Rutigliano ricorda San Domenico di Guzman
- Dettagli
- Pubblicato Mercoledì, 04 Agosto 2021 13:37
- Scritto da Sac. Pasquale Pirulli
Nell’ottavo centenario della
sua morte (1221- 6 agosto-2021)
Sac. Pasquale Pirulli
Il 6 agosto 1221, quando la Chiesa celebra la Trasfigurazione del Signore Gesù, nel convento di Bologna chiudeva la sua laboriosa giornata nella vigna terrena Fr. Domenico di Guzman, che era nato il 24 giugno 1170 a Calaruega da Felice e Giovanna d’Aza. Papa Francesco ha indetto per l’Ordine domenicano e tutta la Chiesa un anno giubilare per ricordare questa fausta ricorrenza otto volte centenaria.
La presenza dei suoi religiosi, chiamati frati predicatori, a Rutigliano incomincia verso l’anno 1556 quando , secondo un atto notarile, ”in loco de Santo Giovanni Laterano…al confine li muri della chiesa di detto San Giovanni, al presente convento di San Domenico (siamo agli inizi del 600)… confine la via pubblica che si va da Rutigliano in Noia”. La chiesa di San Domenico viene costruita in seguito e nell’anno 1609 viene consacrata nel 1609 dal vescovo di Polignano Giovanni Maria de Guanzellis. Il capitano Francesco Scivarra il 9 agosto 1610, nel suo testamento, vi fonda un monte di maritaggi per fanciulle povere con un primo lascito di ducati seimila e con un secondo di ducati settecento “a conditione che li frati di detto convento abbiano da maritare due figliole di detta terrtra ogni anno”.
Lo stato d’anime dell’anno 1746 ci informa della comunità domenicana di Rutigliano è formata da sei padri, quattro fratelli conversi e un novizio:
1. P. Fr. BENEDETTO STEFANELLI priore 2. P. Fr. TOMASO RUSSO 3. P. Fr. ALBERTO de LAURENTIIS 4. P. Fr. DOMENICO QUATTRORECCHI 5. P. Fr. GIUSEPPE CAPUTI 6. P. Fr. TOMASO TASSELLI 7. Conv. Fr. BENEDETTO POLI 8. Conv. Fr. NICOLO’ MIGLIO 9. Conv. Fr. VINCENZO PATRUNO 10. Conv. Fr. NATALE COLAMUSSI 11. Nov. GIUSEPPE CRISTINO
La chiesa del convento è arricchita verso l’anno 1636 dalla cappella gentilizia della famiglia Gil-Costanzo, dedicata alla Madonna del Rosario e poi dalla cappella di San Vito per la munificenza della famiglia Pappalepore che la sceglie come suo sepolcreto.
Purtroppo le leggi eversive del re di Napoli Gioacchino Murat dell’anno 1809 mettono fine alla presenza dei religiosi domenicani a Rutigliano. Lo stabile conventuale, in applicazione delle leggi Siccardi del 6 aprile 1850 nel regno d’Italia, viene requisito dal comune che vi impianta la sua sede con diverse attività: scuole, carcere, uffici comunali. La chiesa è affidata alla Congregazione del Purgatorio che nel 1865 affronta impegnativi lavori di stucchi. Subito dopo la prima guerra mondiale si costruisce la cappella dedicata a S. Antonio da Padova quale monumento alle vittime della guerra.
Nel 1965 il vescovo Mons. Antonio D’Erchia decreta la fondazione della parrocchia intitolata a San Domenico e l’affida al Sac. D. Franco Renna.
Adesso sarà bene ripercorrer la vicenda di San Domenico che pare non sia molto conosciuta dai fedeli di Rutigliano.
Domenico di Guzman nasce a Calaruega il 24 giugno 1170 e la tradizione fa riferimento al sogno della mamma Giovanna del cane pezzato che porta una fiaccola accesa. Dante Alighieri chiosa il nome dei suoi genitori Felice e Giovanna: “Oh! Padre suo veramente Felice / oh madre sua veramente Giovanna, se, interprretata val come si dice!” (Paradiso, XII, 27-29). Egli è battezzato col nome di Domenico a devozione del santo patrono della vicina abbazia benedettina di Santo Domigo de Silos. Concorre alla sua educazione in seno alla famiglia lo zio paterno D. Gonzalo de Aza e nell’anno 1184 raggiunge la città di Palencia per frequentare i corsi di arte liberale e di teologia. Per venire incontro alle necessità dei poveri nell’anno 1191 vende delle preziose pergamene e giustifica la sua carità con questa espressione: “Come posso studiare su pelli morte, mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”.
Egli entra a far parte dei canonici regolari del capitolo di Osma e all’età di ventiquattro anni viene ordinato presbite dal vescovo Martino di Bazan. Egli rifiuta la tentazione del carrierismo ecclesiastico e si offre come umile collaboratore del nuovo vescovo di Osma Diego de Acevedo. Il re Alfonso VIII di Castiglia nel 1203 affida loro importanti missioni diplomatiche in Danimarca. Il lungo e fatico viaggio li porta a conoscere la situazione religiosa della Francia meridionale, in cui la chiesa è afflitta dall’eresia dei catari (città di Albi), e anche quella dei paesi nordici che non sono ancora evangelizzati. Diego e Domenico si rendono conto dei bisogni della Chiesa: l’azione missionaria verso chi non conosce ancora la luce del Vangelo e l’opera di rievangelizzazione della comunità cristiane.
Il vescovo Diego e il canonico Domenico nel 1206 scendono a Roma e chiedono consiglio al papa Innocenzo III. Il papa “domanda a quest’ultimo di dedicarsi alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico che sosteneva una concezione dualistica della realtà, cioè con due principi creatori ugualmente potenti, il Bene e il Male”. Ecco il quadro di questa pericolosa eresia tracciato dal papa emerito Benedetto XVI durante l’udienza del 3 febbraio 2010: “ Questo gruppo, di conseguenza, disprezzava la materia come proveniente dal principio del male, rifiutando anche il matrimonio, fino a negare l’incarnazione di Cristo, i sacramenti nei quali il Signore ci “tocca” mediante la materia, e la risurrezione dei corpi. Gli Albigesi stimavano la vita povera e austera – in questo senso erano anche esemplari – e criticavano la ricchezza del Clero di quel tempo”. Ecco la risposta generosa di Domenico: “Domenico accettò con entusiasmo questa missione, che realizzò con l’esempio della sua esistenza povera e austera, con la predicazione del Vangelo e con dibattiti pubblici. A questa missione di predicare la Buona Novella egli dedicò il resto della sua vita. I suoi figli avrebbero realizzato anche gli altri sogni di san Domenico: la missione ad gentes, cioè a coloro che ancora non conoscevano Gesù, e la missione a coloro che vivevano nelle città, soprattutto quelle universitarie, dove le nuove tendenze intellettuali erano una sfida per la fede dei colti”.
Giustamente Dante sulla bocca di San Bonaventura mette queste espressioni: “Domenico fu detto; e io ne parlo / sì come de l’agricola che Cristo / elesse all’orto suo per aiutarlo” (Paradiso XII, 70-72). Quello che era stato il “vir canonicus” dedito al silenzio e allo studio e alla riflessione diventa il “vir apostolicus” che percorre le strade della Francia (Fanjeux, Tolosa, Carcassonne, Béziers, ecc.), della Spagna e dell’Italia (Roma, Bologna, ecc.) con entusiasmo e dinamismo a servizio del Vangelo: “In picciol tempo, gran dottor si feo…/ Poi con dottrina e con volere insiem, / con l’officio apostolico si mosse, / quasi torrente ch’alta vena preme” (Paradiso XII, 85, 97-99).
Nel 1212, secondo il racconto fatto dal Beato Alano della Rupe, a Tolosa appare a Domenico la Madonna e gli suggerisce di combattere la sua battaglia apostolica con la recita del Santo Rosario.
Nel 1215 papa Innocenza III approva verbalmente la fondazione del nuovo ordine di religiosi impegnati nella predicazione e consiglia Domenico di attenersi al can. 13 del Concilio Lateranense IV che vietava nuove regole monastiche e ingiungeva di servirsi di quelle già approvate (S. Basilio, S, Agostino, S. Benedetto).
San Domenico e i suoi seguaci scelgono quella di S. Agostino che poi traducono nelle Costituzioni che saranno approvate dal papa Onorio III il 22 dicembre 1216. Così nasce l’Ordine dei Frati predicatori. Una sapiente sintesi di povertà, fraternità e zelo apostolico espressa nel motto: “Contemplari. Contemplata aliis tradere”. Saranno poi i capitoli generali celebrati a Bologna negli anni 1220 e 1221 a stilare la “magna carta” dell’ordine.
Ecco la vita di Domenico e dei suoi compagni: “Andare a predicare spostandosi da un posto all’altro, ma tornando, poi, ai propri conventi, luoghi di studio, preghiera e vita comunitaria. In particolar modo, Domenico volle dare rilievo a due valori ritenuti indispensabili per il successo della missione evangelizzatrice: la vita comunitaria nella povertà e lo studio”.
A proposito della caratteristica definizione di “mendicanti” il papa emerito Benedetto XVI annotava: “Anzitutto, Domenico e i Frati predicatori si presentavano come mendicanti, cioè senza vaste proprietà di terreni da amministrare. Questo elemento li rendeva più disponibili allo studio e alla predicazione itinerante e costitutiva una testimonianza concreta per la gente. Il governo interno dei conventi e delle province domenicane si strutturò sul sistema di capitoli, che eleggevano i propri Superiori, confermati dai Superiori Maggiori; un’organizzazione, quindi, che stimolava la vita fraterna e la responsabilità di tutti i membri della comunità , esigendo forti convinzioni personali. La scelta di questo sistema nasceva proprio dal fattoi che i Domenicani, come predicatori della verità di Dio, dovevano essere coerenti con ciò che annunciavano. La verità studiata e condivisa nella carità con i fratelli è il fondamento più profondo della gioia”.
Ne derivava anche per essi l’impegno a coltivare la “dimensione culturale” della fede: “In secondo luogo, Domenico, con un gesto coraggioso, volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica, e non esitò ad inviarli nelle Università del tempo, anche se non pochi ecclesiastici guardavano con diffidenza queste istituzioni culturali. Le Costituzioni dell’Ordine dei Predicatori danno molta importanza allo studio come preparazione all’apostolato. Domenico volle che i suoi Frati vi si dedicassero senza risparmio, con diligenza e pietà; uno studio fondato sull’anima di ogni sapere teologico, cioè sulla Sacra Scrittura, e rispettoso delle domande poste dalla ragione”.
Il beato Giordano di Sassonia traccia questo quadro dell’apostolo della misericordia di Dio: “Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano”. E quando parlava “egli parlava con Dio o di Dio”.
Purtroppo sulla scorta di un quadro, fatto realizzare dal grande inquisitore Tomàas de Torquemada al pittore Pedro Berruguete “San Domenico presiede un tribunale dell’Inquisizizone”, si è creata la “leggenda nera” che vuole il fondatore dei Frati Predicatori acerrimo persecutore degli eretici. Questo senza pensare che San Domenico muore nel 1221, cioè dodici anni prima che il papa Gregorio IX chiamasse i primi frati domenicani a far parte dei tribunali dell’Inquisizione che imporranno gli scenografici e drammatici Autofafé.
Il 6 agosto 1221 il fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori muore nel convento di Bologna esortando i suoi religiosi “ad avere carità, a custodire l’umiltà e a possedere una volontaria povertà”.
San Domenico è canonizzato il 13 luglio 1234 dal papa Gregorio IX nella cattedrale di Santa Maria Assunta di Rieti e il suo corpo dal 5 giugno 1267 è composto nell’arca marmorea della basilica a lui intitolata nella città di Bologna.
Papa Francesco nella lettera indirizzata al P. Fra’ Gerard Francisco Timoner O.P., Maestro Generale, per l’VIII Centenario della morte di San Domenico, ricorda la fecondità del carisma domenicano a beneficio della proclamazione del Vangelo “verbis et exemplo”: Oltre alle figure storiche dei primi maestri S. Alberto Magno, S. Tommaso d’Aquino che si sono distinti nel campo teologico e filosofico: “Il carisma domenicano della predicazione sfociò ben presto nell’istit5uzione dei diversi rami della grande famiglia Domenicana, abbracciando tutti gli stati di vita nella Chiesa. Nei secoli successivi trovò eloquente espressione negli scritti di santa Caterina da Siena, nei dipinti del beato Fra Angelico e nelle opere caritative di santa Rosa da Lima, del beato Giovanni Macias di santa Margherita da Castello. Così anche ai tempio nostri continua a ispirare il lavoro di artisti, studiosi, insegnanti e comunicatori. In questo anno di anniversario, non possiamo non ricordare quei membri della famiglia Domenicana il cui martirio è stato di per sé una forma potente di predicazione. O gli innumerevoli uomini e donne che, imitando la semplicità e compassione di san Martino de Porres, hanno portato la gioia del Vangelo nelle periferie delle società e del nostro mondo. Penso in particolare alla testimonianza silenziosa offerta dalle molte migliaia di terziari Domenicani e dai membri del Movimento Giovanile Domenicano, che rispecchiano l’importante e di fatto indispensabile ruolo dei laici nell’opera di evangelizzazione”.
Tra i terziari Domenicani vorrei ricordare il beato Bartolo Longo, fondatore del santuario della Madonna del Rosario in Pompei e il servo di Dio Aldo Moro che entrò a far parte dei terziari domenicani quando studiava alla facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari.
Nella stessa lettera papa Francesco esprime gratitudine “per lo straordinario contributo dei Frati Predicatori alla predicazione del Vangelo attraverso l’esplorazione teologica dei misteri della fede”: mandando i primi frati nelle nascenti università in Europa Domenico riconobbe l’importanza vitale di darei ai futuri predicatori una sana e solida formazione teologica basata sulla sacra Scrittura, rispettosa delle domande poste dalla ragione e preparata a impegnarsi in un dialogo disciplinato e rispettoso al sevizio della rivelazione di Dio in Cristo. L’apostolato intellettuale dell’Ordine, le sue numerose scuole e istituti di studi superiori, il suo coltivare le scienze sacre e la sua presenza nel mondo della cultura hanno stimolato l’incontro tra fede e ragione, nutrito la vitalità della fede cristiana e promosso la missione della Chiesa di attirare menti e cuori a Cristo”. Ricordando la sua visita a Bologna il 1° ottobre 2017 il papa Francesco confida: “Ho avuto la benedizione di trascorrere alcuni momenti in preghiera davanti alla tomba di san Domenico. Ho pregato in modo speciale per l’Ordine dei Predicatori, implorando per i suoi membri la grazia della perseveranza nella fedeltà al loro carisma fondazionale e alla splendida tradizione della quale sono eredi. Ringraziando il Santo per tutto il bene che i suoi figli e le sue figlie compiono nella Chiesa, ho chiesto, come dono particolare, un considerevole aumento di vocazioni sacerdotali e religiose”.
Alla fine esprimiamo l’augurio la ricorrenza dell’ VIII Centenario della morte di San Domenico Guzman di Calaruega sia per i nostri fedeli occasione propizia di riscoperta del suo carisma di santità e voglia segnare la ripresa di una devozione, che è gratitudine verso tutto il bene che nel passato i suoi figli hanno fatto al nostro paese di Rutigliano.