Lettera di Natale
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- Pubblicato Domenica, 22 Dicembre 2019 14:14
- Scritto da La Redazione
Sac. Pasquale Pirulli
Ultimamente sui social è stata postata un insolita rappresentazione del presepio che possiamo intitolare «Il riposo di Maria»: mentre la vergine madre, dopo la fatica del parto, si riposa su un giaciglio Giuseppe tra le sue braccia coccola il bambino Gesù! L’insolita rappresentazione ha suscitato qualche perplessità nei tradizionalisti nostalgici ma è molto piaciuta a papa Francesco che proprio al presepio «inventato» da San Francesco di Assisi a Greccio nella notte di Natale del 1223 ha dedicato la sua lettera apostolica «Admirabile signum», nella quale definisce il presepio “quinto vangelo” e invita tutti i cristiani a recuperare e diffondere in tutti i contesti sociali questa singolare e splendida testimonianza di fede.
È questo l’incipit della lettera di Natale, diretta a tutti gli amici di rutiglianoonline, nella quale ripercorro la vicenda di Giuseppe, falegname di Nazareth, che si ritrova coinvolto nel grande evento dell’Incarnazione.
Beh!, sono sicuro che Giuseppe prima di tutto era un uomo giovane non solo amato da Maria di Nazareth ma anche “uomo giusto” che gode della fiducia di Dio che lo chiama ad una missione singolare quale è quella di essere il padre del suo Verbo che prende la nostra carne nel seno di Maria per opera e la potenza dello Spirito Santo.
In attesa della celebrazione pubblica del suo matrimonio egli si confronta con il mistero dell’incarnazione che è il capolavoro di amore e di grazia di Dio. Ha qualche perplessità sulla maternità della sua sposa derivante dalla sua concreta umanità ma è aiutato dall’angelo che gli rivela il procedere di Dio non solo nella scelta della sua promessa sposa Maria quale madre del suo Figlio ma anche nella sua vocazione alla paternità. Nella fede verso Dio e nell’amore verso la sua sposa egli accetta la difficile missione di fondare e proteggere la realtà sociale della famiglia di Nazareth.
Per assolvere al dovere politico del censimento, indetto dall’imperatore di Roma Cesare Ottaviano Augusto, affronta il trasferimento lungo 155 km da Nazareth a Betlemme e si preoccupa che la nascita del Bambino avvenga nel silenzio e nella discrezione della grotta che poi sarà illuminata dalla luce degli angeli e dal loro canto (Lc 2,1-5). Accoglie la sorpresa della visita dei pastori, uomini semplici e laboriosi (Lc 2, 8-20), e si allieta del racconto secondo il quale essi si sono mossi perché richiamati dall’angelo che ha dato loro l’annunzio della nascita del Salvatore con il segno che il bambino «giace in una mangiatoia».
Giustamente egli si preoccupa della decenza e della sicurezza del bambino trasferendosi nella «casa» in cui verranno i magi a rendere omaggio al figlio Gesù (Mt 2, 11). Giuseppe intanto ha provveduto, quale capo di famiglia, non solo a far circoncidere dopo otto giorni il bambino (Lc 2, 21) ma anche a presentarlo, dopo quaranta giorni, al tempio di Gerusalemme. Insieme alla sua sposa Maria ha ascoltato le parole profetiche del vecchio Simeone e le congratulazioni dell’anziana Anna (Lc 2,22-38). Drammatica la fuga della famiglia di Giuseppe verso l’Egitto per sventare il progetto omicida del re Erode che pur di salvare il suo trono, minacciato dal nato re di Israele, fa strage dei bambini innocenti di Betlemme e dei dintorni (Mt 2, 13-18). La fuga in Egitto non è stata una vacanza ma una esperienza dura di emigranti e di lavoro incerto. Alla notizia della morte di Erode egli fa ritorno in Palestina e rientra nella sua casa di Nazareth dove riprende la sua attività di carpentiere (Mt 2, 19-23).
Egli con vigile responsabilità educa al lavoro il piccolo Gesù che cresce in età sapienza e grazia (Lc 2, 40). Singolare ancora è la vicenda del pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme per celebrare la Pasqua durante il quale il dodicenne è smarrito dai genitori e poi ritrovato dopo tre giorni di ansiose ricerche. Commovente il rimprovero di Maria al suo figlio che rivendica una sua scelta autonoma per “occuparsi delle cose del Padre”: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco tuo padre ed io angosciati ti cercavamo!» (Lc 2, 41-50). Poi su Giuseppe e la sua quotidiana vita di lavoro e di famiglia scende il silenzio, che magari sarà squarciato dai racconti dei vangeli apocrifi.
Sì, è vero che la solennità natalizia celebra gli inizi della vita di Colui che Verbo di Dio prende carne nel seno della vergine Maria. Quindi è giusto contemplare con gli occhi semplici di San Francesco l’umiltà e la povertà della grotta di Betlemme. Uno sguardo di devozione e di umanità si rivolge anche alla giovane madre che contempla il suo Bambino che è prima di tutto il Figlio di Dio. Tuttavia dobbiamo rivolgere la nostra preghiera anche a Giuseppe, chiamato da Dio alla missione di essere interprete della paternità di Dio, di educatore del suo Figlio fatto uomo e di essere nella sua generosa e umile laboriosità “uomo giusto”, modello agli uomini di silenzio, di lavoro, di ‘paternità’ per la famiglia che è, nel disegno di Dio, culla della vita, e scuola di socialità e palestra di santità.