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CALL CENTER, UN LAVORO PER PREDATORI

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di Andrea Costanza


Sono illusorie le favole raccontateci tuttora da chi continua a raffigurare il futuro come sorgente di ottimismo e speranza. La verità è che percepiamo il domani come una minaccia intrisa di precarietà e infelicità. Costretti a vivere in un presente assolutizzato, il futuro ci pare nebbioso, pericoloso, minaccioso. Non solo, ma l’uomo moderno non è più capace di acquisire e interiorizzare tutti quei valori che, nel corso della storia, hanno sempre assunto il ruolo di coefficienti sociali, appartenenti alla categoria del Giusto. Ma qualcosa è cambiato. Ora si scruta il vuoto, un’infinita voragine. Onestà, dignità, lealtà: questa triade valoriale è stata sconsacrata, derisa, espulsa perché inutile al fine della mera sopravvivenza materiale.

Il lavoro del call center, assurto a simbolo della precarietà e della crisi capitalistica, è un esempio calzante di quel che è diventato il mondo. Troviamo di tutto, in questo immondezzaio per predatori gentili e sorridenti, affabili quanto si voglia, ma mordaci e spregiudicati quando i loro timpani s’imbattono nel tintinnio dei piccioli. La fauna all’interno dei call center è molto variegata, quasi democratica nella sua composizione antropologica. C’è l’imbarazzo della scelta: vi troviamo casalinghe, divorziati, analfabeti, laureati, anziani, precari, mignotte, cerebrolesi, persino i bimbominkia. Tutti, in teoria, possono rimpolpare questa forma di mercenarismo; chiunque è ben accetto, a patto che l’aspirante operatore telefonico non abbia problemi ad ingaggiare una battaglia silenziosa con quella vocina fastidiosa e impertinente, che ha l’ardore di imporre la sua volontà. Questa vocina ha un nome: si chiama coscienza.

Pur di rifilare il prodotto alla vecchietta rincoglionita o al pirla di turno, il mercenario telefonico non deve avere scrupoli di coscienza, non deve farsi portatore di dubbi circa la validità di ciò che si vende; non deve preoccuparsi se le informazioni riguardanti la natura del prodotto nascondano imprecisioni, faglie, inesattezze; il mercenario non deve addolorarsi di professare falsità, di imbrogliare su cifre e dati, di omettere particolari che andrebbero a scoraggiare la vendita. Anzi, bisogna pigiare il pedale della spregiudicatezza se si ha l’ambizione di spacciare il cartongesso come oro colato. Vendere, vendere, vendere. Bisogna guadagnare, no?

Non solo, ma è essenziale coltivare l’arte della dissimulazione per fottere meglio. Bisogna essere cortesi, affabili, servili. Sempre e comunque. Rendersi viscidi come serpenti: un prerequisito essenziale. Come un vero predatore, il serpente è lì che corteggia, flirta, per poi offrire un abbraccio caloroso. “Mi creda, signor Rossi, questo prodotto è competitivo, noi vogliamo farle risparmiare!”. E’ una trappola, caro signor Rossi. Trattasi di un calore fittizio, vile, poiché il vero obiettivo del serpente è strangolare mortalmente l’ignara vittima.

L’obiettivo del mercenario è impinguare, attraverso le provvigioni, uno stipendio miserevole inculando la gente. E qualora ci fosse l’occasione di cambiare commessa, con la prospettiva di guadagnare di più, il mercenario emigrerebbe tranquillamente, anche qualora si trattasse di vendere un prodotto ancora più scadente e sconveniente del precedente. É vero: c’è chi è in buonafede, si duole sinceramente nel dover praticare un lavoro infame, consapevole che se non mangia potrebbe essere lui stesso mangiato; ma costoro sono la minoranza. La maggioranza, invece, non si fa scrupoli: azzanna col piacere di azzannare, specula ben volentieri col sorriso in bocca.

Al mercenario telefonico, armato di cuffiette, microfoni e tanto cinismo, viene richiesto di essere efficiente attraverso il raggiungimento degli obiettivi col massimo dei risultati e col minimo degli sforzi. Egli si sente esonerato dal preoccuparsi se la rispettiva condotta possa provocare effetti negativi al prossimo. Non è affar suo scomodare la coscienza, quella vocina sempre più tenue e impercettibile (forse perché deceduta). La domanda “è moralmente ed eticamente Giusto?” non possiede significato. La giustezza, in un mondo dominato completamente dal Mercato e dal Denaro, non viene più associata alla categoria nobile del Giusto, bensì a quella dell’efficienza propedeutica alla produttività.

Il lavoro del call center è semplicemente un misero teatrino di provincia, una rappresentazione in piccolo di ciò che è il mondo, ovverosia un luogo abitato da vili automi e meri esecutori deresponsabilizzati e disumanizzati.

Ebbene sì, io, povero pirla a due zampe, ho praticato questo lavoro alienante per due mesi. Quindi so di cosa parlo. E, credetemi, ne sono uscito distrutto.


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