I quattro sogni per la Chiesa di Amazzonia!
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- Pubblicato Lunedì, 24 Febbraio 2020 12:15
- Scritto da Sac. Pasquale Pirulli
Sac. Pasquale Pirulli
Il 26 ottobre 1919 si concludeva il Sinodo Speciale per la Regione Panamazzonica il quale consegnava al papa Francesco il suo Documento finale. Nel testo venivano evidenziate le problematiche della regione: missione, inculturazione, ecologia integrale, difesa dei popoli indigeni, rito amazzonico, ruolo della donna e nuovi ministeri. Da parte dei mass media e dei social l’attenzione era rivolta alla ipotesi di ordinare presbiteri i viri probati (diaconi permanenti) per rispondere al bisogno delle comunità in cui era difficile l’accesso dei fedeli all’Eucaristia.
Nell’attesa dell’esortazione apostolica di papa Francesco, dopo la conclusione del sinodo panamazzonico, ha conquistato gli onori della cronaca la pubblicazione del volume «Dal profondo del nostro cuore» che raccoglie gli scritti del papa emerito Benedetto XVI e del card. Robert Sarah sul celibato dei sacerdoti. La operazione editoriale è parsa a molti una indebita «invasione di campo» quasi il tentativo di bloccare qualsiasi apertura del papa in questo delicato settore della vita della Chiesa. In Italia il volume nella traduzione di Davide Riserbato e a cura di Nicolas Diat, è stato edito da Edizioni Cantagalli S. r. l. di Siena.
Finalmente il 2 febbraio 2020 papa Francesco ha firmato la esortazione apostolica “Querida Amazonia” indirizzata “al popolo di Dio e a tute le persone di buona volontà”. Il testo, articolato in 111 numeri, dopo una breve introduzione (nn. 1-7), scandisce in quattro capitoli le “risonanze” dei lavori del Sinodo Panamazzonico che è stato “un percorso di dialogo e di discernimento”. Il papa nella sua esortazione “desidera solo offrire una breve quadro di riflessione che incarni nella realtà amazzonica una sintesi di alcune grandi preoccupazioni” e si augura che “possa aiutare o orientare verso un’armoniosa, creativa e fruttuosa ricezione dell’interno cammino sinodale” (2). Papa Francesco intende anche presentare ufficialmente il Documento conclusivo del sinodo, cui dedica grande attenzione e invita tutti “a leggerlo integralmente” (3). A questo proposito i commenti si sono soffermati sul rapporto tra i due documenti (Documento finale del sinodo ed Esortazione apostolica) nell’intento di valutare lo spessore o l’autorità magisteriale dei due testi. L’esortazione apostolica, pur trattando della problematica della regione panamazzonica che assurge al ruolo di “mistero sacro”, è rivolta a tutto il mondo perché i temi suggeriti “non si possono dimenticare e possono ispirare altre regioni della terra di fronte alla loro proprie sfide”. (5) Egli avverte che la Chiesa «in uscita» deve «incarnarsi» in ciascun luogo del mondo con la sua predicazione, con la sua spiritualità e con le sue strutture. (6) Già nella introduzione il testo scandice i quattro sogni per una Chiesa dal volto amazzonico:
“Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa.
Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana.
Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste.
Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici”. (7)
Il primo capitolo (nn. 8-27) delinea “un sogno sociale” e si tratta di passare da un approccio ecologico a un responsabile “approccio sociale” e non manca la riprovazione per le drammatiche sofferenze inflitte alla regione in nome di una falsa “mistica amazzonica” che favorisce gli interessi dei colonizzatori, genera l’urbanesimo che è diseguaglianza, xenofobia, sfruttamento sessuale e traffico di persone. Si tratta di “devastazione ambientale e le minacce alla dignità umana delle sue popolazioni” (Benedetto XVI). Papa Francesco denuncia i danni della colonizzazione e invita ad indignarsi e a chiedere perdono e auspica che ci sia “la sfida di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione”. Si tratta di recuperare il “senso comunitario” che vuol dire fraternità, e dinanzi alle istituzioni degradate (23-27) si impone il dialogo sociale tra i diversi popoli con la scelta preferenziale della difesa dei poveri, degli emarginati, e degli esclusi.
Il secondo capitolo (nn. 28-40) si sofferma sul “sogno culturale” nell’intento di promuovere una opera educativa: coltivare senza sradicare; far crescere senza indebolire l’identità; promuovere senza invadere. Si tratta di valorizzare la originaria identità culturale che si radica in universo multi-culturale, che ha una stretta relazione degli abitanti con l’ambiente naturale che acqua dio fiumi e vita delle foreste. Bisogna custodire le radici e valorizzare le tradizioni raccontate dagli anziani. Riconoscere le ricchezze della cultura degli indigeni e anche i suoi limiti e impegnarsi nel dialogo interculturale che diventa arricchimento reciproco. Purtroppo le culture ancestrali dell’Amazzonia sono minacciate perché non solo l’ambiente ma anche gli stessi popoli indigeni sono a rischio.
Il terzo capitolo (nn. 41-60) recupera le suggestioni dell’Enciclica “Laudato si’” e descrive “Un sogno ecologico”. Per Francesco non si può fare ecologia senza prendersi cura delle persone le quali, specialmente in Amazzonia hanno una vita strettamente legato all’ambiente perché si tratta di un “sogno fatto di acqua” (43-46) L’acqua del grande fiume Rio delle Amazzoni è cantata dai poeti e si ricorda Pablo Neruda:
«Rio delle Amazzoni
capitale delle sillabe dell’acqua,
padre patriarca, sei
l’eternità segreta
delle fecondazioni.
a te scendono fiumi come uccelli».
(“Amazonas”, in Canto Generale (1938), I, IV)
Nella poesia c’è il grido dell’Amazzonia che vuole liberarsi dal paradigma tecnologico di sfruttamento che intende “trasformare la pala in fucile, l’aratro in carro armato, in cui il seminatore con il suo lanciafiamme coltiva deserti”, Bisogna salvaguardare la foresta dell’Amazzonia che è vitale per tutta la terra insieme al bioma del Congo e del Borneo. Si denunziano l’impatto ambientale delle industrie estrattive, energetiche e il progressivo inquinamento delle acque. Nella difesa dell’ecosistema amazzonico ci deve essere coordinamento tra organismi internazionali e governi nazionali.
Si tratta per il papa di promuovere la “profezia della contemplazione” e la Chiesa all’Amazzonia offre: la sua lunga esperienza spirituale, la sua rinnovata consapevolezza circa il valore del creato, la sua preoccupazione per la giustizia, la sua scelta per gli ultimi, la sua tradizione educativa e la sua storia di incarnazione nelle culture più diverse. (60)
Il quarto capitolo (61-110) traccia le linee pastorali per realizzare nella regione dell’Amazzonia “un sogno ecclesiale” che diventa paradigmatico per tutta la Chiesa, perché l’Amazzonia si configura come «luogo teologico». Si tratta di un rinnovato impegno missionario che “deve sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico, deve crescere in una cultura dell’incontro verso una «pluriforme armonia». Si tratta del processo di «incarnazione della Chiesa e del Vangelo» nella realtà ecologica, sociale e culturale dell’Amazzonia. L’annuncio indispensabile del kerigma ai poveri e ai dimenticati perché non si tratta di portare un “messaggio sociale” ma il Vangelo che è proprio della Chiesa che altrimenti corre il rischio di presentarsi come una ONG. Si insiste sul processo di inculturazione che si articola nel “portare alla luce del Vangelo quando di buono è presente nelle culture amazzoniche. Nell’annuncio del kerigma bisogna seguire lo sviluppo della Tradizione che insegna che la Chiesa ha un volto pluriforme e che “è la radice di un albero che cresce”. Papa Francesco è sulla linea di Giovanni Paolo II che insisteva sul rispetto e l’autonomia delle culture e richiamando la esortazione “Evangelii gaudium”, insiste sulla dinamica della fecondazione della cultura attraverso l’annuncio del Vangelo e sulla capacità della Chiesa di arricchirsi con l’apporto delle culture dei popoli cui rivolge la parola di Cristo. Si tratta per la Chiesa di superare la tentazione di ancorarsi a un solo modello culturale e così spegnere la luce dello Spirito: “E’ vero che «benché questi processi siano sempre lenti, a volte la paura ci paralizza troppo» e finiamo per essere «spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa». Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo Spirito Santo!” (69) Il Documento propone alcune vie di inculturazione che fanno attenzione alle persone anziane che sono depositarie di cultura, al “buon vivere” che è anche sobrietà in contrasto con il consumismo e l’isolamento urbano, al senso religioso del creato in cui si inserisce positivamente la presenza di Gesù Cristo. Papa Francesco insiste sulle due caratteristiche della inculturazione del Vangelo nel contesto amazzonico che deve essere nello stesso tempo sociale e spirituale. Si delineano così i punti di partenza di una «santità amazzonica». Papa Francesco scrive: «Così potranno nascere testimonianze di santità con volto amazzonico, che non siano copie di modelli di altri luoghi, santità fatta di incontro e dedizione, di contemplazione e di servizio, di solitudine accogliente e di vita comune, di gioiosa sobrietà e di lotta per la giustizia. A questa santità si arriva “ciascuno a suo modo”, e ciò vale anche per i popoli, dove la grazia si incarna e brilla con tratti distintivi: Immaginiamo una santità dai lineamenti amazzonici, chiamata a interpellare la Chiesa universale» (77). Si cita il positivo processo di inculturazione avvenuto in Perù. Un graduale processo di inculturazione del Vangelo richiede anche la ricezione di simboli e miti indigeni: «E’ possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano: Alcune feste religiose contengono un significato sacro e sono spazi di riunione e di fraternità, sebbene si richieda un lento processo di purificazione e maturazione». E’ lo stile missionario di una «chiesa in uscita»: «Un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazione religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di risponder a partire da una spiritualità inculturata» (79). Non una spiritualità evanescente e acida, ma «una spiritualità centrata sull’unico Dio e Signore, ma al contempo capace di entrare in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa, che vogliono godere le belle realtà dell’esistenza, trovare la pace e l’armonia, risolvere le crisi familiari, curare le loro malattie, vedere i loro bambini crescere felici» (80) .
Paragrafi importanti sono quello dedicati all’inculturazione della liturgia (nn. 81-84) e della ministerialità (nn. 85-90). Nel primo ambito, quello liturgico, si propone di recuperare un’autentica celebrazione dei sacramenti che “non dovrebbero essere intesi come una separazione dal creato” ma quali «un compimento del creato, in cui la natura è elevata per essere luogo e strumento della grazia, per “abbracciare il mondo su un piano diverso”(81). Per quanto si riferisce alla celebrazione dell’Eucaristia in cui “Dio al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia”, si suggerisce di “raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli» . Purtroppo, lamenta papa Francesco, il dettato del Concilio Vaticano II che auspicava una inculturazione della liturgia, in cinquanta anni non ha fatto grandi passi.(82) Particolare attenzione si deve fare alla Domenica in cui «la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa» e a riscoprire «una dimensione ricettiva e gratuita per “accogliere la luce della Parola e dell’Eucaristia”. I sacramenti nella Chiesa devono essere accessibili a tutti e non devono essere negati per motivi di denaro perché la Chiesa non è una dogana “quella Madre che è chiamata a portare (ai poveri) la misericordia di Dio» (84).
Nel secondo ambito, quello della ministerialità, il papa si dice convinto che questo processo esige dalla Chiesa in Amazzpnia, una «risposta specifica e coraggiosa». (85) Qui si affronta uno dei temi cruciali prospettati nel Sinodo, cioè quello della ipotesi di ordinare sacerdoti i viri probati. Il papa non stravolge la tradizione ma invita a una riflessione sul ministero dei sacerdoti. Ha presente “il lamento di tante comunità dell’Amazzonia «private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi di tempo» e avverte anche il bisogno di «ministri che possano comprendere dall’interno la sensibilità e le culture amazzoniche» (86) Si tratta di determinare «ciò che è più specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato». Si impone una prima conclusione: «La risposta consiste nel sacramento dell’Ordine sacro, che lo configura a Cristo sacerdote. E la prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell’Ordine abilita solo lui a presiedere l’Eucaristia». Viene chiarito il significato di un sacerdozio «gerarchico» e dell’espressione “sacerdote segno di Cristo capo” (87) perché il sacerdote «ha il potere di comunicare la grazia a tutte le membra della Chiesa» attraverso i sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione. (88) Ed ecco il punto cruciale della esortazione in cui si offre una risposta al problema dei viri probati e del celibato richiesto dal sacerdozio nella Chiesa cattolica. Vengono riconosciuti ai laici il ministero di annunciare la Parola e di celebrare alcuni Sacramenti (es. Battesimo, Matrimonio) e i molteplici doni dello Spirito, ma nello stesso tempo si afferma che essi hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia perché essa «fa la Chiesa» e la comunità cristiana ritrova in essa la «propria radice e il proprio cardine». Più che ai viri probati da ammettere al sacerdozio papa Francesco suggerisce per la Chiesa dell’Amazzonia una pastorale vocazionale più dinamica: «mi porta ad esortare tutti i vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia. Nello stesso tempo è opportuno rivedere a fondo le strutture e il contenuto della formazione iniziale sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamento e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche» (90).
Per costruire “comunità piene di vita” (nn 91-98) si richiede una multiforme comunione ecclesiale, che non è un’unità impoverita, ma apertura ai doni e ai carismi dello Spirito. Le comunità cristiane devono vedere all’opera sacerdoti, diaconi permanenti, religiose e laici. A contrastare forme tradizionali di larvato clericalismo papa Francesco auspica che ci siano più “ministeri laicali”, che esprimano maturazione biblica, dottrinale, spirituale e pratica e realizzino «vari percorsi di formazione permanente» e si attivi «un incisivo protagonismo dei laici. (94) Al loro fianco deve continuare l’apporto della vita consacrata che deve avviare un processo di inculturazione (95), delle comunità di base e si incoraggia l’attività della REPAM che incrementa una “pastorale d’insieme differenziata nelle rispettive priorità” (97). Le comunità cristiane devono affrontare con coraggio il problema della mobilità perché “la transumanza amazzonica non è stata ben compresa né sufficientemente analizzata dal punto di vista pastorale» e impone alle comunità urbane una generosa e intelligente accoglienza. (98)
Il documento di papa Francesca riserva attenzione «alla forza e al dono delle donne», nei confronti delle quali qualche voce aveva prospettato l’apertura con la loro ammissione al diaconato. Non si può ridurre la Chiesa a “strutture funzionali” e non si deve respingere la tentazione di clericalizzarle. Le donne, sull’esempio di Maria, devono esprimere liberamente, con il soffio dello Spirito, nuove forme di servizio e ai vescovi spetta la responsabilità di riconoscere pubblicamente questi nuovi servizi femminili.
Si tratta di “ampliare orizzonti al di là dei conflitti” (nn. 104-105) e di affrontare anche le sfide di una “convivenza ecumenica e interreligiosa” (nn. 106-110). Nell’interesse dei poveri dell’Amazzonia papa Francesco invita tutti a lottare insieme, a pregare insieme e lavorare insieme. (110)
Nella conclusione dello storico documento papa Francesco “dopo aver condiviso alcuni sogni, esorta tutti a procedere s vie concrete che permettano di trasformare la realtà dell’Amazzonia a di liberarla dai mali che la affliggono” e segnala il valore della via mariana per raggiungere Cristo che è molto cara agli indigeni. Proprio la preghiera finale a Maria riassume la riflessione di papa Francesco sulla complessa problematica della Chiesa amazzonica che diventa una sfida e un paradigma per la Chiesa universale.
«Madre della vita,
nel tuo seno materno si è formato Gesù,
che è il Signore di tutto quanto esiste.
Risorto, Lui ti ha trasformato con la sua luce
E ti ha fatto regina di tutto il creato.
Per questo ti chiediamo, o Maria,
di regnare nel cuore palpitante dell’Amazzonia.
Mostrati come madre di tutte le creature,
nella bellezza dei fiori, dei fiumi,
del grande fiume che l’attraversa
e di tutto ciò che freme nelle sue foreste.
Proteggi col tuo affetto questa esplosione di bellezza.
Chiedi a Gesù che effonda tutto il suo amore
Sugli uomini e sulle donne che vi abitano,
perché sappiano ammirarla e custodirla.
Fa’ che il tuo Figlio nasca nei loro cuori,
perché risplenda nell’Amazzonia,
nei suoi popoli e nelle sue culture,
con la luce della sua Parola, coil conforto del suo amore,
col suo messaggio di fraternità e di giustizia.
Che in ogni Eucaristia
si elevi anche tanta meraviglia
per la gloria del Padre.
Madre, guarda i poveri dell’Amazzonia,
perché la loro casa viene distrutta
per interessi meschini.
Quanto dolore quanta miseria,
quanto abbandono e quanta prepotenza
in questa terra benedetta,
traboccante di vita!
Tocca la sensibilità dei potenti
Perché, se anche sentiamo che è già tardi,
tu c chiami a salvare
ciò che ancora vive.
Madre dal cuore trafitto,
che soffri nei tuoi figli oltraggiati
e nella natura ferita,
regna tu in Amazzonia
insieme al tuo Figlio.
Regna perché nessuno più si senta padrone
dell’opera di Dio,
In te confidiamo, Madre della vita,
non abbandonarci
in quest’ora oscura. Amen!» (111)
Un parola sulla ricezione di questo storico documento. Il P. Antonio Spadaro s.j. sulla rivista «La Civiltà Cattolica» ha raccolto in tre parole il messaggio dell’esortazione “Querida Amazonia”: Splendore, dramma, mistero e ha descritto l’atteggiamento di papa Francesco impegnato nell’ascolto e nel discernimento: è decisivo l’ascolto di chi i problemi li vive per esperienza personale, quale è quella dei vescovi della regione panamazzonica. P. Spadaro si sofferma con piacere a sottolineare “la contemplazione e «logos poetico»” che innervano il testo. Lo sguardo contemplativo si avverte nella poesia e papa Francesco cita ben 16 scrittori e poeti di cultura amazzonica: Ana Varela, Jorge Vega Màrquez, Alberto Araujo,Ramòn Iribertegui, Pabl.o Neruda, Vinicius de Moraes, Pedro Casaldaliga, ecc. perché l’Amazzonia è diventata fonte di ispirazione artistica, letteraria, musicale, culturale». (n. 35) Decisa la denunzia della poetessa peruviana Ana Varela: «Molti sono gli alberi dove abitò la tortura e vasti i boschi comprati tra nelle uccisioni” (n. 9) Dopo aver analizzato i diversi paragrafi dell’esortazione P. Antonio Spadaro sintetizza il messaggio amazzonico per la Chiesa universale in questi termini: “Anche per questo la regione amazzonica ha un messaggio che ‘ispira’ la Chiesa universale, come viene affermato nell’Esortazione sin dall’inizio. E il Sinodo speciale, se ha acceso l’attenzione su un’area “scartata” del Pianeta e sulla comunità ecclesiale che lì vive, ha pure acceso una luce sulla Chiesa intera, mostrando le ricchezze e ponendo le sfide che provengono dalla “cara Amazzonia”. In Amazzonia la Chiesa fa esperienza di un popolo che chiaramente non coincide con uno Stato nazionale, e che anzi è un insieme di popoli, perseguitati e minacciati da tante forme di violenza. Sono popoli portatori di un’enorme ricchezza di lingue, culture, riti e tradizioni ancestrali… Adesso l’Esortazione apostolica accompagna e guida la ricezione di quelle conclusioni (cf “Documento finale>> del Sinodo) perché esse arricchiscano, sfidino e ispirino non solamente la Chiesa in Amazzonia ma la Chiesa universale (n. 13)”».
Mons. Mauricio Lòpez, segretario Repam, ha dichiarato: <<Preti sposati, tema distraente; l’esortazione è una speranza per la nostra terra: raggiunti gli obiettivi del Sinodo, l’Amazzonia diventa luogo teologico>>. Mons. Erwin Kräutler, prelato emerito di Xingu e informatore molto ascoltato di papa Francesco sulla realtà della regione amazzonica (cf. Laudato si’) commenta esprimendo approvazione sui sogni sociale, culturale ed ecologico, ma anche la sua perplessità circa il sogno ecclesiale: «Non possiamo mettere la questione del celibato in cima alla celebrazione dell’Eucaristia!... ma “c’è la speranza perché i vescovi, me compreso, votarono al Sinodo a favore dei viri probati». Egli dice che, a suo parere, manca anche il protagonismo delle donne.
In fin dei conti l’Esortazione apostolica si inserisce nel cammino sinodale che è sempre ascolto, confronto e dialogo per una collaborazione pastorale, rispettando la responsabilità universale di chi è titolare del servizio petrino e la responsabilità dei pastori delle chiese locali in comunione con il successore dell’apostolo Pietro.