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Le riflessioni di Franco Larizza su lama, alberi e "nuova speranza"

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Gianni,
prendo spunto per queste mie riflessioni, dall’ultimo articolo dedicato all’ennesimo atto vandalico nei confronti della vegetazione della nostra lama S. Giorgio.

In particolare dalla risposta alquanto piccata del Dott. Solenne ad un mio commento allo stesso articolo.
Ora, lo sai bene, i commenti in calce agli articoli sono spesso il luogo del paradosso, della battuta ed, a volte, della vigliaccheria ben nascosta dietro l’anonimato.

Quasi mai, a mio modo di vedere, riescono ad essere esaustivi di un ragionamento compiuto, di un pensiero articolato.
Dare patenti di ignoranza (“non capire nulla del problema”) in risposta ad un commento provocatorio è quantomeno incauto, persino per una persona seria, preparata ed appassionata come Vito Solenne.

Non sono un Dottore forestale, né un agronomo, ma la scienza, la ricerca e la progettazione sono il mio mestiere.
Vivo, insomma, di osservazione e conseguente deduzione che prelude alla progettazione.
Ed allora, parlando del nostro tratto di lama, osservo e vedo una area a macchia mediterranea parzialmente boschiva che ormai può essere considerata un fossile vivente di un ecosistema fortemente degradato che conserva ancora una minima capacità di sostentamento, ma che non ha più nessuna capacità rigenerativa. alberi-lama-franco-1

Per capacità rigenerativa intendo la capacità del sistema di riportarsi autonomamente ed in tempi apprezzabili alla situazione di equilibrio naturale dalla quale un evento traumatico l’ha perturbata. I motivi dovrebbero essere chiari a tutti anche solo osservando una foto da Google Earth.

La vegetazione autoctona è ridotta a pochi alberi in una piccola striscia di terra, assediati da un ecosistema profondamente alterato e quotidianamente violentato persino nella composizione dell’aria.

Chi, come me, ha un vago ricordo della maestosità del Bosco Regio (il tratto di lama tra l’Annunziata ed il Vallone Guidotti) oppure della macchia di Localzo e dei suoi spettacolari carrubi ed alberi (si alberi!) di corbezzolo, ricorderà anche l’inesorabile destino a cui queste due aree sono andate incontro dopo incendi nella fine degli anni ’70 (per il Bosco Regio) ed il taglio dei carrubi nella stessa epoca (per Localzo).

Aree lasciate a sé stesse e mai più tornate, dopo 35 anni, alla loro antica bellezza. E’ chiaro che la via maestra sarebbe la prevenzione ma ho qualche dubbio che basterebbe. E, soprattutto, gli ultimi colpi mortali assestati alla lama e quelli, ci giurerei avremo in breve tempo, come si rimarginano?

E qui vengo alla battuta dei “10 alberi per uno”. Siamo sicuri che le scienze forestali non possano fornire una risposta ed una speranza nuova?

Leggo, ad esempio, da “L’Italia forestale e montana” di Vito Leone(*), a proposito di interventi su aree boschive percorse dal fuoco: “… in casi in cui appare improbabile la capacità di rinnovazione naturale … possono essere adottate tecniche di bioingegneria, quali le operazioni di idrosemina a pressione di mescole di semi e/o plantule, tra cui specie arbustive a carattere pioniero…. Gli interventi devono utilizzare entità coerenti rispetto alla vegetazione presente… Un buon esempio in tal senso è stato realizzato nel Parco del Cilento…Si tratta di un progetto pilota di interventi di restauro di aree percorse da incendi in territorio a macchia mediterranea.
Le tecniche adottate sono basate sulla ricostituzione della associazioni presenti in natura con materiale autoctono, consentendo il ripristino della naturale successione spaziale in tempi particolarmente ristretti”.

Ed allora qui non si tratta di fare selfie con l’Assessore con in una mano la paletta e nell’altra l’alberello di pino.
Per questo ci sono già le bandierine ormai logore di Legambiente che vengono tenute in naftalina e tirate fuori il giorno di “Festambiente”.

Si tratta invece di invitarlo a confrontarsi con esperti, magari con gente preparata come Vito Solenne e non con i soliti agronomi espertisssssimi di uva apirene, per cercare strade che riducano l’enorme danno che non si riparerà solo con la prevenzione, ammesso che questa funzioni 360 giorni l’anno, notte e giorno, a Natale capodanno e ferragosto.

L’ironia sull’Assessore la lascerei perdere perché io, personalmente, non ho più speranze che i prossimi siano migliori.

(*) Vito Leone, dipartimento di Produzione vegetale - Università della Basilicata

Franco Larizza




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