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Invito al libro «Dio è giovane!»

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sac. Pasquale Pirulli
don pasquale foto
Con entusiasmo papa Francesco grida al mondo: “Dio è giovane, è sempre giovane!” Lo fa in un libro intervista condotta da Thomas Leoncini pubblicato in Italia da Piemme in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana. Il curatore descrive i  suoi cinque incontri con papa Francesco al piano terra della Casa di Santa Marta e sottolinea la centralità dei giovani che sono fatti “della stessa pasta di Dio”  in un mondo che li emargina e tutt’al più li sfrutta.
Il volume si articola in tre parti: 1. Giovani profeti e vecchi sognatori; 2. In questo mondo; 3. Insegnare è imparare.
Nella prima parte, sulla quale ci soffermiamo, c’è una analisi della complessa problematica giovanile e nelle risposte di papa Francesco non mancano riferimenti autobiografici.
La prima domanda è “Che cos’è la giovinezza? Ed egli risponde che “La giovinezza non esiste!”, scarta i miti della giovinezza e si sofferma sui giovani, che non sono un “aggettivo” ma sono “sostantivo” cioè “persone”. Egli vedendo un giovane o una ragazza pensa a una persona “che cerca la propria strada, che vuole volare coni piedi, che si affaccia sul mondo e guarda l’orizzonte con occhi colmi di speranza, pieni di futuro e anche di illusioni… Parlare dei giovani significa parlare di promesse, e significa parlare di gioia!”

Egli rivolge la sua attenzione all’adolescenza che “è una fase intermedia della vita” e sottolinea il suo carattere rivoluzionario perché essenzialmente “è tensione” ma non è affatto una  “patologia”. Il riferimento autobiografico ai suoi venti anni lo portano agli anni del seminario e alla sua esperienza del dolore: “Mi hanno tolto un pezzo di polmone a causa di tre cisti” ma afferma: “Una cosa rammento bene, molto intima: “…ero pieno di sogni e desideri!”. Dinanzi alla morte del geniale musicista Sergej Sergeevic Prokof’ev egli chiede spiegazioni e  ricorda l’ammonimento della nonna materna: “Ma guarda, Jorge, che Prokof’ev non è nato così,, piuttosto è diventato così. Ha lottato, ha sudato, ha sofferto, ha costruito: la bellezza che vedi oggi è il lavoro di ieri, di quanto ha sofferto e investito, in silenzio.”

Circa i sogni infranti e non realizzati della sua giovinezza egli ricorda quello di voler andare missionario in Giappone e nei confronti di chi allora lo diceva “spacciato” afferma che in definitiva “gli è andata bene!”. Non può fare a meno di ricordare il momento in cui ha avvertito la “chiamata di Dio”. Era il 21 settembre  1953 e dopo essersi confessato nella parrocchia dichiara: “Non so cosa sia successo di preciso durante quei minuti, ma qualsiasi cosa fosse, mi ha cambiato l’esistenza per sempre. Sono uscito dalla parrocchia e sono tornato a casa. Avevo capito in un modo così forte e limpido quella che sarebbe stata la mia vita: dovevo farmi sacerdote!.” Dinanzi alle incertezze della decisiva scelta egli dichiara: “Non voglio nasconderti che qualche dubbio l’avevo anch’io, ma Dio vince sempre e dopo poco tempo ho trovato la stabilità”.  
Egli si dice convinto che Dio non tradisce mai i sogni dei giovani: “Mai. Sono stato io a tradirlo. In alcuni momenti anch’io ho sentito come se Dio si allontanasse da me, così come io mi sono allontanato da Lui. Capita nei momenti moto bui di chiedersi: <<Dove stai, Dio?”. Ho sempre costatato che non io cercavo Dio, ma era piuttosto Lui a cercare me. Lui arriva sempre per primo, ci aspetta…”

La situazione dei giovani in questa società è quanto mai precaria perché “sembra che la stessa abbia tanto bisogno dei giovani eppure  i giovani vengono scartati”. Papa Francesco addebita alla società attuale “la cultura dello scarto” che si concretizza nella politica del <<usa e getta”. Lo scarto i giovani lo avvertono anche nel mondo del lavoro e ci si accorge che questo comporta “una deumanizzazione dell’umano”: non poter lavorare significa non potersi sentire con  una dignità. Sappiamo tutti quanto sia differente guadagnarsi il pane da portare a casa e prenderlo invece da un’agenzia di assistenza…”.  
Il giovane si confronta anche con il denaro e gli adulti non sempre sono in grado di aiutare i giovani a crescere: “Penso che dobbiamo chiedere perdono ai ragazzi perché non sempre li prendiamo sul serio. Non sempre  li aiutiamo a scegliere la strada e a costruirsi quei mezzi che potrebbero permettere loro di non finire scartati”.
Egli condanna “la bramosia dell’accumulo” e sullo schema di un celebre passaggio dell’<<Avare>> di Molière in cui Arpagone farfuglia “Il faut manger pour vivre et non vivre pour manger” egli mette a confronto il denaro e il lavoro e afferma: “Hai citato il denaro in funzione della necessità di sostentamento e quindi di lavoro. Posso dirti che è il lavoro il cibo per l’anima, il lavoro sì che può trasformarsi in gioia di vivere, in cooperazione, in unione di intenti e gioco di squadra. Non il denaro. E il lavoro dovrebbe essere per tutti”.
Una condanna decisa egli esprime circa lo sfruttamento dei giovani nel mondo del lavoro: “Non si può accettare lo sfruttamento, non si può accettare che moltissimi giovani siano sfruttati dai datori di lavoro con false promesse, con pagamenti che non arrivano mai, con la scusa che sono giovani e devono farsi esperienza Non si può accettare che datori di lavoro pretendano dai giovani un lavoro re3pcario e addirittura perfino gratuito, come accade… I giovani ci chiedono di esser ascoltati e noi abbiamo il dovere di ascoltarli e di accoglierli, non di sfruttarli. Non ci sono scuse che tengano.”

Come deve fare un giovane a non essere stritolato da questi meccanismi di violenza che producono la “fuga dei cervelli” e salvano sempre i “figli di papà”. Egli chiede ai giovani “la parresia” e partendo dalla preghiera papa Francesco suggerisce ia giovani di avere coraggio, di credere nei propri sogni, e di aver anche la pazienza; quindi consiglia di “lottare con coraggio e pazienza, ogni giorno”.

Il rimedio contro lo scarto è rendere i giovani “protagonisti” e questo traguardo si raggiunge incontrando e ritmando il proprio passo con gli anziani. Non bisogna trascurare gli effetti negativi del fenomeno della secolarizzazione che ha prodotto negli anni Ottanta “i nati liquidi”. Egli consiglia agli uomini di Chiesa una vita sobria: “Gli uomini e le donne di Chiesa dovrebbero vestirsi soltanto di ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio e spogliarsi dei superfluo”. Per il papa: “E’ sempre meglio avere le tasche vuote, perché il diavolo abita sempre nelle tasche piene”.
Contro una società in cui sembrano vincitori i “ doppiogiochisti e i lupi affamati” papa Francesco auspica che i giovani siano capaci di essere “profeti”: “Un giovane deve essere conscio di avere le ali di un profeta, l’atteggiamento di un profeta, la capacità di profetizzare, di dire ma anche di fare.” Purtroppo gli adulti per mantenere il loro potere “spesso sradicano i giovani, estirpano loro radici” e quindi i giovani di oggi crescono  in una “società sradicata”. Egli specifica che “una società sradicata è quando il giovane cresce in una famiglia sen za storia, senza memoria e quindi senza radici”. Bisogna operare perché ci siano sempre luoghi che siano “scenari dove radicarci, dove generare legami, dove far crescere quella rete vitale che ci permetta di sentirci a casa.” Purtroppo internet crea l’illusione dei legami ed è la stessa virtualità  a lasciare i giovani per aria e per questo estremamente volatili”. Egli ricorda la riflessione del poeta argentino Francisco Luis Bernardeez: “Quando vediamo dei fiori sugli alberi, non dobbiamo dimenticarci che possiamo gioire di questa visione solo grazie alle radici”.  

Ci si salva dalla società sradicata attivando il dialogo tra giovani e vecchi, magari bypassando gli adulti. Purtroppo questa società scarta gli uni e gli altri e allora bisogna ricordarsi che “la salvezza dei vecchi è dare ai giovani la memoria, questo fa dei vecchi degli autentici sognatori di futuro, mentre la salvezza dei giovani è prender questi insegnamenti, questi sogni, e portarli avanti nella profezia”. Tra i giovani e gli anziani deve scattare la “rivoluzione della tenerezza”. Bisogna vincere la situazione di competizione e a volte di rivalità tra i giovani e gli adulti. Purtroppo c’è il pericolo di operare il lifting anche al cuore  che porta un adulto ad entrare in competizione con un ragazzino e a giocare ala vita effimera eterna, con un corpo sempre in preda agli istinti e ribelle alla ragione e al cuore. Papa Francesco ricorda l’inquietudine di un papà di Buenos Aires che, riconosciutolo come il cardinale arcivescovo, gli chiedeva: “Che cosa dobbiamo fare con questi giovani? Non so più come gestire in miei figli. Sabato scorso sono salite quattro ragazze appena maggiorenni, dell’età di mia figlia, e avevano quattro sacchetti pieni di bottiglie. Ho domandato che cosa ci avrebbero fatto con tute quelle bottiglie di vodka, whisky e altre cose; la loro risposta è stata: “Andiamo a casa a prepararci per la movida di questa sera”. Quelle ragazze erano il prodotto di una società sradicata perché “erano come orfane, sembravano senza radici, volevano diventare orfane del proprio corpo e della loro ragione. Per garantirsi una serata divertente dovevano arrivarci già ubriache”.  
         
Papa Francesco non si nasconde le responsabilità di chi governa ai qual ricorda le parole di Gesù: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà servitore, e chi vuole essere il primo  tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire ma per servire” (Mc 10,43). Egli ha idee chiare circa l’arte del governare: “Governare è servire ciascuno di noi, ciascuno dei fratelli che compongono il popolo, senza dimenticare nessuno. Chi governa deve imparare a guardare verso l’alto solo per parlare con Dio e non per giocare a fare dio. E deve guardare in basso solo per sollevare qualcuno che è caduto”. Egli agli uomini che governano offre un consiglio ed è quello di “non ascoltare solo gli intermediari, ma di scendere, di guardarsi intorno davvero. Consiglio a chi governa di toccarla, la realtà. E di stare lontano dalla vanità e dall’orgoglio: l’uomo vanitoso e orgoglioso non conosce saggezza, e l’uomo senza saggezza finisce sempre male”. Il peccato dell’uomo di potere ha due conseguenze: la distruzione di se stesso e poi finire di essere ridicolo. Per il papa Ponzio Pilato è “una delle figure più ridicole della storia perché non ha usato bene il suo potere e non ha capito il messaggio di Gesù che aveva trasformato il potere in umile servizio.

Egli ricorda le quindici malattie che sono pericolose per l’uomo che gestisce il potere, anche se le ha scritte per gli ufficiali della curia di Roma. Sinteticamente: La prima è la malattia di sentirsi immortali o addirittura indispensabili. La seconda è la malattia del “martalismo” cioè il rischio dell’eccessiva operosità. La terza malattia è quella dell’impietrimento mentale e spirituale. La quarta malattia è quella dell’eccesiva pianificazione e del funzionalismo. La quinta malattia è quella del cattivo coordinamento. La sesta malattia è quella dell’<<alzheimer spirituale>> che comporta la dimenticanza della storia della salvezza. La settima malattia è quella della rivalità e della vanagloria. L’ottava malattia è quella della schizofrenia esistenziale. La nona malattia è quella delle chiacchiere, delle mormorazioni, dei pettegolezzi. La decima malattia è quella di divinizzare i capi. L’undicesima malattia è quella dell’indifferenza verso gli altri. La dodicesima malattia è quella della faccia funerea. La tredicesima malattia è quella del “consumare consumo”, cioè del consumismo. La quattordicesima malattia è quella dei circoli chiusi. La quindicesima malattia è quella del profitto mondano quando si trasforma il servizio in potere.
Ci sono anche due malattie morali che terrorizzano il papa: la prima è l’incapacità di sentirsi in colpa e la paura del dolore che non deve essere masochismo ma coraggio  nella prova e insegnamento di vita.  

Non poteva mancare in questa disanima della società nella quale gli adulti giocano a fare i giovani e i giovani hanno paura di invecchiare come gli adulti un accenno all’eccessivo ricorso alla chirurgia plastica e alla moda della “mascotte”, cioè eccessiva cura degli animali di compagnia.  
A proposito della prima il papa dichiara: “E poi certamente mi fa molta paura l’industria dell’estetica e della chirurgia plastica. Non possiamo permetterci che diventino necessità dell’essere umano; per il bene di tutti noi, non possiamo accettare l’esasperazione di un’estetica artificiale. Tutto questo disumanizza la bellezza dell’uomo, per farlo rassomigliare invece a qualcosa di “uguale per tutti”. Ma ci rendiamo conto di questo sia brutto diventare “uguali a tutti”?...  Si corre il rischio di costruirsi una immagine diversa da quella originaria “che si ha per natura e per storia naturale. Si rischia che la ricostruzione continua di una vita nuova e parallela credi pendenza e finisca per sostituire quella che ci ha donato Dio…. Se ricevo un dono e continuo a modificarlo a mio gusto, ogni giorno, come fa a non rimanere de3luso chi ce l’ha donato?”.  
Circa la moda della mascotte papa Bergoglio ha le idee chiare: “A volte si prova un forte amore per gli animali, tema che è importante e che è a mio avviso giusto tenere in considerazione, perché Dio ha creato l’uomo ma anche gli animali e l’ambiente. Ma preoccupa invece quando le persone … sono completamente assorbite  nello spirito dal rapporto con la mascotte. Usano gli animali e non rispettano la loro dignità. E’ una moda illusoria per costruirsi un affetto programmato: l’amicizia programmata, la famiglia a portata di mano, l’amore a portata dio mano… In realtà questo animale diventa uno schiavo del proprietario, e quest’ultimo si bea di un rapporto creato a tavolino per sostituire i rapporti sociali umani, che invece necessitano di dialogo e scambio reciproco”.

Papa Francesco per la salvezza della società ritiene quanto mai utile la collaborazione tra anziani e giovani e con gratitudine ricorda la vecchia signora vedova che aiutava la sua mamma nei lavori domestici: lei le aveva regalato una medaglia del Sacro Cuore e dopo aver rifiutato di riceverla quando era rettore del Collegio Massimo per anni ha riparato andando a trovarla e assistendola sul letto di morte: “Quella donna era stata molto importante per me, mi aveva insegnato la crudeltà della guerra, mi aveva raccontato tutto di quel periodo, che io avevo potuto vedere attraverso i suoi occhi. ” E conclude: “Chi ha l’esperienza ha il dover di metterla a disposizione dei giovani con altruismo”.

Circa il problema dell’ateismo giovanile papa Francesco ricorda la risposta data ad un giovane universitario che lo interrogava durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia: “Perché hai l’esigenza di dire? Dobbiamo sempre fare, non dire. Tu fai. Se cominci a parlare farai proselitismo e fare proselitismo significa usare la gente. I giovani sono molto sensibili alle testimonianze, hanno bisogno di uomini e donne che siano esempi, che facciano senza pretendere nula dagli altri, che si mostrino per ciò che sono e basta. Saranno loro, gli altri giovani, a farti domande e così arriverà anche il momento di parlare, di dire”. Ai giovani bisogna presentare l’autentica immagine di Dio che ha nei confronti delle creature una tenerezza materna e un amore “viscerale”, che Gesù di Nazareth ci fa conoscere, a parere del papa, con il suo pianto sulla città di Gerusalemme: <<Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!” (Lc 13,34).  Recuperando le parole del libro dell’Apocalisse: <<E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose”, il papa traccia un quadro affascinante di un Dio sempre giovane: “Dio quindi è Colui che rinnova sempre, perché Lui è sempre nuovo: Dio è giovane! Dio è l’Eterno che non ha tempo, ma è capace di rinnovare, ringiovanirsi continuamente e ringiovanire tutto. Le caratteristiche più peculiari dei giovani sono anche le Sue. E’ giovane perché <<fa nuove tutte le cose>> e ama le novità; perché stupisce e ama lo stupore; perché sa sognare e34 ha desiderio dei nostri sogni; perché è forte ed entusiasta; perché costruisce relazioni e chiede a noi di fare altrettanto; è sociale.”

Alla fine di questa disamina dell’universo giovanile nella società attuale accennando al pericolo di una “religione cibernetica” in cui l’uomo si considera Dio, papa Francesco desidera che “i giovani devono guardarsi l’un l’altro come fossero una grande famiglia” e siano capaci di darsi vicendevolmente “uno schiaffo culturale” puntando sul dialogo fra anziani e giovani.
Dinanzi all’intervistatore che apprezza il suo papato come fosse “un elogio alla fragilità e agli scartati” papa Francesco risponde: “Dico solo una cosa… Vorrei che lo fosse. Sono un credente e rimango stupito davanti alla fragilità di Dio in Gesù, davanti a Gesù “lo scartato”.
In un secondo intervento ci soffermeremo sulle altre due parati del volume dedicato al dialogo con i giovani sulle problematiche degli stessi giovani.


                             

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