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Nota Settimanale. Europa vo’ cercando!

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di Sac. Pasquale Pirulli
     

don-pasquale-2In questa settimana in cui in Inghilterra i sudditi della inossidabile sua maestà Elisabetta II sono chiamati ad esprimersi con un referendum sulla Brexit, circa la loro permanenza nella casa europea, vorrei riprendere la antica lanterna del filosofo e girovagare per le strade, magari rifacendo il cammino di Compostela, rispondendo a chi mi chiedesse qualcosa: “Europa vo’ cercando!”.

Sì, è vero, qualcuno mi potrebbe far osservare che ci sono il Parlamento europeo, la Banca europea, guidata dal nostro Mario Draghi, la Commissione europea presieduta da Juncker con la nostra Magherini quale delegata alla politica estera e oltre alla bandiera con le tante stelle in  circolo nelle nostre tasche sempre più al rosso risuona la moneta chiamata Euro.

Tutte le nazioni, incominciando dai sei Paesi che con la guida di politici di ampie vedute (Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Henri Spaak) il 25 marzo 1957 firmarono il patto istitutivo della Comunità Economica Europea (Italia, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Germania Ovest quale primo nucleo della nuova Europa, a quelli che si sono aggiunti in un secondo momento e che attualmente raggiungono il numero di ventisette e quelli che ancora sono in attesa di entrare come la Turchia, nelle cerimonie ufficiali esprimono entusiasmo e gradimento per questa casa comune targata Europa. Ma quando si tratta di affrontare insieme un problema drammatico quale è quello dell’accoglienza di coloro che chiedono asilo e che approdano sulle spiagge della Italia, della Grecia o che premono alle frontiere della Macedonia o dell’Austria, della Francia e dell’Inghilterra, ognuno si chiude a riccio in difesa delle prerogative nazionali. Sì è un’Europa economica (euro-banche) ma non una casa per tutti perché ognuno difende con i denti il proprio angolino.

Gli inglesi il 23 giugno si confrontano con un referendum popolare sulla Brexit e si tratta di scegliere tra “leave” o “remain”. Ad avvelenare il clima del confronto, il cui esito interessa tutti i ventisette paesi europei, c’è stato l’omicidio della deputata Jo Cox favorevole al Sì e il suo assassino ha blaterato nelle sue farneticanti dichiarazioni di volere una Gran Bretagna “libera dall’Europa”.   
A scuotere l’indifferenza e l’egoismo europeo papa Francesco dalla sua visita a Lesbo ha portato quali suoi ospiti in Vaticano i membri di una famiglia di profughi.

A lui il 6 maggio 2016 è stato assegnato il Premio «Carlo Magno» ed egli nel discorso pronunciato durante la cerimonia, cui sono intervenuti Marcel Pgilipp, Jurgen Linden, Martin Schulz, Jean-Claude Juncher e Donald Tusk, ha ricordato i Padri fondatori dell’Europa: “Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi.
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L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente se stessa e iniziò a edificare la sua casa”. Il papa con libertà parla di un’Europa <<nonna stanca e invecchiata>> “tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione”. Egli ai tentativi sempre ricorrenti di trinceramento contrappone l’entusiasmo dei padri fondatori i quali “ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione.

Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni”. Robert Schuman richiamava tutti ad una solidarietà di fatto e Alcide De Gasperi insisteva a non accontentarsi di un maquillage estetico ma di porre basi nuove fortemente radicate: “tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa… un lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione”.
Si tratta adesso di «aggiornare» l’idea dell’Europa che abbia la capacità di generare un <<nuovo umanesimo>>mettendo a frutto tre capacità “integrare, dialogare, generare”.

Quello dell’«integrazione» è una sfida sempre attuale perché l’identità dell’Europa sintetizza varie culture ed è capace di superare ogni tentazione a chiudersi.
E’ necessario avviare quasi un apprendistato del «dialogo» quasi “un’ascesi  che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato ed apprezzato”. Al dialogo iniziale economico militare o politico papa Francesco auspica che si unisca la cultura del dialogo che deve essere presente nella formazione dei giovani.

Tutti sono impegnati alla costruzione della comune casa europea e in modo particolare i giovani, cui è assegnato un ruolo preponderante per generare questa Europa. Proprio per i nostri giovani costretti ad emigrare per mancanza di lavoro si auspica la ricerca di nuovi modelli economici cioè abbandonare un’economia liquida incentrata sul profitto e puntar su un’economia sociale che garantisce “l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro come ambito in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco «molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione del futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri».

Da questa sfida non si tira fuori la Chiesa: “il suo compito coincide  con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante”.

Ecco il sogno di papa Francesco sulla nuova Europa:
“Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre, una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita.
Sogno un’Europa che si prende cure del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo.

Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto.
Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è un delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano.
Sogno un’Europa in cui i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo, dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente  stabile.

Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni.
Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza trascurare i doveri verso tutti.
Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.
Esprimo il desiderio che la luce di questo sogno europeo illumini il cielo di Londra e sia salutato dal suono del Big Ben della Clock Tower.  

  
                                

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