A Firenze si va in cerca dell'uomo
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- Pubblicato Sabato, 14 Novembre 2015 07:12
- Scritto da don Pasquale Pirulli
A FIRENZE SI VA IN CERCA DELL’UOMO…
PER CONOSCERLO, AMARLO, ASCOLTARLO E SERVIRLO!!!
Questa volta mi metto al seguito del filosofo cinico Diogene Laerzio il quale con gesto provocatorio, simile a quelli dei profeti ebrei che poi nei loro messaggi spiegavano la loro azione che diventava parola, con una lanterna accesa percorreva le strade e a chi gli chiedeva spiegazioni del suo agire rispondeva: “Cerco l’uomo!”.
Mi pare che la stessa domanda non abbia perduto la sua provocatoria attualità nella nostra società e nel nostro tempo in cui l’uomo alla ribalta del proscenio sociale è costretto a rivestire diverse maschere, stando alla drammatica lettura della società fatta dal commediografo Luigi Pirandello con le sue “Maschere nude”.
Anche per me la domanda circa l’identità dell’uomo in questi giorni convulsi in cui ancora una volta si riscontra la verità della drammatica sentenza di Thomas Hobbes il quale affermava: “Homo homini lupus” (L’uomo è un lupo per l’altro uomo).
Qualche volta ricordo alcune pillole di antropologia popolare con le quali è stato risposto alla domanda”Chi è l’uomo?”. Si passa dalla più becera “L’uomo è un tubo digerente!” a quelle più filosofiche: “L’uomo è un animale razionale”, “L’uomo è un animale politico”, “L’uomo è essere economico”, “L’uomo è una macchina” per arrivare a quelle più luminose: “L’uomo è un essere religioso”, “L’uomo è un figlio di Dio”.
A voler analizzare la complessa situazione dell’uomo che è in Italia, in cui si riscontra sconforto e speranza, ci prova la Chiesa che si raduna nel suo V Congresso Nazionale (9-13 novembre 2015) per riflettere sul tema “In Gesù Cristo un nuovo umanesimo”. Mi piace il fatto che sia la città di Firenze, culla dell’umanesimo rinascimentale, ad ospitare questo decisivo convegno che sarà ascolto, proposta e impegno di servizio della realtà umana della società italiana.
La Chiesa ritrova proprio nella umanità del suo fondatore Gesù di Nazareth la cifra per leggere la realtà dell’uomo perché il mistero di Cristo illumina il mistero dell’uomo! Non è male tracciare uno schematico profilo dell’uomo Gesù di Nazareth e avvertire il fascino della sua umanità armonica nelle sue qualità, libera nel suo agire, qualche volta provocatoria nei confronti delle autorità che si arrogano il diritto di dominare e sfruttare i propri sudditi, sempre attenta ai bisogni degli altri e cioè dei poveri e degli emarginati.
Come icona evangelica si propone “la giornata di Cafarnao” descritta dall’evangelista Marco (1, 21-34 durante la quale l’attività di Gesù è scandita dai tre momenti da lui trascorsi nella sinagoga, nella casa e nella città.
Proprio rifacendosi a questa pagina marciana si scopre che Gesù è profondamente inserito nella cultura e nella storia del suo popolo. Nella sinagoga egli celebra il sabato con la liturgia della parola e si prodiga ad alleviare la sofferenza di chi si rivolge a lui perché afflitto dal diavolo e dal dolore della malattia. Egli da l’esempio di ascoltare prima la parola di Dio e di raccogliersi nella preghiera e poi si relaziona con gli altri praticando l’esorcismo che è liberazione dal male.
In un secondo momento egli si sposta dalla sinagoga alla casa di Pietro e la sua presenza è dono di convivialità e di potenza nei confronti della suocera di Pietro ammalata e poi di misericordia per tutti coloro che anche in ore serali fanno ressa sulla porta per avvicinarlo ed essere guariti. Non possiamo dimenticare la gelosa custodia da parte dei cristiani di questa casa, testimoniata dalla pellegrina Egeria che durante il suo viaggio in Terra Santa degli anni 384-385 testimoniava di aver visitato:”In Cafarnao la casa del principe degli apostoli fu trasformata in chiesa, le cui pareti originali sono ad oggi come erano una volta. Lì il Signore curò il paralitico”. Non dobbiamo dimenticare che l’azione misericordiosa di Gesù nei confronti dei lebbrosi, degli indemoniati e delle donne non è solo guarigione dalla malattia ma azione di recupero e di integrazione sociale di categorie considerate escluse, anche perché egli è colui che “solleva” (verbo che indica la potenza di Gesù nei confronti della morte, infatti l’amico Lazzaro è invitato a “sollevarsi” ed egli stesso è colui che “si solleva” nella risurrezione).
Gesù non si lascia bloccare in un luogo e avverte la necessità e il bisogno di “andare” verso tutti: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là, per questo infatti sono venuto”. Dopo aver trascorso la notte in preghiera il rabbi di Galilea riprende il suo apostolato itinerante, sperimentando anche le difficoltà di una opposizione che avrà il suo culmine nella città di Gerusalemme quando nel periodo pasquale affronterà la passione e la morte e la sua vicenda umana sarà illuminata dalla risurrezione.
All’uomo attuale che vive in un ambiente “liquido” senza valori e prospettive, che avverte l’angoscia della solitudine anche nella vita vorticosa della città, che vive relazioni frammentarie ed occasionali, la Chiesa si pone, sull’esempio di Gesù, quale buon samaritano.
L’egocentrismo moderno viene superato dalla capacità di ascolto del grido dei sofferenti e di simpatia nell’incontrare il volto dell’altro. In tal modo recuperiamo la nostra umanità che è prima di tutto ricchezza di relazioni autentiche e durature che ci permettono di vivere nella passeggera città terrena impegnati a costruire la eterna città del cielo (S. Agostino).
L’umanesimo cristiano si fa prima di tutto “ascolto”: “Ascoltare l’umano significa vedere la bellezza di ciò che c’è, nella speranza di ciò che ancora può venire, consapevoli che si può solo ricevere”.
In un secondo momento più che una ideologia il cristianesimo cristiano sposa la categoria della “concretezza”. Si tratta, sull’esempio di Gesù, di sintetizzare “verità e vissuto” mettendo in sordina la tentazione dell’onnipotenza umana (l’ideologia del “Prometeo scatenato”) , superando la fragilità e seminando tra gli uomini la speranza. Si tratta di “imparare facendo” e di “educare all’affettività affettivamente”, incarnando la parola del Vangelo nella realtà di ogni giorno.
Il terzo momento è l’attenzione e la valorizzazione “del plurale e dell’integrale”. Si rifiuta un umanesimo <<monolitico>> e si propone un umanesimo <<prismatico>> per cui “l’accesso all’umano si rinviene imparando a inscrivere nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, perché egli ne raccoglie in unità i lineamenti come pure le cicatrici”. Il cristianesimo nel suo umanesimo valorizza tutti i frammenti di umanità, illuminati dall’amore di Dio che li riconosce suoi figli nel Figlio fatto uomo. Due immagini a sottolineare questo aspetto. Il beato Pino Puglisi, martire della mafia, invitava gli universitari di Palermo “a immaginare il proprio volto personale come uno dei tanti variopinti vetrini che compongono, nell’abside maggiore del duomo di Monrreale, il grande volto di Cristo Gesù”.
L’indimenticabile vescovo di Molfetta, Don Tonino Bello insisteva sulla “convivialità delle differenze” per cui la Chiesa accoglie tutti: disabili, poveri, immigrati perché tutti in Cristo “prossimi e fratelli”. La integralità la si ritrova nel superare ogni dualismo tra gli stessi operatori pastorali e tra “dimensione veritativa” e “prassi caritativa”. In questa linea la Chiesa scopre la provocatoria proposta di una “pastorale integrata” che invita alla sinergia tra comunità educative (famiglia, scuola, associazioni). In fin dei conti “La via dell’intero è riconosciuta come via dell’umano”.
Il quarto momento è quello “dell’interiorità e della trascendenza”. All’uomo tentato oggi di riversarsi all’esterno è quanto mai utile partire dalla ricchezza di questa affermazione della lettera a Diogneto, datata alla metà del II sec.,: “L’uomo proviene dall’intimo di Dio” e ha come conseguenza che nell’intimo l’uomo scopre di essere impastato di Dio, perché è verità e unità. Sant’Agostino sottolineava questa esigenza di interiorità invitando: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas,etsi tuam naturam mutabilem invenies, trascende et te ipsum”. (Non andare fuori, ritorna in te stesso, all’interno dell’uomo abita la verità, anche se troverai una natura mutabile, devi superare anche te stesso).
Romano Guardini parlava di <<umanesimo trascendente>> perché riconosceva che le coordinate esistenziali, il donde e il verso entro cui l’umano si sviluppa pienamente, corrispondono a feritoie che permettono di intravedere un Altro, non relegato semplicemente oltre l’uomo stesso”. Sarà opportuno recuperare le linee dell’antropologia autenticamente cristiana, modellata sul Cristo vero Dio e vero uomo, in cui “La divina trascendenza e la prossimità d’amore - che nel Dio annunciato da Gesù Cristo coincidono – diventano l’ordito e la trama che s’intersecano nel fondo più intimo e delicato della persona umana, rappresentato dalla coscienza”. (Gaudium et spes, nn. 12-22)
Questa nota introduttiva al prossimo Convegno di Firenze (9-13 novembre 2015) la possiamo chiudere con la riflessione del papa emerito Benedetto XVI il quale puntualizzava l’impegno della Chiesa a recuperare e a proporre all’uomo di oggi un valido <<umanesimo cristiano>> perché “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (Caritas in veritate, 78).
Sac. Pasquale Pirulli