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REFERENDUM CONTRO LA CASTA, LE FIRME SARANNO VALIDE?

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di Gianni Nicastro


Da più parti si sollevano dubbi sulla validità delle firme che il movimento politico “Unione Popolare” dal 12 maggio scorso sta raccogliendo per promuovere il referendum “taglia-stipendi” ai parlamentari. Si può firmare fino al 26 luglio prossimo, pochi giorni ancora, dunque. Entro il 30 luglio dovrebbero essere consegnate al comitato promotore i moduli con le firme già vidimati dagli uffici elettorali.

Chi volesse recarsi al comune di Rutigliano per firmare sappia che non ci sono moduli, non ce ne sono mai stati, i funzionari dicono che non sono mai arrivati. Questo è uno dei punti dolenti del referendum in questione. I promotori assicurano che i moduli sono stati inviati a tutti gli ottomila comuni italiani; alla maggior parte di essi, però, non risulta sia così. L’altra cosa che i promotori denunciano è la censura che la loro iniziativa starebbe subendo ad opera di giornali, televisioni e radio, una specie di complotto che avrebbe lo scopo di farla naufragare. L’unico canale attraverso cui questa iniziativa referendarie si è mossa e diffusa è stato quello di Facebook, insieme ai vari blog che hanno fatto da cassa di risonanza raccogliendo decine di migliaia di adesioni.

Ma cosa prevede questo referendum? Il manifesto ufficiale che lo pubblicizza parla chiaro: “raccolta di firme per tagliare gli stipendi d’oro dei parlamentari”. Nell’eventualità passi, ad essere però tagliati non saranno gli “stipendi d’oro” di deputati e senatori, ma solo la “diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma”, come precisa una nota della stessa Unione Popolare. Si tratta di circa 4000 euro al mese che tutti i parlamentari hanno a prescindere dall’effettivo loro soggiorno nella capitale e che il referendum vorrebbe, appunto, togliere.

Una delle critiche maggiori a Unione Popolare è proprio quella di aver spacciato questo referendum come riferito agli “stipendi d’oro” dei parlamentari quando, in realtà, si tratta dell’abrogazione di una voce aggiuntiva che non intacca per niente la struttura della paga "di oro" degli eletti nazionali. Sembrerebbe una operazione finalizzata più a pubblicizzare l’unico movimento politico promotore del referendum, che seriamente intenzionata a farlo svolgere. L’impressione è quella che i promotori abbiano voluto sfruttare a proprio vantaggio il forte vento dell’antipolitica che spira oggi in Italia, il qualunquismo imperante secondo cui i parlamentari sono tutti corrotti e incapaci, quindi, non meritevoli di essere retribuiti.

C’è poi chi avanza seri dubbi sulla possibilità che questa raccolta di firme possa portare davvero al referendum. La legge che regolamenta l’istituto referendario (352/1970 ) all'articolo 31 dice che “non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime”. La fine della legislatura è prevista a marzo del 2013; siamo a luglio 2012, la raccolta di firme ancora non è conclusa e, i più, dicono che l’anno si calcola dal giorno in cui le firme vengono depositate presso la Cassazione.

Ci sono, dunque, serie perplessità sia sulle reali motivazioni che hanno spinto Unione Popolare a promuovere questa battaglia, sia sulla possibilità che ha la raccolta di firme di portare in porto il referendum. Senza contare il fatto che, eliminata la diaria, il risparmio sarebbe di una quarantina di milioni di euro in un anno, mentre si spenderebbero, in un colpo solo, 300-400 milioni di euro per fare il referendum. Con quel risparmio ci vorrebbero 10 anni per ammortizzare la spesa del referendum, nel frattempo i parlamentari potrebbero reistituire la diaria sotto altre forme.
Insomma, come si diceva prima, le perplessità sono tante.


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