GIOVEDI’ SANTO: «VIENI MARIA, ABBIAMO TROVATO IL FIGLIO TUO!»
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- Pubblicato Giovedì, 05 Aprile 2012 10:57
- Scritto da Rosalba Lasorella
di Rosalba Lasorella
Nei tre giorni che precedono la Pasqua sono centrati i momenti più significativi della vita religiosa cristiana, la cui ritualità, a Rutigliano come altrove, ha originato manifestazioni e forme di preghiere meritevoli di approfondimento. Con il Giovedì Santo, la Passione di Cristo assumeva contorni più definiti: venivano legate le campane, le statue rimanevano coperte sotto gli ampi teli disposti in Quaresima e si provvedeva all’allestimento degli altari della reposizione - erroneamente definiti “sepolcri” - a cui si sarebbe fatto visita tra la mattina ed il pomeriggio.
Proprio a questo giorno è legato un rito assai diffuso nella prima metà del secolo scorso, ormai estinto, ma vivido nella memoria di coloro i quali per anni lo hanno seguito: la Chiesa Matrice ospitava i fedeli per la Messa in Coena Domini, memoriale dell’ultima cena, mentre la statua della Madonna Addolorata – già uscita in processione nel venerdì precedente alla Domenica delle Palme - era depositata presso il Palazzo Moccia (sede G.I.L. in epoca fascista), distante dalla chiesa qualche centinaio di metri. Qualcuno dei confratelli (numerose erano, infatti, le confraternite attive in ambito ecclesiastico) controllava costantemente a quale punto della cerimonia il predicatore fosse giunto e la Madonna lentamente avanzava, cosicché nell’istante in cui dal pulpito si udiva “Vieni Maria, abbiamo trovato il figlio tuo!”, le porte della Cattedrale si spalancavano e la Madonna incontrava il Cristo.
Si trattava di un momento di profonda suggestione: le donne, angosciate dal destino dei loro mariti e dei loro figli in guerra, si abbandonavano ad un pianto disperato ed invocavano la Vergine, nella speranza che potesse esaudire, o semplicemente considerare, le loro preghiere.
Il giovedì proseguiva con l’adorazione eucaristica, ossia la visita agli altari riccamente ornati: se adesso si notano decorazioni prevalentemente floreali, all’epoca i fedeli donavano alla chiesa più vicina piatti e casse colme di grano o lenticchie. Queste erano preparate circa quindici giorni prima, chiuse e riposte sotto il letto, dove il calore ne favoriva la germogliazione, in modo che, durante la visita, tutti avrebbero potuto ammirare la lucentezza del grano e la bellezza delle foglie sgargianti.
La tradizione voleva che si visitassero i “sepolcri” in numero dispari: tre (la trinità), cinque (le piaghe di Cristo) o sette (i dolori di Maria) e, soprattutto, che nel tragitto non si sollevasse lo sguardo, neanche per salutare gli amici incontrati per caso.
Tra le memorie del Giovedì Santo compare, se pur in maniera confusa, la processione della Veronica, la statua raffigurante la donna che avrebbe asciugato il volto insanguinato di Gesù mentre saliva il Calvario. Questa girava tra i “sepolcri” nel pomeriggio secondo alcuni, la sera secondo altri, ma presto sarebbe rientrata, con tutte le altre statue, nel corteo dei Misteri.
Oggi un momento decisivo della funzione del giovedì prima di Pasqua è sicuramente quello della lavanda dei piedi, in cui il sacerdote ripete il gesto del Signore di lavare i piedi ai suoi discepoli, ponendosi umilmente al servizio degli uomini. Le comunità delle singole parrocchie sono pienamente coinvolte, grazie anche ai numerosi gruppi che animano e talvolta gestiscono direttamente le attività secondo le disposizioni sacerdotali.