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“Divella” ospita gli operatori del diritto per parlare di flessibilità

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Il nuovo lavoro nelle società della crisi: lo “smart working”

di Michele Pesce

Doveva servire ad approfondire una tematica troppo spesso ignorata o, nella migliore delle ipotesi, trattata in maniera molto superficiale, e così è stato.
Sabato scorso, alle 9:30, Rutigliano ha ospitato un interessantissimo incontro di studi dal titolo “Il nuovo lavoro nelle società della crisi: lo smart working”, un approfondimento sulla questione legata al cd. “lavoro agile”, ossia una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato slegata da precisi vincoli di orario e di luogo, e che, nelle intenzioni del legislatore (L. 81/2017), doveva rappresentare una combinazione tra flessibilità, autonomia e collaborazione, in modo da garantire ambienti di lavoro funzionali ai lavoratori, nell’ottica sia di una ottimizzazione degli strumenti e delle tecnologie messe a disposizione degli stessi, nonché di una quanto mai auspicata (soprattutto oggi) conciliazione vita-lavoro.lavoro-nuove-tutele-1

Promotore del Convegno, il Comitato Scientifico “Centro Studi del Diritto dei Lavori”, guidato dal Prof. Avv. Gaetano Veneto, docente di Diritto del Lavoro alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, coadiuvato dall’avv. Marilù Misto, membro della Commissione Lavoro dell’Ordine degli Avvocati di Bari, e dall’avv. rutiglianese Maria Teresa Divittorio, componente della medesima Commissione forense nonché già membro attivo all’interno del Comitato Pari Opportunità del Comune di Rutigliano, alle quali va riconosciuto il merito non solo per la significativa scelta della location, ma anche per aver risvegliato un barlume di interesse culturale all’interno di un tessuto sociale che, nell’ultimo periodo, è sembrato essere piuttosto sopito.

Per l’appunto, quale sede più adatta per parlare di lavoro e flessibilità se non il cuore operativo di una delle più importanti e longeve aziende operanti sul nostro territorio, la “F. Divella Spa” guidata da ormai 40 anni dall’omonimo amministratore delegato Dott. Francesco, per l’occasione eccellente padrone di casa: «Oggi ho aperto con piacere a voi le porte del nostro salone, qui dove nel 1890 mio nonno costruì il primo mulino. Da anni portiamo avanti il nostro lavoro con la stessa passione e dedizione, ma con un occhio sempre attento a queste nuove forme di lavoro, studiate per favorire lo sviluppo e la crescita dell’occupazione. E proprio in ottica smart working, qualcosa da noi si sta già facendo».

Innovazione sì, ma anche razionalizzazione, e non solo nel settore privato, come ricordato dal Prof. Romito, rappresentante dei dirigenti scolastici, per il quale quello dello smart working, potrebbe rivelarsi uno strumento utile non solo per arginare la carenza di personale (il cd. “mismatch”), in un settore, quello dell’Istruzione, per il lavoro-nuove-tutele-0quale da quasi vent’anni tutte le leggi finanziarie prevedono tagli ai fondi, ma anche per assicurare il diritto alla “disconnessione”, e cioè il diritto delle persone ad avere anche una vita che non sia esclusivamente quella legata al lavoro. Dello stesso avviso, il Prof. Roncone, Presidente Provinciale dei Presidi: «Si tratta di una questione sia di natura etico-antropologica - lavoriamo per vivere, non il contrario -, sia legata alla produttività: le persone costrette a lavorare male - spiega Roncone -  producono poco. Garantire un ambiente lavorativo flessibile e smart, invece, non può che tradursi in positive ricadute in termini di Pil».

Presente all’evento anche il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari, Giovanni Stefanì: «La nostra società nel corso degli anni è mutata, e ciò ha determinato nuove condizioni anche nell’offerta di lavoro. Il cambiamento, però, va affrontato sempre nel rispetto dei diritti del lavoratore, adottando tutte le misure che possono agevolare il suo compito e che siano in grado di metterlo nelle condizioni migliori per esercitare quello che è un diritto, ma anche un dovere: lavorare significa anche dare il proprio contributo alla società e al bene comune. In questo senso, ad esempio, ben vengano misure a sostegno della genitorialità, proprio come lo smart working».lavoro-nuove-tutele-2

Ospite d’eccezione, il Prof De Marinis, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro: «Lo smart working non deve essere visto come una forma atipica di lavoro, bensì come una modalità specifica e peculiare del rapporto di lavoro subordinato tradizionale. Dare la possibilità di svolgere la prestazione da remoto, grazie all’utilizzo di strumenti informatici e senza specifici vincoli di spazio e di tempo, ci consente di iniziare a capire come sarà il lavoro nel futuro, con l’obiettivo dichiarato, da un lato, di aumentare i livelli di produzione, e, dall’altro, di dar modo a tutti di conciliare i tempi di vita con i tempi di lavoro».
Un rapporto di lavoro in un certo senso meno “inquadrato” se vogliamo, ma all’interno del quale non vengono meno del tutto i caratteri della eterodirezione e della subordinazione: «L’innovazione sta proprio nel dare al lavoratore la scelta della sede di lavoro, alla quale l’azienda in senso fisico è sì alternativa, ma anche in parte complementare - ha sottolineato De Marinis -; in più, non ci sono vincoli di orario, se non quello previsto per la prestazione lavorativa da eseguire. In questo modo, non solo il lavoratore è maggiormente responsabilizzato, ma cresce anche il senso di fiducia nel datore di lavoro».

Oltre al risvolto giuridico e pratico, non meno importante, nell’analisi dell’istituto, è il risvolto di natura fiscale: «Lo smart working, nel mettere al centro la figura del lavoratore, prevede misure fiscali decisamente più vantaggiose per quest’ultimo, piuttosto che per il datore di lavoro» – spiega il dottor Ligrani, Consigliere delegato Area Fiscale ODCEC di Bari - «Mentre per il prestatore d’opera vi è una defiscalizzazione completa di tutta la materia imponibile, l’imprenditore beneficia di uno sgravio fiscale davvero irrisorio, specie quando il piano è di natura volontaria. Il credito d’imposta, in questo senso, potrebbe rappresentare una valida soluzione al problema».lavoro-nuove-tutele-3

Pragmatico, ma non meno significativo, l’intervento di una delle organizzatrici, l’avv. Misto: «Non si può prescindere dal diritto alla disconnessione» - ha ammonito, rifacendosi alla regola benedettina “ora et labora”, l’antico motto che sta lì a ricordarci come perfino le comunità religiose medievali ritenessero fondamentale l’equilibrio tra il tempo dedicato al lavoro e quello da dedicare alla propria spiritualità – «Non possiamo essere perennemente “collegati”. Ricordiamoci che prima che lavoratori, siamo cittadini, e che senza il cittadino, non c’è lavoro, bensì una forma socialmente accettata di schiavitù. La politica da attuare deve essere strutturale, non pro o contro una delle due parti in causa: se l’azienda sta bene, sta bene anche il lavoratore e viceversa. In questo senso, il lavoro agile apporta dei significativi miglioramenti, ad esempio riducendo l’assenteismo ed il lavoro straordinario».

Critico, invece, il Prof. Avv. Tommaso Germano, già docente di Diritto e Previdenza Sociale alla facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo barese, nonché vice direttore della rivista scientifica “Il diritto dei lavori”: «Già in tempi non sospetti, avevo espresso perplessità in merito ad alcuni aspetti della norma, uno su tutti la metaforica “morte” del sindacato; ma la contrattazione collettiva, inizialmente estromessa in luogo di quella tra datore di lavoro e lavoratore con riferimento alla definizione di orari e luoghi di lavoro, ha finito inevitabilmente per riprendersi i propri spazi, bypassando gli stessi accordi individuali e facendo fare a tutti un pericoloso passo indietro».
Lacunosa, secondo Germano, è anche la delimitazione, all’interno della disciplina, della cd. “doppia fase”: «Mentre è in azienda, intento ad esempio ad occuparsi della formazione di altri lavoratori “agili”, il lavoratore mantiene contestualmente gli obblighi relativi all’espletamento della prestazione di lavoro da eseguire da remoto? La risposta parrebbe pacifica, eppure, nella pratica, vi è già stata una controversia a tal proposito, e il lavoratore è stato sanzionato».lavoro-nuove-tutele-5

Chi invece ritiene l’istituto poco confacente al nostro mercato del lavoro, o per lo meno ad alcuni suoi settori, è il dott. Giuseppe De Santis, già vicepresidente del gruppo Natuzzi, attualmente Presidente della Sezione Legno-Arredamento di Confindustria Basilicata: «È impensabile che artigiani chiamati ad operare manualmente in fabbrica da domani possano rimanere a lavorare da casa. Credo che lo smart working vada inteso in una accezione più ampia, e cioè nel senso di mettere gli stessi lavoratori in condizioni più favorevoli, con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro e, di conseguenza, la qualità del prodotto finito. Questo, ad esempio, si può fare attraverso l’uso della tecnologia intelligente in azienda».

Un “treno”, quindi, che secondo De Santis l’Italia non solo ancora non può, ma forse addirittura non deve permettersi di prendere: «Va bene abbracciare il cambiamento, ma non dobbiamo dimenticarci che il dovere di noi imprenditori è quello di partire da ciò che serve al nostro territorio. Noi ancora oggi, per certi versi grazie a Dio, esprimiamo una capacità manifatturiera che ci consente di continuare a mantenere un certo tipo di occupazione, quindi è un po’ complicato immaginare che questa nuova modalità di lavoro possa rivelarsi un’occasione per i nostri giovani. Non siamo industria 4.0: se negli Stati Uniti il 37% delle attività impiegatizie sono portate avanti da casa, significa che stiamo parlando di un altro mondo. Questa sorta di “cambiale storica” di ritardo ce l’abbiamo e, per certi versi, ci auguriamo di continuarla ad avere. In questo momento, non abbiamo alternative».

I lavori si sono quindi conclusi - tra la soddisfazione generale - con la consegna ai relatori, da parte delle organizzatrici, del classico fischietto in terracotta, simbolo della nostra città e di un artigianato locale che tuttora sta lì a ricordarci non soltanto da dove veniamo, ma soprattutto cosa dobbiamo sempre portare con noi nel viaggio verso il futuro e verso il cambiamento. Ad Maiora.



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