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"EXILED" COMINCIA COSI'

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di Andrea Costanza


L'ex direttore artistico della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ossia Marco Muller, ha più volte paragonato il talento visionario di Johnnie To a quello di Quentin Tarantino. Potrei percepire l'obiezione del lettore un po' disinformato. Il quale, in cuor suo, alla vista del primo dei due individui succitati, potrebbe reagire così: “Toh, Tarantino lo conosco, ed è pure un grande; ma chi è l'altro? Chi diamine è quello lì? To(h) Johnnie?”. Dunque, in questo caso, la parola “To” non funge da interiezione alla pari di “mah”, “boh”, “beh”, ma è, appunto, il cognome più rappresentativo del cinema di Hong Kong. Del tutto sconosciuto ai più. In effetti l'associazione di Muller può avere un senso, anche se i film di Tarantino trattano più scenari da commedia nera. Dunque altra roba rispetto alle affascinanti scene d'azione proprie di Johnnie To. Tuttavia il connubio proposto da Muller non è del tutto sbagliato: tutt'e due paiono ispirarsi all'Italia, in particolare ai nostri memorabili spaghetti western, tipici di cineasti come Sergio Leone, Sergio Corbucci, Lucio Fulci (soprattutto per i momenti di attesa amplificati e condite nel frattempo da musiche eccezionali). Comunque pare che Tarantino sia anche un suo fan. Nel 2005, quando Johnnie To partorì il suo film sulla triade, ossia “Election”, un Tarantino estasiato lo definì il miglior film dell'anno. Quattro anni più tardi, lo stesso autore “pulpabile” rimase favorevolmente impressionato da un altro suo film, presentato al Festival di Cannes; trattasi del noir “Vendicami” (grandiosa la scena del duello notturno in foresta, con luna piena al seguito, corredata da queste pallottole che illuminano come lucciole l'oscurità: spettacolo). Io invece vi parlerò di un altro film, talmente suggestivo e cazzuto da farvi venire la pelle d'oca. Ne sono sicuro. Anzi, sicurissimo.

“Toc toc” - “Chi è?” - “Owoo è in casa?” - “Non c'è nessun Owoo” - “Lo aspetto fuori”.
“Toc toc” - “Chi è?” - “Abita qui Owoo?” - “Non so chi sia”.

“Exiled” comincia così. Quattro uomini della mala si presentano al portone di casa del ricercato, appunto Owoo. Non c'è, non è in casa; ma in compenso trovano sua moglie, prodiga ad accudire il suo figlioletto di pochi mesi. Ma cosa vogliono questi tizi da 'sto Owoo? La prima coppia vuole ucciderlo, l'altra invece ha l'ambizione di proteggerlo dalle angherie di quelli. Il problema è che sono tutt'e cinque amici, per giunta di vecchia data. Sì, le due coppie di gangster sono divise esclusivamente dalla fatalità, in questo caso dettata da logiche gangsteristiche (il mandante dell'operazione è il loro boss, che tutt'e quattro hanno in comune). Ma queste logiche possono sopraffare il valore sacro dell'amicizia? Per gli ominicchi, forse; ma per gli uomini d'onore, no.

Come nel “Mucchio Selvaggio” di Peckinpah in cui i quattro cowboy preferiscono rinunciare all'oro per soccorrere l'amico torturato dai messicani, anche in “Exiled” troviamo dei cavalieri senza padrone, disposti a percorrere un percorso tortuoso ma eticamente giusto: quello della lealtà. Anziché cullarsi sui mediocri allori tipici della viltà e del nichilismo utilitaristico, i quattro decideranno di dare un senso (nobile) alla loro esistenza, battendosi in nome e per conto dell'amicizia. Lo spirito di sacrificio su cui è incarnata l'intera trama viene condito da paesaggi, musiche, virtuosismi dalla natura malinconica, il tutto corredato dalla solite sparatorie stilizzate e barocche “made in To” (avrò rivisto la scena finale miliardi di volte: poesia allo stato puro).

Di sicuro lo spettatore si commuoverà. La storia è ambientata nel 1998, in una Macao cupa e soggiogata dalla malavita, che sta modificando connotati per via del cambio di sovranità (per 442 anni è stata una proprietà portoghese; poi, dal 1999, è ritornata sotto il controllo cinese). I quattro cowboy metropolitani, in “Exiled”, decideranno di fiancheggiarsi a vicenda, mettendosi contro le direttive del loro boss. Saranno guai. L'obiettivo? Aiutare l'amico fraterno Owoo e la sua famiglia (moglie e piccoletto), tediata dall'indigenza economica. Voglio dire; non è il solito action-movie all'occidentale, nel quale troviamo i soliti pupazzi indistruttibili, un po' noiosetti e parecchio grezzoni, che sparano e basta. In “Exiled”, invece, troviamo una storia di ronin, cowboy vecchia maniera e esiliati al contempo, consapevoli del tragico destino che li attende.

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