Inagurazione XIV Anno Accademico della LUTE “Lia Damato”
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- Pubblicato Mercoledì, 27 Novembre 2019 16:52
- Scritto da Teresa Gallone
Il patrimonio culturale immateriale: la lingua e le tradizioni
di Teresa Gallone
Università della Terza Età come «porto di approdo e di partenze», luogo di rimesse in discussione e di condivisione, custode di un patrimonio culturale preziosissimo. Con queste premesse si dà avvio al XIV Anno Accademico della LUTE “Lia Damato”, martedì 26 novembre scorso presso l’aula magna della scuola “G. Settanni”.
Tema della serata di inaugurazione «Il patrimonio culturale e immateriale: la lingua e le tradizioni», in linea con il macrotema suggerito dalla Federuni (Federazione delle Università Italiane della Terza Età) «Comunità e Territorio». A far parte dell’equipaggio di questo porto di condivisioni e promesse di avventura Marisa Damato, presidente della LUTE “Lia Damato”, Gianni Capotorto, giornalista, storico e vice presidente della LUTE e colei che scrive questo articolo, docente di Discipline Classiche della LUTE. Accompagnano Giovanna Fralonardo, Presidente Nazionale Federuni, il sindaco Giuseppe Valenzano e Maria Melpignano, dirigente dell’Istituto Comprensivo “Settanni-Manzoni”.
Concordi i relatori nel sottolineare l’importanza del lavoro di squadra, del volontariato e del suo ruolo nella comunità, del prezioso ruolo delle Università della Terza Età nel preservare, condividere e diffondere ad ampio raggio la cultura in tutte le sue sfaccettature.
Il tema portante del neo inaugurato Anno Accademico è il Mediterraneo, culla di popoli e nostro particolarissimo habitat in cui le nostre radici affondano e si confondono, aggrovigliandosi in tempi remoti e dando vita a una cultura, a un modus vivendi che è unico e incomparabile. Da questo fertile humus comune un frutto è stato colto e preso in considerazione nella serata inaugurale: il patrimonio immateriale, volatile seppur tanto presente nella cultura locale.
È Gianni Capotorto a svelare al pubblico che Rutigliano fa parte delle 38 località protette dall’UNESCO, una delle due che si trovano in Puglia. A ciò si aggiunge che nel 2007 l’UNESCO e l’UNPLI (Unione Nazionale Proloco d’Italia) hanno cominciato una ricerca capillare di tradizioni, riti e usanze da prendere sotto tutela. Si tratta di patrimonio immateriale, spesso ben più sentito e radicato di quello materiale, vissuto a tutto tondo dalle comunità da tempo immemorabile, da conservare, insegnare e tramandare nelle generazioni che ci sono e che verranno.
Fra i tesori immateriali del nostro paese possiamo contare la Fiera del Fischietto in Terracotta, la Festa del SS. Crocifisso, la Festa del Grano Buono, la Sagra dell’Uva, gli Altarini di Ferragosto e San Rocco, il Passa Pass, la Via Crucis Vivente e il Gran Concerto Bandistico “Città di Rutigliano”.
Altro inestimabile tesoro immateriale della nostra cultura è la nostra lingua. Strumento e arma, dato per scontato dall’alba dei tempi, la lingua che parliamo è contenitore della ricchissima cultura in cui siamo cresciuti. Nata nell’unica grande famiglia dell’indoeuropeo, cresciuta dal greco antico e dal latino suoi fratelli maggiori, l’italiano è cosa grande e nel suo seno contiene un arabesco troppo spesso in ombra, il dialetto. Mio compito è stato quello di togliere il terriccio dalle radici del nostro dialetto, troppo spesso bistrattato e poco indagato, mostrare la sua diretta parentela con le lingue classiche e la sua fratellanza con le lingue romanze. Moltissimo di quello che diciamo in dialetto, saluti, oggetti, concetti è imbevuto di Atene, Roma, della lontana cultura araba, dei Galli, degli Iberi, del non considerato Portogallo.
Molto più dell’italiano, frutto di evoluzioni ancora in corso, il dialetto conserva intatta e inalterata la sua potenza icastica, concreta e mutuata dai fratelli maggiori ed è per questo che, secondo il grande linguista Tullio De Mauro, va studiata come prima lingua materna, base di partenza per la nostra “seconda” lingua, l’italiano.
In conclusione il dialetto ha parlato con la sua propria voce, dimostrando la sua enorme filiazione con il latino. Ho voluto che la forza dell’amore cantata da Catullo nel carme V del suo Liber fosse espressa nella dolcezza musicale dell’italiano e nella straodinaria potenza plastica del dialetto, cercando di tradurre il carme V in dialetto rutiglianese, sigillo conclusivo della serata.
Lesbiuccia mej, vvim e resteim innamorat
e nan seim pnzann a i chiacchir d’i vicchj
ch’ nan valn na leir.
I dì’ potn scì e vnì, nu na vold c’a frneim d cambè, m’a dorm nu sunn etern.
Damm mill vəs, po’ cénd vəs, po’ jaldr’e mill, po’ arroit jaldr cénd.
Aqquann frneim, n’m’a sté citt pccé nsciun c’va chiamdé brutt a sapé ch’ i vəs so stat assé.
Foto di Gianluca Giugno