Giornata della Memoria, la testimonianza da Primo Levi a Elie Wiesel
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- Pubblicato Giovedì, 24 Gennaio 2019 17:09
- Scritto da sac. Pasquale Pirulli
27 GENNAIO 2019, GIORNATA DELLA MEMORIA
sac. Pasquale Pirulli
In questa data si propone una riflessione che sia invito a non dimenticare la nostra umanità “in questa aiuola che a volte ci fa tanto feroci”! Per la Giornata della Memoria c’è l’invito a riascoltare la testimonianza di Primo Levi e di Elie Wiesel che sono sopravvissuti agli orrori del lager e hanno avvertito il dovere di raccontare. A tutti oggi sarà opportuno ricordare che: “Gli ultimi sopravvissuti all’Olocausto stanno scomparendo; la responsabilità di mantenere vivo il ricordo di queste pagine oscure della nostra storia grava sulle spalle delle nostre e delle generazioni future. È nostro sacro dovere onorare la memoria di sei milioni di vittime, affinché non siano dimenticate, e in modo da non dover rivisitare gli orrori del passato”.
Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919 da Cesare e Ester Luzzati. Negli anni 1925-’30 frequenta le scuole elementari e poi nell’anno 1934 inizia la frequenza al Ginnasio-Liceo D’Azeglio. Nell’anno 1937 si iscrive alla facoltà di Scienze dell’Università di Torino per la laurea in chimica. Nell’anno 1938 ci sono le leggi razziali emanate dal fascismo ed egli può continuare a frequentare l’università pur avvertendo “il trauma di sentirmi dire: attenzione, tu non sei come gli altri, anzi, vali di meno; sei avaro, sei uno straniero, sei sporco, sei pericoloso, sei infido. Ho reagito inconsapevolmente accentuando l’impegno nello studio” (Levi e Regge, 1984). Nel 1941 consegue la laurea con pieni voti e lode, ma sul suo diploma c’è l’annotazione «di razza ebraica».
Il suo primo lavoro è presso una cava di amianto di Lanzo nel laboratorio chimico e poi nel 1942 si trasferisce a Milano quale dipendente della fabbrica di medicinali Wander. Si scrive al Partito d’Azione clandestino e nell’anno 1943 dopo la caduta del governo fascista (25 luglio) e l’armistizio del governo Badoglio (8 settembre) si unisce ai partigiani della Val d’Aosta. Il 13 dicembre 1943 è arrestato presso Brusson e rinchiuso nel campo di concentramento di Carpi-Fossoli. Nel febbraio 1944 i tedeschi arrivano a Fossoli e avviano i prigionieri su un convoglio ferroviario ad Auschwitz. Dopo un viaggio di cinque giorni è mandato alla baracca n. 30. Egli ricorda: “Non c’era un campo di Auschwitz, ce n’erano 39. C’era Auschwitz città e dentro c’era un Lager, ed era Auschwitz propriamente detto, ossia la capitale del sistema; più sotto c’era a 2 km Birkenau, cioè Auschwitz secondo: qui c’era la camera a gas. Era un enorme Lager, diviso in 4-6 Lager confinanti. Più in alto0 invece c’era la fabbrica, e presso la fabbrica c’era Monowitz, o Auschwitz terzo: io ero lì, questo Lager apparteneva alla fabbrica, era stato finanziato da essa. In più, tutt’intorno, c’erano altri 30-35 Lager piccoli (miniere, fabbriche di armi, aziende agricole, ecc.) Nel mio Lager eravamo in circa 10.00; però l’amministrazione era per tutti Auschwitz uno, e il campo di sterminio era Birkenau” (Camon , 1987) Levi dice che si salva perché, conoscendo un po’ il tedesco, capisce subito gli ordini e poi dopo la sconfitta di Stanlingrado (1943) i tedeschi hanno bisogno di mano d’opera e la ritrovano anche tra gli ebrei. Per quanto riguarda la paura egli ricorda: “I primi giorni furono terribili, per chiunque. Si verifica una sorta di shock, un trauma legato all’ingresso in un campo di concentra<mento, che può durare cinque, dieci, venti giorni. Quasi tutte le persone che morirono soccombettero in quella prima fase… Potevo sentire però, insieme con la paura, la fame e lo sfinimento, un desiderio estremamente intenso di comprendere il mondo circostante.”. Circa la lingua scrive: “Sapevo un po’ di tedesco, ma capii che dovevo impararlo molto meglio. Arrivai al punto di prendere lezioni, pagandole con una parte della mia razione di pane. Non sapevo che stavo imparando una forma di tedesco molto rozzo” (Greer, 1985). In un primo momento è impiegato come muratore e sul campo di lavoro stringe amicizia con Lorenzo Perrone che a volte gli passa una gavetta di zuppa. In un secondo momento viene trasferito in un laboratorio. Circa la tragedia di Aschwitz egli deve superare la noia, affidare la sua esperienza alla sola memoria, perché era pericolosissimo scrivere, e soltanto alla fine verso il gennaio 1945 quando i tedeschi abbandonano il campo contrae la scarlattina. Ripensando alla sua esperienza scrive: “Ricordo di aver vissuto il mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva… Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto… C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo” (Roth, 1986).
Non è registrata nessuna sua reazione alle opere di Marc Chagall che nel 1938 aveva realizzato la “Crocifissione in bianco” e poi nel 1943 la “Crocifissione gialla” nella quale ultima pone il crocifisso rivestito dal tallid come perizoma al centro del drammatico racconto della Shoah.
Liberato dai russi vive per qualche mese nel campo di transito di Katowice facendo l’infermiere e poi nel giugno del 1945 inizia il lungo viaggio di ritorno attraverso l’Ucraina, la Romania, l’Ungheria e l’Austria e raggiunge l’Italia il 19 ottobre. Racconterà l’esperienza del Lager di Auschwitz nell’opera “Se questo è un uomo” che, dopo essere stato rifiutato da Einaudi, fu pubblicato nel 1947 dalla editrice Da Silva di Franco Antonicelli in 2500 copie. Più tardi nel 1955 l’editrice Einaudi stamperà la seconda edizione. La odissea dei reduci da Auschwitz sarà raccontata quattordici anni dopo nel volume “La Tregua” (1963) che si classificherà al terzo posto nel Premio Strega. Nel 1965 Primo Levi torna ad Auschwitz: “Il ritorno fu meno drammatico di quanto possa sembrare. Troppo frastuono, poco raccoglimento, tutto rimesso bene in ordine, facciate pulite, tanti discorsi ufficiali.” (intervista 1984) Nel 1975 va in pensione. Nel 1984 pubblica il volume “I sommersi e i salvati” in cui raccoglie le sue riflessioni sull’esperienza del Lager. L’11 aprile 1987 mette fine alla sua vita nella sua casa di Torino con il suicidio.
Non si può fare a meno di rileggere la sua poesia “Se questo è un uomo” che ha dato il titolo al suo primo volume:
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a casa
Il cibo caldo e visi amici
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato .
Vi comando queste parole
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi”.
Dopo il ricordo di Primo Levi rivolgiamo la nostra attenzione allo scrittore Elie Wiesel, nato il 30 settembre del 1928 a Sighetu Marmatiei (Transilvania) da Shlomo Wiesel e Sarah Feig. La sua educazione ispirata ai principi di umanità mette insieme la ragione (lingua ebraica, letteratura) e la fede (la Torah): Egli ha tre sorelle Hilda, Beatrice e Zippora: la più piccola Hilda insieme alla madre Sarah saranno avviate alla camera a gas appena giunte nel Lager di Auschwitz. Nell’anno 1944 gli ebrei di Sighet prima sono chiusi nel ghetto e poi il 6 maggio 1944 avviati al campo di sterminio. All’ingresso nel Lager egli diventa un numero: A-7713 La sorella Hilda insieme alla madre Sarah saranno avviate alla camera a gas appena giunte nel Lager di Auschwitz ed egli non si separa dal padre Shlomo. Il ricordo della prima notte è questo:
“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformati in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a viver quando Dio stesso. Mai”.
Il 29 gennaio 1945 Elie assiste impotente nel campo di Buchenwald al pestaggio del padre malato di dissenteria ed che poi nella notte viene finito nella camera a gas. L’11 aprile 1945 il lager viene liberato dall’esercito americano.
Dopo la guerra insegna l’ebraico, dirige un’orchestra e diventa giornalista professionista. Le prime memorie è un grosso volume di 900 pagine in lingua yiddish dal titolo “E il mondo rimase in silenzio” pubblicato nel 1858 a Buenos Aires. Con l’aiuto del celebre scrittore Francçois Mauriac riesce a pubblicare una versione più breve che porta il titolo “La Nuit” presso le Editions de Minuit. Nel 1960 si ha l’edizione in lingua inglese “The Night”. Ci vollero ben tre anni prima che fossero vendute le prime 3.000 copie. Nell’anno 2011 raggiunse sei milioni dopo essere stato tradotto in 30 lingue.
Nel 1955 egli ottiene la cittadinanza statunitense e si trasferisce a New York. Avverte il dovere di dare testimonianza e così la sua opera di oltre 40 titoli diventa la più importante nella letteratura sull’Olocausto. Con il tempo è diventato attivista politico impegnandosi nella difesa della indipendenza di Israele, delle condizioni degli ebrei russi e di quelli etiopi, dei desaparecidos in Argentina e anche delle vittime del genocidio armeno. Nel suo paese di nascita ha fondato la Elie Wiesel Memorial House. Nel 2006 è ritornato ad Auschwitz e il viaggio è stato mandato in onda il 24 marzo 2006. Nell’anno 2007 gli viene offerta la candidatura alla presidenza di Israele ma egli rifiuta dicendo di “non essere interessato” e al suo posto viene eletto Shimon Peres. Elie Wiesel il 1° febbraio 2007 sfugge a un attentato a San Francisco e il suo attentatore Eric Hunt è condannato alla prigione di due anni perché psicopatico. Più tardi Elie Wiesel scriverà la sua autobiografia dal titolo “Tutti i fiumi vanno al mare” Nel 1986 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace come testimone vivente della difesa dei diritti e della vita. Egli muore il 2 luglio 2016 nel suo appartamento di Manhattan a New York ed è sepolto nei cimitero Sharon Gardens di Valhalla sempre a New York. Oltre la prestigioso Premio Nobel per la pace egli è stato insignito di altre onorificenze: Medagli d’oro del Congresso USA (8 maggio 1984), Medaglia Presidenziale della Libertà (1992), Ellis Island Medal of Honor; Gran Croce dell’Ordine della Legion d’Onore (Francia); Comandante Onorario dell’Ordine dell’Impero Britannico.
La sua riflessione più drammatica dinanzi all’orrore di Auschwitz (rappresentato e riassunto dall’impiccagione di un bambino) è la domanda: <<Dietro di me sentii lo stesso uomo chiedere: Dov’è Dio adesso? E udii una voce dentro di me rispondergli: Egli è qui – Egli è appeso qui su questa forca!>> (La Notte, pp. 61-62).
Foto campo di concentramento di Auschwitz tratta da senzasoste.it
Foto Pimo Levi tratta da pieralevimontalcini.it
Foto Elie Wieseltratta da theparisreview.org