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Senza manifestazioni, ma con il ricordo di chi ha vissuto la guerra e la Liberazione

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25-aprile-2020


di Tino Sorino

Un 25 aprile senza la banda, senza il corteo, senza le Autorità, ma con la fortuna ancora di avere le voci di chi visse in prima persona la gioia della liberazione e della fine della Seconda Guerra Mondiale. Tanto più preziose e rare in un periodo in cui il Coronavirus ha mietuto e continua a mietere vittime all’interno di quella generazione che ha combattuto per fare dell’Italia un Paese libero, democratico ed economicamente in grado di competere in Europa e nel mondo.

Fino allo scorso anno, il Maestro figulo Vito Lasorella, classe 1921, 99 anni, il 25 aprile, giorno della Liberazione, sfilava con le Autorità, unico rappresentante degli ex combattenti rutiglianesi. Oggi, rispettando come tutti le norme anti -virus e in fervente attesa di riprendere le sue piccole passeggiate nel paese, può solo raccontare, a nome di tutti i suoi concittadini, ancora in armi, sul fronte o nei campi di concentramento, la gioia di quel giorno e la fatica del ritorno a casa. “Ho impiegato alcuni mesi per rientrare nel mio paese dal Nord – Italia, senza una lira in tasca, sotto le intemperie e arrangiandomi in ogni modo, spinto dall’amore per la famiglia e dalla voglia di riprendere a lavorare al mio amato tornio, Al mio rientro, la bottega ha dato lavoro anche a tanti”, così racconta Vito.

Il prof. Nicola De Filippis, novantasette anni, una vita nella Scuola Media di Rutigliano ad insegnare storia e ad educare ai valori, mentre ricorda anch’egli il suo faticoso ritorno a casa, a piedi, in 14 giorni, da Kosice, in Slovacchia, può solo immaginare la gioia delle donne, degli anziani e dei bambini che non vedevano l’ora di riabbracciare i loro cari, ma che dovettero attendere un bel po' per farlo. Narduccio Carbonara, classe 1927, 93 anni portati splendidamente, con una memoria che non conosce cedimenti, era, invece, in paese  e ricorda quello che successe.

“Le campane della chiesa Madre di Rutigliano suonarono a festa per annunciare la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista. La gente usciva dalle case e si riversava nelle strade gridando “La guerra è finita, finalmente” e, io, che allora avevo 18 anni e aspettavo la cartolina di chiamata alle armi, non fui più in me nella pelle e partecipai ancor più alla festa. Ho vissuto in quei tempi ormai lontani i giorni della lenta ricostruzione, con la riapertura di qualche nuova bottega di generi alimentari, in tutto una decina dislocati nelle diverse zone del paese. Una ripresa graduale con pochi giovani che avevano, però, tanta voglia di ripartire, tanti indigenti che ottenevano pasti caldi e vestiti presso il “Monte dei poveri” e agricoltori che non avevano mai sofferto la fame a contatto con la terra, coltivando grano, legumi e verdure”.

Don Peppino De Filippis rievoca, invece, l’atmosfera della gioia vissuta anche in seminario a Trani e la sua nostalgia per non essere a Rutigliano il giorno in cui nella chiesetta della Madonna delle Grazie si celebrava la Santa Messa, si benedicevano le campagne e si mangiavano le lattughe e le primizie di primavera. Periodi di antichi riti del risveglio della natura benedetti dalla cristianità. A raccontare la festa del paese, ci pensa Peppino Lozupone, artista dell’intonaco e della pietra che allora bambino di 6 anni, tenuto per mano dal fratello e dalla sorella più grandi, partecipò ai festeggiamenti.

“Un lungo corteo attraversò tutte le vie di Rutigliano, fino ad arrivare al vecchio Municipio di via Tarantini, mentre le bandiere sventolavano sui balconi e la gente per strada ballava e batteva le mani”. Oggi, dopo 75 anni, serpeggia ancora tanta voglia di libertà tra gli italiani che, dopo le restrizioni imposte dalla pandemia, non vedono l’ora di riprendere la vita nelle loro mani per ricostruire un Paese di nuovo in ginocchio, a causa di un nemico invisibile che minaccia di portarsi via gli ultimi testimoni del 1945.  

 

 

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