «folinara» potesse avere origine dal greco era un’ipotesi che caldeggiavo da tempo. Ma, in principio, mi riusciva difficile prendere in considerazione la traduzione in italiano (scaglia, squama, macchia su pelle, ecc.) del lemma greco Φολίς (folis) presente nei dizionari bilingui. Successivamente, e andando oltre questo primo approccio (grazie anche ai lontani insegnamenti ricevuti da uno dei migliori grecisti della Diocesi di Conversano, mons. Giovanni Battista Romanazzi, a cui devo il particolare interesse per l’etimologia), ho potuto consultare il Dictionnaire étymologique de la langue grecque di Pierre Chantraine, dove è contemplato il lemma Φολύνω (folino) con il rinvio a Φορύνω (forino), il cui significato è «mescolare, macchiare, sporcare». Come è noto, la vastità di significati che una parola greca può assumere non sempre trova una precisa corrispondenza nella lingua italiana. Ciò premesso, e dopo questo breve excursus linguistico-etimologico di cui vi chiedo grazia, non mi sembra azzardato affermare che il significato della parola «folinara» possa essere identificato con il processo di lavorazione del cotone in rapporto con l’arte tintoria.
In cosa consisteva il tipo di lavorazione e di trattamento tintoriale e di nobilitazione della fibra tessile? Alcuni manuali e ricettari attorno all’arte tintoria ci possono aiutare a capire quale può essere la possibile correlazione fra la parola «folinara» e l’arte tintoria.
Quella dell’arte tintoria è un’arte molto antica che consisteva dapprima nell’estrazione dei pigmenti colorati dalle piante coltivate e spontanee, dai minerali e dal regno animale per tingere le fibre naturali. Esistevano poi nelle botteghe grandi calderoni che si lasciavano scaldare lentamente e dentro cui si versavano sale e estratti colorati derivanti da piante ed erbe di ogni tipo. Il tutto veniva mescolato con bastoni di legno fino a 'macchiare, sporcare' il filato di cotone ed ottenere così un colore unico e brillante. Il perfezionamento di questa tecnica era garantita dalla presenza di maestri artigiani che con la produzione di matasse, drappeggi e stoffe di cotone colorati ne facevano un prodotto ricercato da essere esportato sui mercati europei con successo.
Questo antico processo di lavorazione e colorazione della materia cotone o bambagia negli opifici di Rutigliano è stato indubbiamente denominato dai nostri dotti amministratori con il termine ricercato e inedito di «folinara».
Con il passare del tempo, e soprattutto con l’introduzione sui mercati europei dei cotoni in provenienza «dalle Americhe e dalle Indie», insieme alla scoperta dei coloranti di sintesi chimica, la produzione e la lavorazione del cotone, che nel Settecento avevano avuto a Rutigliano (e a Monopoli) i loro punti di forza, sono andate via via scemando8.
Non sappiamo se gli opifici suddetti si trovassero propriamente nella «strada della Folinara» dal momento che mancano, fino ad ora, i documenti d’archivio che potrebbero attestare tale presenza nella zona, ma sono del parere che questa mia ipotesi possa essere ritenuta accettabile.
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1 Lorenzo Cardassi il suo tempo e la sua storia di Rutigliano, a c. F. Dicarlo, Rutigliano, ABMC, 2004, p. 37.
2 Nel rapporto di Vito Bisceglia fatto nel 1808 all’Intendente della Provincia di Bari «Lettera del sig. Cantore Vito Bisceglia a S.E. il sig. Duca di Canzano [...] sulla pianta del cotone, sue diverse specie e coltura.», in Giornale enciclopedico di Napoli, Tomo I, Napoli 1808, pp. 284-305, si legge che la vicina Noicattaro è considerata «luogo centrale per la coltura di questa pianta, come tutti gli altri Casali di Bari». Per la natura dei terreni, sembra che si coltivassero nelle nostre zone principalmente due varietà: maggiormente il comune Gossypium Herbaceum, più idoneo ai diversi trattamenti perché più resistente, e il Gossypium Siamense, ossia la "bambagia turchesca", in misura minore.
3 Già nel medioevo, anche se in quantità molto modeste, la coltivazione del cotone era presente in Terra di Bari e a Taranto, ma soprattutto nel Salento. Cfr. J.-M. Martin, La Pouille du VIe et XIIe siècle», École Française de Rome, 1993, pp. 419-420 n. 133.
4 Lorenzo Cardassi [...], op. cit., p. 96.
5 L. Targioni, «Notizie sulla industria del cotone nel Regno di Napoli», in C. A. de Lasteyrie, Del cotoniere e della sua coltivazione [...], Napoli 1809, p. 334.
6 L. Targioni, op. cit., pp. 322-336: «La Terra di Bari dà molto cotone, del quale pochissima dose è lavorata fuori di quella Provincia.», pp. 322-323 ; «Altronde è noto, che il cotone della Provincia di Bari passa in qualche porzione ancora nelle altre Provincie.», pp. 334-335.
7 Lorenzo Cardassi [...], op. cit., p. 96 n. 2: «... Anche l’arte tintoria, sussidiaria dell’industria cotoniera, aveva già fatto discrete prove... altre erbe venivano adoperate nelle domestiche industrie di Rutigliano».
8 Cfr. B. Salvemini, «I circuiti dello scambio : Terra di Bari nell’Ottocento», in Meridiana, n. 1 (1987), p. 52. Cfr. A. Annarumma, «Il commercio di tele, panni, sete e articoli di merceria a Rutigliano nel '700. Una vocazione mercantile in declino», in Archivio storico pugliese, a. 45 (1992), pp. 199-222.