SABATO SANTO, L’ATTESA DELLA PASQUA E DELLA PASQUETTA
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- Pubblicato Sabato, 07 Aprile 2012 08:53
- Scritto da Rosalba Lasorella
di Rosalba Lasorella
Dopo il memoriale dell’Ultima Cena celebrato il giovedì e dopo il dolore ed il pentimento che accompagnano i riti del venerdì, i cristiani si preparano a gioire della Resurrezione di Cristo attraverso il raccoglimento e la meditazione richiesti dal Sabato Santo.
Fino agli anni Cinquanta del XX secolo -ossia prima della riforma liturgica conciliare-, il sabato era il giorno effettivamente deputato ai festeggiamenti pasquali, non solo per la mattutina funzione religiosa, ma soprattutto per il richiamo simbolico delle campane: finalmente slegate, esse suonavano una prima volta alle undici (le cosiddette cambn a Crist), ricordando alle donne di affrettare i preparativi, e una seconda volta alle 12, ad inneggiare la Gloria.
Per i cittadini di Rutigliano -e non solo-, questo era il momento in assoluto più gioioso: nelle botteghe si legavano con un filo alcune caldaie di ferro alle travi, percuotendole di modo che producessero rumori assordanti; i bambini, per strada, davano libero sfogo alle loro trozzl, piccole ruote di legno che, girando, toccavano una linguetta di compensato e generavano un fastidioso fragore; in chiesa le statue tornavano a respirare, spogliate dei panni sotto cui erano state coperte settimane prima.
Dopo un periodo di “privazioni”, si potevano nuovamente gustare i dolci fatti in casa e a goderne maggiormente erano, chiaramente, i più piccoli: le femminucce esibivano sotto il braccio il piccolo cestino della scarcedd (la scarcella), dolce tipico barese, ornata con rose di pasta e caratterizzata, nella versione più tradizionale, da un uovo sodo posto al centro della ciambella; ai maschietti era riservata la forma del gardiedd (galletto), con tanto di cresta e coda squisitamente commestibili!
Si trattava di una festa vissuta con estrema semplicità, festa che -a seguito della rilettura degli scritti evangelici sancita dal Concilio Vaticano II- è stata rimandata alla domenica, considerando anche che la gran parte delle parrocchie, a partire dalla Chiesa Madre, celebrano la “Veglia Pasquale” il sabato sera tra le ventidue e le ventitre.
E per quanto sia vero che il clima di solenne letizia è rimasto tangibile, è vero anche che qualcosa inevitabilmente si è perso: qualcuno dice che la trepidazione con cui si attendeva il momento di suonare la trozzl o la felicità di trovare sul tavolo la profumata scarcella non torneranno più e non sarà possibile ritrovarle nemmeno nell’uovo dal cioccolato più raffinato. In effetti, la capacità di accontentarsi di poco e di riuscire a vedere in quel poco il tutto appartiene a tempi che non sono i nostri.
Dopo la domenica, si preparava l’ultima occasione di svago prima che la vita tornasse a scorrere con i suoi ritmi ordinari, tra i campi, la casa, la scuola e la strada: era il lunedì dell’Angelo, il lunedì di Pasquetta.
A Rutigliano per molto tempo parlare di Pasquetta è equivalso a parlare di Passa-Pass, un rito che legava allegramente giovani ed anziani e che si svolgeva sullo sfondo della fiorente e caratteristica lama San Giorgio. Qui, oltre alla ricchezza della natura e alla storia sedimentatasi tra le grotte, è ancora possibile ammirare la chiesa rurale dedicata, appunto, a Santa Maria dell’Annunziata. Essa, costruita intorno al XIII-XIV secolo per volontà del Monastero di San Tommaso, sorge sulla sommità di una prominenza, da dove domina la lama circostante, i cui fianchi, ad eccezione di brevi tratti, non sono molto ripidi, mentre il fondo, in gran parte pianeggiante, ha permesso all’uomo, in tempi assai remoti, di insediarsi adattando l’area a fini agricoli.
Si tratta di una zona naturalisticamente e archeologicamente molto ricca, che ha subìto l’incuria del tempo e delle genti, ma che, nonostante questo, ha ispirato artisti e poeti, affascinati dalla magia del paesaggio e dalla potente traccia che la storia ha lasciato.
Così scrive Domenico Giovanni Caso, famoso poeta locale, nella sua raccolta Rutigliano mia terra antica (1980):
L’ANNUNZIATA
Le verdeggianti chiome dai pendii
fin nella valle sottostante
dilagano copiose,
là dove la vegetazione
più generosa ancor si mostra,
e d’ombre nascondono
l’àrido torrente
e anfratti e grotte
d’arcaica memoria
rifugio per le genti
dalla natura, colte impreparate.
Al sommo della china
a custodir dell’Arte primordiale
dell’Annunziata il Santuario
arroccato troneggia maestoso,
sul vasto orizzonte
che all’occhio giunge
con Rutigliano
d’incerta luce illuminata;
e le lontane origini
lègano il destino
del solitario luogo abbandonato
con le fortune
del nuovo Popolo fratello.
Sulle rive del tempo sconosciuto,
la selce immobile
al primitivo splendore torna
quando l’aratro, senza volere,
in luce la riporta
a testimone
di millenaria Storia,
nel luogo che già ieri
di cavalier indòmiti era domìnio
e di villan onèsti:
rifugio di Preghiera.
Per lungo tempo, la conservazione del rito -nato con valenza taumaturgica e trasformatosi, nel secondo dopoguerra, in occasione di rafforzamento dei rapporti sociali- ha permesso di mantenere viva una delle più antiche tradizioni del nostro territorio e, con essa, anche la Chiesa di Santa Maria dell’Annunziata, la quale non è tuttavia sfuggita a furti ed atti di vandalismo.
Nel tentativo di recuperare l’antica costruzione e, con essa, la magia dei nastri colorati attraverso i quali i più giovani usavano scegliere i propri “compari”, da tre anni a questa parte il comitato presieduto dal sig. Valenzano e la Rettoria Madonna del Carmine -alla quale la chiesa appartiene- invitano i cittadini a trascorrere la Pasquetta all’ombra della lama, così da sostenere attivamente i lavori di ristrutturazione che potranno un giorno permettere alla comunità di godere appieno di quel bene a cui sono legati innumerevoli ricordi