Dell’odonomastica del Centro Storico di Rutigliano
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- Pubblicato Sabato, 28 Marzo 2020 01:37
- Scritto da Vito Castiglione Minischetti
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Dell’odonomastica del Centro Storico di Rutigliano1
di Vito Castiglione Minischetti
L’importante bibliografia su Rutigliano prodotta soprattutto in questo XXI secolo e la recente possibilità di consultazione dei documenti dell’Archivio Storico Comunale non ci permettono più di restare in silenzio di fronte a uno degli aspetti, non secondario, del centro storico: quello dei nomi delle vie, vicoli e piazze.
Come è noto, l’odonimo è il nome che viene assegnato a una via, a una piazza, a un vicolo, a un largo o simili e l’odonomastica è l’insieme delle strade e il loro studio storico-scientifico; la toponomastica, invece, è lo studio storico-linguistico dei nomi dei luoghi geografici.
Pertanto, per definire le «aree di circolazione» del centro storico e della città in generale, chi scrive preferisce parlare di odonomastica sia per quanto concerne il profilo linguistico-culturale e storico-ambientale, sia per la ricostituzione di tutte le fasi dello sviluppo urbano del borgo antico dall’odonomastica arcaica e spontanea a quella ufficiale.
Il Codice napoleonico del 1804 ha avuto un impatto enorme nel campo dell’organizzazione amministrativa. Da questo momento infatti le città si dotano di un’odonomastica ufficiale e viene decisa ed attuata l’apposizione delle targhe. Successivamente, il giovane Stato unitario (1861), sotto la spinta del cambiamento, promuove una riforma dell’odonomastica di tutto il Paese in modo da renderla uniforme. Si cominciano così ad abbandonare, per i centri, le vecchie denominazioni urbanistiche generiche di borgo, contrada, strada, motta2, terraggio, ecc.; a Rutigliano, questo cambiamento è stato messo in atto a cominciare dai registri di Stato civile nel gennaio del 1875.
Storicamente gli odonimi ci attestano la trasformazione della società legata alle vicende sociali, culturali e politiche della città. Per questo, mi sembra importante che i nomi da onorare nel centro storico, se non altro, debbano aver avuto un legame con la città e aver contribuito al suo sviluppo sociale e culturale. Se Rutigliano è quello che è, lo deve certamente alle tradizioni e alle storie che sono raccontate dai nomi delle sue strade e più particolarmente dai nomi del suo borgo antico. Essi costituiscono una sorta di Pantheon all’aria aperta; sono il modo più immediato in cui la città ricorda il suo passato; sono quelle strade, quelle piazze, quei vicoli che hanno visto transitare la storia del paese. Ogni qualvolta percorriamo le strade della nostra città, quasi sempre però presi dal pensiero della famiglia, del lavoro o altri impegni quotidiani, osserviamo solo distrattamente i nomi incisi sulle targhe. Ma è vero anche che non è raro d’imbattersi in nomi di vie da doversi domandare perchè mai hanno assunto quel nome? L’ex Sindaco di Rutigliano, Lanfranco Di Gioia, affermava: «Troppo spesso infatti ci troviamo a nominare, indicare, percorrere strade, vie, viali o piazze senza sapere quale personaggio più o meno importante si celi dietro il loro nome. Né in ciò veniamo aiutati dalla descrizione toponomastica riportata nelle targhe. Vi sono infatti moltissimi esempi di targhe di strade riportanti solo il cognome della persona a cui sono intitolate, senza alcuna altra indicazione, lasciando alla fantasia di chi legge di capire se trattasi di un uomo politico, un letterato, un amministratore o altro3». Questo è particolarmente vero per il centro storico! Insomma, siamo indotti a ricordare la nota pagina dei Promessi Sposi in cui don Abbondio si chiede perplesso: «Carneade! Chi era costui?».
Quante volte ci siamo chiesti cosa significano gli odonimi come vico Arco Parlante, via Folinara, via Passatutti, via Ponte Latrone, via Scesciola, che pure sono stati rispolverati dalla recente letteratura storica locale. Ci sono poi le targhe che riportano il solo cognome, come prima evidenziato, di antiche famiglie rutiglianesi per le quali abbiamo difficoltà a dare una collocazione temporale: via Cirulli, via De Bellis, via Del Vecchio, via Mazzoni, via Pantoscia, via Severini, via Zaccaria; potrei aggiungere, in questa categoria, i sopraccitati vico Arco Parlante e via Passatutti, che hanno sempre suscitato e suscitano la fantasia dei passanti per quel non so che di romantico e di ironico allo stesso tempo, e poi, c’è via Varese, la cui targa non è stata certamente affissa per ricordarci la città lombarda! Ecco, a volte la strada ha un nome, ma sembra non avere senso.
Se proviamo a classificare l’insieme dei 38 odonimi presenti intra moenia, osserviamo che la tipologia dei nomi delle vie derivanti dai luoghi e monumenti è la più numerosa. Ciò è dovuto al fatto che in assenza di una denominazione ufficiale, per secoli ci si riferì alla via secondo il nome del luogo particolare e dei monumenti presenti nel centro storico della città: Cortile Castello, via Dietro la Chiesa, via Ponte Latrone (detta anticamente anche "strada di Ponte Ladrone"), via Porta Castello, via Porta di Bari, via Porta Nuova, via Porticella, via Sotto il Campanile, via Sotto il Castello, via dei Tribunali (già "strada Criminale"); seguita da quella intitolata alle famiglie nobili: via De Bellis (già "via Antonelli"), via Del Vecchio, via Pantoscia, via Ascanio Sanfelice, via Severini (detta "strada delli Severini"); alle famiglie notabili: via Cirulli (detta "strada Li Cirulli"), via Mazzoni (detta "strada Li Mazzoni"), vico Arco Parlante, via Passatutti, via Zaccaria; abbiamo poi quella intitolata ai personaggi illustri (alcuni anche nobili) di Rutigliano: piazza Giovanni Colamussi, via Martino Dalena, via Michele Troiano (già "strada dell’Inchiancata"4); quella riferita ai santi e ai luoghi religiosi: via Le Monache (detta "strada Sotto le Monache"), via Purgatorio (detta "strada del Purgatorio vecchio"), via San Giuseppe (già "strada delli Asini"5), Largo San Vincenzo; quella delle vie dedicate a personaggi illustri appartenenti alla storia politica e culturale italiana: piazza Cesare Battisti (già "piazza dei Cereali"), vico I Cairoli, via Imbriani, via Guglielmo Marconi (già "strada delli Forni vecchi"), piazza Umberto I (detta "la Piazza"), via Varese; le vie riferite ad attività scomparse: via Folinara e via Fornaci; due vie “ecologiche”: via Le Rose (così chiamata per le rose che vi crescevano?), via Scesciola, e, last, not but least: via Roma: l’arteria principale «moderna» del cuore della città.
Il mio proposito non è quello di descrivere ciascuno degli odonimi, ma di illustrare quelli che a mio avviso richiedono una maggiore attenzione dal punto di vista storico-linguistico.
Come avete potuto osservare, ho espressamente inserito via Varese nella categoria delle vie dedicate a personaggi di livello nazionale e culturale; e siccome sono convinto che nessun nome di via fu dato a caso dai nostri amministratori, mi sono sempre chiesto perché mai avessero scelto tale denominazione e per di più destinata al centro storico.
Fra le varie ipotesi sin qui evocate, si poteva pensare, visto che ci siamo, anche al compositore francese, Edgar Varèse, nato a Parigi da padre piemontese, ma anche questa ipotesi non sembra pertinente con il contesto storico-culturale e sociale della nostra cittadina. Alcuni anni fa, ritornando a visitare il centro storico di Martina Franca, fui immediatamente colpito da una targa con il solo cognome di ‘Machiavelli’ scritto con due ‘c’, e non avevo dubbi sul fatto che si trattasse del «Segretario fiorentino» dato che le vie adiacenti sono anch’esse dedicate a scrittori italiani. L’errore della targa di Martina Franca mi ha indotto a pensare che l’odonimo via Varese contenesse anch’egli un refuso e che dovesse invece essere scritto con due ‘r’, cioè VARRESE! Ma allora? La storia di Rutigliano e delle sue origini, come sappiamo, è da sempre legata anche e soprattutto alle scoperte archeologiche che si sono susseguite ed a quelle della nostra Regione. Allora si può immediatamente pensare al famoso ceramografo «Pittore di Varrese» o «Pittore Varrese» (IV sec. a.C.), decoratore di vasi portati alla luce negli scavi di Rutigliano (e di Ruvo), oppure, ad una delle più importanti scoperte archeologiche della Puglia: il famoso Ipogeo «Varrese» di Canosa, dal cognome del proprietario del terreno (Sabino Varrese) su cui sarebbe stato scoperto nel 1912. Ma sembrerebbe evidente, per la nostra città, che gli amministratori volessero piuttosto ricordare l’artista apulo che ha certamente lavorato anche nelle botteghe del territorio di Rutigliano.
Quanto a vico Arco Parlante, non c’è alcun dubbio, come è stato detto, che il vico in questione concerni il cognome dell’antica famiglia presente in Rutigliano sin dalla seconda metà del XVI secolo, estintasi agli inizi del XX secolo. Una Angelella Parlante, nel 1592, aveva fondato un beneficio legato alla cappella di S. Caterina, nella Chiesa Madre. Il Cardassi, quanto a lui, riferisce di un Vito Donato Parlante, fra i trentasette cittadini di Rutigliano che parteciparono alla rifondazione della Confraternita di S. Rocco (1745). Si conosce anche un notaio, Vitantonio Parlante, in attività nella prima metà del XIX secolo. Non sappiamo con certezza se la scelta dell’odonimo sia dovuta alla presenza di una ‘casa Parlante’ nella strada, ma mi piace l’idea di un felice ed ingegnoso accostamento del sostantivo arco con il cognome/participio presente, nella consapevolezza che mediante l’arco si possono riprodurre le modulazioni della voce ed ottenere il cosiddetto «arco parlante».
Anche la via Passatutti, nonostante la sua democratica espressione, continua ancora ad incuriosirci. Dalle recenti ricerche, viene fatta l’ipotesi di un «magister Nicolao Passatucti» del XV secolo, che avrebbe abitato una casa del luogo6. È noto che in determinate circostanze s’intitolavano le strade con il nome del proprietario del terreno o delle famiglie o personaggi più in vista che abitavano nelle zone.
Fra le vie dedicate alle famiglie notabili vorrei ricordare la via Zaccaria, il cui odonimo va precisato, nel caso specifico non è un cognome ma un nome! Si tratterebbe in effetti del notaio rutiglianese, il cui nome completo è: Zaccaria De Cannetis7, «Giudice ai Contratti», presente in Rutigliano fin dalla seconda metà del XV secolo. Lo stesso Cardassi fa menzione nella sua opera di un «notar Zaccaria» iscritto alla Congrega di Sant’Andrea (ora Santa Chiara), nell’anno 1510.
Ad un’altra importante famiglia rutiglianese di adozione del XV secolo fu intitolata la via Severini, detta in passato «strada delli Severini». Numerosi furono gli ecclesiastici fra il XVII e il XVIII secolo. Ma vorrei illustrare soprattutto, grazie ad un rogito del notaio Johannes Capitorto de Rutigliano, del 1535, uno dei capostipiti della famiglia, Dionisio Severino, che fu dapprima «Ordinato», cioè «Consigliere» (1509) e poi «sindaco generale» dell’università8 di Rutigliano (1535)9. Il Cardassi lo evoca presente in un «Parlamento [dell’università] fatto dentro il Castello» nel 1509, e nel 1510, in un altro «Parlamento [...] dentro la chiesa di S. Andrea [...]». Inoltre, concernente i Severini, vorrei cogliere l’occasione per mettere in evidenza uno dei non pochi abbagli del nostro storico locale per eccellenza, Lorenzo Cardassi (senza il quale, sia chiaro, la nostra storia locale sarebbe ancora agli albori della ricerca!). Il Cardassi ci riferisce di un Marco Aurelio Severino nato a Rutigliano il 7 gennaio 1636, «filosofo e medico», menzionato da Pietro Giannone «al libro 38° della sua Storia del Regno di Napoli», delle cui opere Lionardo Nicodemo fece una bibliografia e del quale un busto marmoreo fu eretto al Cotugno nella Regia Università di Napoli. Detto ciò, appare evidente che se Rutigliano avesse effettivamente dato i natali ad un illustre personaggio di tale levatura, senza voler far torto all’intelligenza dei nostri antichi amministratori, sono convinto che oggi, la più importante delle sue piazze porterebbe il nome di questo scienziato della medicina moderna. Ma, ahimè, il famoso personaggio presente nell’opera del Giannone è invece nato, mezzo secolo prima, a Tarsia (in Calabria) nel 1580, ed è morto a Napoli nel 1656.
Per quanto concerne poi via De Bellis (già via Antonelli) potrebbe trattarsi della stessa via scomparsa detta «strada del Primicerio De Bellis», presente nei registri anagrafici napoleonici e che potrebbe essere riferita o al «reverendo don Nicolao Vito de Bellis primicerio» (1592), citato nell’ADC per una causa civile del 1618, o a Vito Antonio de Bellis, primicerio (1643).
Ci sono poi, le vie appartenenti alla primitiva odonomastica, sulle quali vige ancora il dubbio e l’enigma quanto alla loro origine, e che pongono un vero problema di comprensione: via Folinara, via Scesciola e via Ponte Latrone, tutte già presenti nei registri anagrafici napoleonici (1809).
La via Folinara, detta anticamente «strada della Folinara», è l’odonimo che desta grande curiosità linguistica quanto al suo significato che sembra si sia ormai perduto. Il lemma è infatti assolutamente introvabile in tutta la lessicografia italiana, introvabile nei dizionari etimologici della lingua latina e greca, per quel che concerne l’etimo. La sola ed unica presenza del termine la si può vedere nei Capitoli di una Bagliva della città di Ruvo del 1563, ma il suo significato rimane oscuro!10. La parola «folinara» potrebbe derivare dalla corruzione di un antico nome latino medievale riconducibile ad una attività scomparsa oppure, come ipotesi ricavata da detta Bagliva, a un tipo di suddivisione agrimensurale.
Pe la via Scesciola invece, si legge da più parti che il vocabolo ci rammenta la presenza araba nelle nostre contrade (l’odonimo si trova largamente diffuso nei borghi antichi di numerose città della Terra di Bari: Barletta11, Bitonto, Casamassima, Ceglie del Campo, Minervino Murge, Putignano, Ruvo di Puglia e Sannicandro di Bari) e che deriverebbe dall’arabo antico con il significato di «labirinto», per l’intersecazione di stradine e vicoli12 oppure, a causa del caseggiato molto denso di abitazioni. Ma alcuni specialisti della lingua araba consultati sostengono che né la parola né la fonetica abbiano a che vedere con la lingua araba13. Per cui, mi sembra, come in questo caso, che lo studio dell’odonimia spontanea e popolare può esserci di un qualche aiuto se ci ostiniamo a considerare che un odonimo può essere il risultato di errori di trascrizione, di forme corrotte, di forme ipocoristiche o di espressioni dialettali. Possiamo, quindi, dal momento che si è perso anche per questo odonimo il significato originario, emettere un’ipotesi sostenuta, anche sulla base del documento di Barletta (v. nota 11), che la parola «scesciola» non sia altro che il nome popolare dato al frutto «giuggiola»14. Quale sia stata un tempo l’importanza economica e sociale, in Terra di Bari, di questa coltivazione famigliare molto diffusa soprattutto nel Salento è tutta da verificare.
Infine, la via Ponte Latrone sul cui significato si sono fatte, sin qui, diverse ipotesi. Il toponimo che «significa semplicemente Ponte dei Briganti, intendendosi il medievale latro-latronis come bandito, malfattore» trova identiche denominazioni e significato di altri ponti situati in Campania, nel Lazio e in Puglia (un Pontelatrone è attestato nel 1476 nei pressi di Bisceglie). Di questi, il più conosciuto è il ponte romano sul Vulture, costruito intorno al 448 a.C., dal Console Tiberio Minucio, nei pressi del comune di Capriati a Volturno (Caserta), al confine con il Molise. Il ponte era conosciuto, già dall’XI secolo, come ponte latrone ovvero ladrone, a causa dei continui assalti ai viandanti che venivano derubati, a volte uccisi e gettati nel fiume15. L’opera faceva parte della costruzione dell’antica Via Minucia che Traiano poi risistemerà come percorso alternativo alla via Appia per coloro che da Roma volevano raggiungere il porto di Brindisi. La «mulattiera» via Minucia Traiana, come è noto, passava per Azetium (Rutigliano) per poi raggiungere la costa nei pressi di Egnazia e proseguire fino a Brindisi. Essa è ricordata da Strabone, ed il percorso fu rappresentato nella famosa Tabula Peutingeriana con la forma corrotta di Ehetium per Azetium.
Certamente la presenza di un ponte o di un passaggio che doveva servire a scavalcare il fossato che esisteva lungo le mura, da una parte, e la posizione periferica del luogo dall’altra, devono aver favorito l’accesso di briganti nella presumibile strettoia tra il borgo e la no man’s land fuori le mura. È questa la ragione la più attendibile, a mio avviso, che deve aver spinto i nostri antichi amministratori a voler marcare il luogo con questo toponimo.
Nella nomenclatura viaria del nostro borgo antico, che via via perde significato e dentro cui ci aggiriamo senza averne piena coscienza, vorrei limitarmi a parlare (ma ce ne sono altri) del caso della piazza Umberto I che già in passato, da parte dell’amministrazione comunale, subì un tentativo di riattribuzione. Nel 1900, «La Piazza» del paese, fino ad allora anonima, venne intitolata a Umberto I, il re appena scomparso, diventando quindi ufficialmente «piazza Umberto I». Il referendum del 2 giugno 1946 poi, sancì l’inizio della Repubblica e la fine della monarchia, per cui i membri dell’ex-casa reale, il 13 giugno 1946, furono obbligati all’esilio. Un anno dopo, il [5?] settembre 1947, il Consilio comunale si riuniva per decidere della «denominazione di una piazza del Comune in "Piazza della Repubblica"» e, dopo acceso dibattito, il Consiglio comunale deliberava «di intitolare "Piazza della Repubblica" quella attualmente denominata "Piazza Umberto I"». Il 30 settembre dello stesso anno, il Prefetto di Bari rispondeva alla Delibera del Comune con un laconico «Si restituisce senza provvedimento»! E’ noto che il governo centrale della nascente Repubblica, prevendendo una cancellazione generale dei nomi dei Savoia dalle toponomastiche cittadine, dette disposizioni ai Prefetti di non accordare tali richieste al fine di evitare di dare l’impressione ai reali d’Italia che il loro esilio non fosse definitivo, come fu effettivamente detto al re Umberto II. Circa cinquant’anni dopo, Rutigliano inaugurava, extra moenia, il viale della Repubblica. Aggiungo, a questo riguardo, che la «Piazza» per antonomasia, avrebbe potuto denominarsi, per esempio, «Piazza del Plebiscito» dal momento che la storica consultazione per l’annessione al Regno d’Italia, a Rutigliano, si svolse nella prospiciente Chiesa Madre, il 21 ottobre 1860.
Infine vorrei attirare l’attenzione su alcune lacune che a mio avviso andrebbero colmate se veramente si vuole rendere giusto onore al nostro passato.
Paradossalmente, c’è da rilevare la grande dimenticanza che da secoli reclama giustizia, l’assenza dalle vie o piazze del borgo antico di uno dei personaggi più importanti della storia di Rutigliano: Ugo figlio di Asgot ovvero «UGO IL NORMANNO» (1098-1108) che, come tutti sanno, oltre ad essere stato castelli Rutiliani dominator, è all’origine della riedificazione e trasformazione della originaria chiesa madre ed il cui simbolo del casato è diventato poi, lo stemma della Città. Della stessa importanza, non va dimenticato un’altro personaggio: Rodelgrimo figlio di Dabgy (forma corrotta di Dagby), fondatore della primitiva chiesa madre dedicata ai Santi Pietro e Paolo e destinatario, per la nostra Chiesa, del privilegio papale Nullius Dioecesis (1059).
Penso anche, fra le possibili intitolazioni sui muri della città nel suo complesso, che si potrebbero ricordare attraverso le targhe i nomi dei villaggi medievali scomparsi del territorio rutiglianese, le cui popolazioni, in parte, andarono a costituire il primo nucleo urbano di Rutigliano, come Bigetti, Cabiano, Manerba, Timine... Parimenti, si potrebbe ricordare, tra gli altri: il più antico cenobio di Rutigliano, il «Monastero di S. Tommaso» (1123-1233/66); l’evento storico del sacco inflitto dagli Ungheresi (1348); la presenza in Rutigliano del famoso Giureconsulto, Sempronio Ascia (1543-1623?)16 , autore dell’opera Interpretationes verborum permutationis Caroli II. Initae, cum rever. capitulo sancti Nicolaj de Baro, super verbo jurisdictionis, et exilii, Napoli 1600, in cui tratta, tra l’altro, della giurisdizione pretesa dal Capitolo di S. Nicola di Bari sul feudo di Rutigliano.
In conclusione, lo studio della toponomastica come dell’odonomastica sono sicuramente materie interessanti per gli studiosi locali che vi troveranno una fonte di informazioni e di aneddoti. Sarà perciò necessario individuare i nomi con cui i rutiglianesi delle generazioni passate erano soliti «ribattezzare» i luoghi di casa, in modo da soddisfare quelle esigenze di conoscenza e di identificazione con il proprio territorio.
La «Commissione toponomastica» del Comune potrebbe occuparsi di una sorta di restyling dell’odonomastica del centro storico e nello stesso tempo fare il punto sulle assenze. La stessa Associazione PORTANUOVA, incline ad operazioni di valorizzazione del borgo antico, si batte da anni per il rinnovo delle fredde e grigie 'lapidette' con un modello di targa esteticamente più consono al centro storico. Si permetterebbe così una migliore leggibilità, grazie anche ad una breve descrizione con le date e possibilmente la professione del personaggio a cui è riferita la via, soprattutto nel caso di personaggi locali.
Non si tratta di voler proporre una revisione generale dell’odonomastica del centro storico, anche se è vero che alcuni odonimi potrebbero essere ragionevolmente rivisti tenendo nondimeno in conto l’eventuale disagio per i residenti e le possibili complicazioni per l’Amministrazione. Bisogna ugualmente considerare che alcuni di quegli odonimi, per la loro originalità linguistico-culturale, sono diventati dei veri toponimi, cioé hanno acquisito col tempo un senso proprio e fanno parte ormai della geografia storica urbana di Rutigliano.
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1 Gli appunti del presente articolo dovevano servire alla pubblicazione di un libro sulle vie del centro storico di Rutigliano patrocinata dall’«Associazione Portanuova». Sotto l’impulsione amicale di Pierino Poli, presidente di detta Associazione, presento qui un contributo rimasto incompiuto a causa dell’emergenza da Covid-19, che ci ha obbligati a sospendere momentaneamente le ricerche.
Ho appreso poi che un’analoga iniziativa è in prepazione da parte di due studiosi locali, Di Gioia e Lasorella, i quali hanno già presentato alcuni aspetti del loro lavoro di ricerca nell’estate del 2019. Spero che questi miei frammenti di storia rutiglianese possano servire.
Per le fonti e la bibliografia utilizzata: Archivio di Stato di Bari; Archivio Diocesano di Conversano (ADC); Archivio Storico Comunale Rutigliano (ASCR); Registri di Stato civile del Comune di Rutigliano (1809-1900); G. Boraccesi, F. Dicarlo, Santa Maria della Colonna : Una committenza artistica nell’ultimo medioevo, Cavallino di Lecce 1992; AA.VV., Il volto nuovo della Matrice di Rutigliano, fra Tardogotico e Rinascimento, Cavallino di Lecce 1996; Lorenzo Cardassi, il suo tempo e la sua storia di Rutigliano, a c. di F. Dicarlo, Rutigliano 2004; P. Larizza, Sviluppo urbano di Rutigliano : dalle origini fino alle soglie del 14. secolo attraverso gli antichi documenti dei codici diplomatici, Putignano 2006; G. Capotorto, Gli illustri rutiglianesi nella toponomastica cittadina, Rutigliano 2007.
2 Ricordo che nei pressi di Porta di Bari esisteva la cosiddetta «strada della Motta di Porta di Bari».
3 Vedi la presentazione al libro di G. Capotorto, op. cit., pp. 5-6.
4 Far figurare sulla targa (in didascalia) l’odonimo dell’arteria principale dell’antico Borgo «strada dell’Inchiancata», lastricata secondo il modello stradale dei Romani, potrebbe essere cosa utile. L’arciprete Domenico Siciliano ci ricorda infatti, nel Settecento, che: «... Le strade sono tutte costrutte con grosse selci lavorate a martello, e nella maggior parte carrozzabili».
5 Da una conferenza di D. Di Gioia e G. Lasorella nell’ambito della manifestazione della “Festa del Grano”nel luglio 2019, vedi T. Gallone, «XXIII Edizione Festa del Grano Buono di Rutigliano: vincono la storia e le tradizioni», in rutiglianoonline.it, 11 luglio 2019.
6 Vedi nota n.5.
7 Araldica Rutigliano, a c. di A. G. Sorino e L. Longo de Bellis, in araldicarutigliano.xoom.it. Vedi anche F. Dicarlo, Cardassi, op. cit., p. 256n.
8 Il termine università che designa il comune fu in uso fino al 1806.
9 Il rogito del 19/03/1535 recita così: «L’università di Rutigliano, presieduta da Dionisio Severino, di Rutigliano, sindaco generale, conviene con Teseo de Geraldinis, di Bari, vicario e cantore della real chiesa di S. Nicola di Bari e con Taddeo de Caldarono, canonico della stessa chiesa, procuratori del capitolo, di rimettere a quest’ultimo tutti i proventi derivanti dalle controversie giudiziarie dei cittadini di Rutigliano ed inoltre di donare la somma di 200 ducati per il restauro del campanile di S. Nicola.», vedi: Cartularium Morea.
10 Vedi: L’Istituto della Bagliva nel feudo di Ruvo. III. Capitoli della Bagliva (n. 26), a c. di A. Jatta, in Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti, 1890, dic. 20, fasc. 20-21, vol. 7, p. 333. A questo riguardo, le ricerche etimologiche sono in corso grazie anche all’ausilio del direttore dell’Opera del Vocabolario Italiano (OVI) del CNR, dott. Paolo Squillacioti e della dott.ssa Francesca Giuliani, con i quali ho potuto interloquire.
11 L’attuale via Albamonte era detta «strada della Scesciola» che prendeva nome da un giardino esistente (da un atto del notaio Francesco Antonio Coppetta datato 3 settembre 1470).
12 M. Malcangio, La Puglia nel periodo dei Saraceni: L’arabo in movimento tra classicismo e social network, 2014.
13 La traduzione araba della parola "labirinto" è matahat, letteralmente "un insieme di strade". Sembra quindi molto lontano dalla parola "scesciola".
14 Da un documento catastale di Lequile (LE) del 1565, si puo’ leggere: «... feudo detto li Paduli, congiunto al casale di Lequile, che confina con il feudo di S. Pietro “de Lama” e con il territorio di Lecce, [che risulta] variamente composto da terre seminatorie e vigne a tratti “padulegna”, spesso “consumate” con numerosi alberi di “scesciole” o “giuggiole” ma pochi di olive e alberi comuni (fichi, ecc.). G. Conte, il catasto di Lequile del 1565, in : A tre miglia dalla città. L’antico casale di Lequile, Galatone, Arti Grafiche Meridionali, 2006, p. 185, ripreso da: A. Spagnoletti, in : La Puglia : un profilo per i beni culturali, MiBACT, 2018, p. 83.
15 D. Caiazza, Ponte Latrone, in : Il Territorio tra Matese e Volturno. Atti del I° convegno di studi, 1997, pp. 67-78.
16 Si conoscono una donazione a suo favore nel 1617 e un Beneficio fondato da Dorotea Ascia nel 1634, vedi: ADC.
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